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statuto, raccolte fondi e attività: cosa rispondere al fisco

Continua la guida agli adempimenti fiscali

di Redazione

Riprendiamo le domande sull’articolo 30 e le possibili risposte. In questa seconda puntata ci concentriamo sui quesiti/dichiarazioni ai quali l’Agenzia delle Entrate chiede risposte draconiane, un sì o un no: il problema è che a volte si vorrebbe rispondere «ma che avrà voluto dire?».
Di quali attività mi chiedono lumi?
A rigor di logica, avrebbero dovuto chiedere lumi delle sole attività defiscalizzate ai sensi delle norme Tuir (imposte dirette) e Iva. Quindi si dovrebbe parlare delle somme ricevute dalle associazioni da parte di soci come corrispettivi per i servizi dati, come per esempio il corso di merengue, l’insegnamento di esperanto e altre amenità rivolte ai soli soci, dato che gli stessi corsi rivolti ai terzi non soci sono da considerarsi a tutti gli effetti attività commerciali.
Invece, oltre ad alcuni punti che citano attività rivolte ai soci, troviamo le dichiarazioni relative alle attività condotte a favore di non soci, con “domande tranello”. Se rispondete affermativamente alla domanda sulle attività verso terzi (non soci), dovete aver indicato la partita Iva nella prima sezione della dichiarazione, altrimenti vi state denunciando quali evasori Ires e Iva.
Così, nulla rileva l’abitualità o l’occasionalità di questo tipo di attività, in quanto non si sa – a oggi – quale sia il limite tra il frequente e l’infrequente. Quante volte figliuolo? Dimmi cosa è peccato, e poi mi regolo a fare o non fare certe attività.
Inoltre, vi sono una serie di dichiarazioni (la 21 e la 22) in merito alle quali non sappiamo se l’Agenzia intenda le attività (caso A) rivolte ai soci, (caso B) quelle rivolte a non soci o (caso C) la totalità delle attività.
«Quale busta scegliamo, la A, la B o la C?», avrebbe chiesto un noto presentatore da poco scomparso. Ma qui non siamo al Rischiatutto, e i soldi che si rischiano di perdere sono quelli dell’associazione e di chi amministra l’ente.
Le raccolte pubbliche di fondi sono prese di mira?
Certo che vengono coinvolte anch’esse; poteva essere diversamente? In realtà potevano benissimo risparmiarsi dichiarazioni su questo tema.
Procediamo con ordine. Tanto per ripassare le definizioni, sono raccolte pubbliche di fondi quelle manifestazioni pubbliche nelle quali chiediamo dei soldi ai sovventori e, a fronte di detti quattrini, l’ente regala un presente di modico valore (per capirci sotto i 25 euro).
La defiscalizzazione di queste entrate è totale (Ires e Iva e qualsiasi altra imposta). Per legge le raccolte pubbliche di fondi devono essere occasionali, ma – di nuovo – a parte per le associazioni sportive dilettantistiche, non è mai stato definito il quantum (numero eventi e numero giorni).
La cosa “curiosa” è che la defiscalizzazione di queste entrate non è “interna” agli articoli citati dall’ormai tristemente famoso articolo 30, cioè il 148 Tuir e 4 Iva, bensì nel 143 Tuir. È chiaro che l’Agenzia è andata decisamente fuori tema quando chiede (quesito numero 33) il numero di manifestazioni e di giorni di queste raccolte.

Fanno tante domande su cosa abbiamo scritto nello statuto. Perché?
È presto detto. Il famoso binomio art 148 Tuir e art 4 legge Iva richiede la presenza di requisiti formali (scritti negli statuti) e sostanziali (rispettati nella pratica) in merito ai temi della reale partecipazione alla vita associativa, alla parità di diritti e doveri, alla redazione di un rendiconto annuale, alla devoluzione ad altro ente del patrimonio in caso di scioglimento, e altro ancora.
Se rispettiamo queste regole e – da oggi – mandiamo questa mitragliata di dichiarazioni all’Agenzia delle Entrate, possiamo beneficiare della defiscalizzazione.
Il problema è che a certe domande non si sa bene cosa rispondere, e non per nostra ignoranza, ma prima di tutto per la lacunosità delle istruzioni, che non istruiscono un bel niente. Ecco qui un esempio.
«Dichiarazione 7: (il rappresentante legale dichiara) che le modalità di convocazione degli associati prevedono: convocazione individuale (prima casella) convocazione collettiva (seconda casella)». Cosa vi sareste aspettati dalle istruzioni? Che ci avessero detto cosa afferma la legge, cosa si intende per modalità di convocazione individuale o collettiva. E invece leggiamo sconcertati: «Indicare le modalità di convocazione degli associati alle assemblee generali, indicando se la convocazione è individuale o collettiva (barrare l’apposita casella)». Ero capace anch’io di scriverle così!
Peraltro qui non vi è una risposta giusta e una sbagliata, tolto che la verità è e deve rimanere la vostra guida. Perché è possibile che una convocazione collettiva sia valutabile quale «idonea forma di pubblicità della convocazione assembleare», come recita la legge (art 148, c 8, lett e del Tuir), se realizzata attraverso l’affissione di un messaggio nella sede intensamente frequentata dai soci.

Ma se ho dei dubbi, cosa devo fare?
Non chiedetevi se avrete dei dubbi, ma quanti dubbi avrete. Di recente l’Agenzia se ne è venuta fuori con una coraggiosa nota (conseguente alle dichiarazioni di protesta diffuse da Forum del terzo settore, CSVnet ecc), nella quale afferma che i suoi uffici territoriali sono pronti a rispondere ai quesiti.
Benissimo, ma non basta. Primo: chiedete per iscritto e fatevi rispondere parimenti. Sarà difficile ottenerlo, ma se ce la fate, avete fatto Bingo!
Secondo, andate presso i Centri di servizio che stanno studiando tutte le 38 dichiarazioni una per una per comprenderne la portata, il significato ermeneutico, darne un’interpretazione che va dalla logica alla teleologica.
Terzo, fidatevi dei professionisti che con voi hanno dato prova di seguire le cose del non profit, e solo di loro.


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