Famiglia

Responsabilità sociale: svolta o moda? Governo e industriali, duello sull’etica

Il ministro Maroni ha convinto anche Berlusconi: la corporate responsability sarà la bandiera italiana nel semestre UE. Ed un commento di Riccardo Bonacina.

di Francesco Maggio

La Wella Italia devolve il corrispettivo di una giornata di lavoro al sostegno all?adozione a distanza. La Coop consumatori sostiene progetti di solidarietà con Gvc e Arci. La Popolare di Bergamo lancia una carta di credito per sostenere il Cesvi. Lever Fabergé aiuta l?Opera San Francesco. Pomellato gioielli collabora con il Wwf. Telecom Italia finanzia il Progetto Italia. Industree ha una partnership con AiBi. E l?elenco potrebbe continuare ancora a lungo, alternando iniziative buone ad altre un bel po? furbine.
Solo da inizio anno, oltre un centinaio di imprese hanno comunicato, a vario titolo (pubblicità, comunicazione, partecipazione a premi di categoria) di essere impegnate sul fronte della responsabilità sociale d?impresa. Al convegno del 13 dicembre scorso in Bocconi, L?impegno sociale delle imprese per un nuovo Welfare, il presidente di Confindustria, Antonio D?Amato ha dichiarato che la responsabilità sociale d?impresa è la nuova sfida che hanno di fronte le aziende dopo la qualità totale. Il governo, a sua volta, ha annunciato che la corporate social responsability sarà una delle cinque priorità che caratterizzeranno il semestre italiano di presidenza europea. E che, in proposito, ha allo studio la definizione di standard di certificazione, articolati su due livelli: il primo, composto da elementi quali la politica sociale, la pianificazione strategica, l?eventuale comunicazione agli stakeholders; il secondo, invece, relativo alle imprese che intendono andare oltre la responsabilità sociale e impegnarsi in iniziative di solidarietà, profit e non profit, per le quali verrebbe previsto un sistema premiale (incentivi fiscali, forme di promozione, fondi pensione eticamente orientati).
Sulla nuova parola d?ordine del dibattito politico-economico di questo 2003, non sembra quindi ci siano dubbi. E il ministro del Welfare, Roberto Maroni conferma a Vita che il sentiero ormai è tracciato: “La responsabilità rappresenta un appuntamento ineludibile verso lo sviluppo. Non può esserci sviluppo senza che le aziende abbiano assimilato a fondo questa mentalità e la nostra proposta è volta proprio a mettere le imprese in condizione di accelerare questo processo”. “Il governo”, aggiunge Maroni, “è pronto a fare la sua parte con varie forme di defiscalizzazione e accesso ai fondi agevolati, ma è chiaro che in tal caso voglia avere voce in capitolo, anche per assegnare priorità”.
Su questa ?voce in capitolo? ha tuonato pochi giorni fa il presidente di Assolombarda, Michele Perini: “Siamo attenti all?etica e all?ambiente”, ha scritto su Il Sole 24 ore, “rispettiamo le leggi e le regole della convivenza sociale, ma non possiamo accettare graduatorie certificate da terzi discriminare le potenzialità di crescita delle imprese”.
E sullo stesso punto ritorna il direttore generale di Confindustria, Stefano Parisi che ci dice: “L?impresa è per definizione socialmente responsabile essendo il luogo dove si lavora, si fa sviluppo, si crea ricchezza. È importante questa premessa”, sottolinea Parisi, “perché altrimenti sembra quasi che l?impresa non sia socialmente responsabile e vada, quindi, responsabilizzata. Detto ciò, sì a iniziative che mirano a sensibilizzare le imprese a guardare oltre i cancelli delle loro fabbriche, a sostenere iniziative nel sociale, nel campo dell?educazione, a favore della comunità in cui operano. Ma in tal caso bisogna fare come negli altri Paesi e prevedere incentivi fiscali per le aziende che intraprendono questo cammino”.
“Una cosa, di certo, va evitata”, conclude Parisi, “un appesantimento burocratico per le imprese. Ben vengano strumenti di controllo che evitino comportamenti distorsivi come, per esempio, le pubblicità ingannevoli, ma facciamo attenzione a non irrigidire un sistema”.
Alla Maratona sulla responsabilità sociale del 10 febbraio, in Assolombarda, andrà in scena il primo round tra governo e Confindustria, tra Maroni e D?Amato. Ma, appunto, è solo il fischio d?inizio di una partita con una posta davvero alta: un nuovo modello di welfare.
E chi dovrà realizzarlo.

Quelle algide coscienze
Bisognerà pur riconoscerlo: il ministro del Welfare, Maroni se confrontato con l?algido duo di Confindustria, D?Amato-Parisi, appare come un profeta new global. Basta attenersi alla cronaca. Da mesi, il ministro ha fatto della corporate social responsability un vero cavallo di battaglia. Per convinzione, o più probabilmente per l?urgenza di coinvolgere tutti gli attori possibili nello sforzo di costruzione, e di finanziamento, di un nuovo Stato sociale. Addirittura la proposta del ministro è di fare un passo oltre: il social commitment, ovvero il coinvolgimento delle imprese in iniziative sociali e d?interesse pubblico. Non contento il ministro ha messo sul piatto l?ipotesi di deducibilità fiscale. Infaticabile missionario di un Welfare dal portafoglio mezzo vuoto, ha convinto Berlusconi a issare il tema come una bandiera del semestre italiano di presidenza della Ue, ed è andato a bussare a tutte le porte, da Confindustria a Confcommercio. E una volta di più, il ministro ha dovuto constatare che va molto più di moda il marketing sociale che la responsabilità, è più facile imbattersi in imprese che usano il sociale per vendere, piuttosto che aziende che abbiano davvero lavorato su criteri di equità verso comunità e stakeholders. D?Amato e Parisi, infastiditi dall?agitarsi del ?barbaro leghista?, oppongono la ?panzana? che la responsabilità sociale starebbe nel dna dell?impresa. Per giustificare l?assenza di qualsiasi iniziativa, ricordano l?impegno di Confindustria sull?emersione del lavoro nero. Ma come? Ribatte Maroni , questo è un valore che pertiene alla legalità. Come dargli torto? A consolarci c?è la convinzione che, mediamente, gli imprenditori italiani sono meglio di chi li rappresenta.
di Riccardo Bonacina

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