Non profit
Quel male in Valtellina
Sondrio è la provincia con il record di suicidi. Tutta la valle si mobilita per capire perché
La media di chi si toglie
la vita qui è doppia che nel resto d’Italia. Aldo Bonomi, valtellinese vero anche
se emigrato, ha scelto di rompere il silenzio, realizzando una ricerca a tutto campo, confluita
in un numero imperdibile di «Communitas».
E ha convocato per il
17 settembre una giornata di confronto: con tanta passione e senza reticenze
La questione è questa: secondo l’Azienda ospedaliera della Valtellina e della Valchiavenna tra il 1989 e il 2007 in provincia di Sondrio si sono tolte la vita 485 persone. Il tasso medio annuale è stato del 15,04 per 100mila abitanti, oltre il doppio di quello medio italiano, che è del 7,2. Di questi suicidi, 370 erano uomini. I restanti 115 donne. Questo comporta, come ricaduta sociale, che il 63,4% della popolazione di questo lembo all’estremo Nord d’Italia è stato coinvolto, nell’ambito delle conoscenze personali, da almeno un caso di suicidio.
Perché questo accade? E che cosa si può fare per fermare questo mal di vivere in una zona che non deve combattere più con la povertà caratteristica di tanto suo passato? Sono domande pesanti, pesanti come i tonfi di quei corpi che decidono con troppa, angosciosa frequenza di chiudere i conti con la vita. Sono domande che martellavano da tempo la testa di Aldo Bonomi, un valtellinese emigrato in pianura ma che, come accadeva a Cesare Pavese nella Torino fordista, continua a ripetersi che «resta sempre lassù il paese».
In genere davanti al ripetersi dei casi di suicidi, si sceglie la linea accomodante del non parlare. Perché parlarne induce all’imitazione. Un alibi legittimo, che però alla lunga ingigantisce il problema invece di riportarlo a dimensioni meno tragiche.
«Ci tocca». Così Bonomi ha mobilitato tutta la sua valle in un percorso per cercare di scavare e di capire. Prima una larghissima ricerca realizzata da Aaster in collaborazione con la Caritas locale: oltre mille questionari distribuiti, decine e decine di interviste a tappeto con parroci, sindaci, docenti, persone di ogni professione a contatto con i giovani. Poi un numero di Communitas (il n. 35, allegato questa settimana a Vita in vendita nelle edicole) con i risultati della ricerca e arricchito di interventi, tutti molto coinvolti e poco formali, da quello del vescovo di Como, nella cui diocesi è compresa la Valtellina, a quello di uno dei massimi psichiatri di oggi, Eugenio Borgna, sino a quello Davide Van De Sfroos, il cantante che Bonomi definisce «il vero antropologo di questa “apocalisse culturale” che prende una vallata alpino-lombarda».
Infine, il 17 settembre, al Policampus di Sondrio, ci sarà una giornata quasi di “autoscienza collettiva». Dalla mattina alla sera, decine di persone, tutte le autorità della valle innanzitutto, invitate a parlare e a uscire allo scoperto, a ragionare attorno a questa tristezza apparentemente “irredimibile” della loro terra. Non un convegno, ma qualcosa che vuole essere di molto di più. L'”io triste” che non assume la parola di fronte al proprio disagio, per una volta è chiamato a rompere il silenzio. Come dice Bonomi citando Foucault, sarà, per una volta, «un parlar franco».
È una società vitale quella valtellinese. Che non si fa mancare nessuna delle chance della modernità. Ne parla in modo disinvolto e acuto il parroco di Chiavenna, don Ambrogio Balatti: «Trovo che qui c’è una vivacità di intelligenza superiore che altrove? questo aspetto potrebbe avere una caratteristica: dove c’è questa vivacità c’è più il rischio di cadere in una forma di irragionevolezza». In che senso? «Ti porta a non accontentari della vita ordinaria, di quello che l’ambiente ti offre. Questo ti porta ad esagerare, magari ad eccedere. Ti rende anche più fragile: uno che ha paura di sbagliare si accontenta di quello che è, non diventa il genio ma non diventa neanche quello che si butta via».
Insomma, come nota Bonomi, la terra del “già” e “non ancora”.
Ne sanno qualcosa i baristi e i gestori dei pub che, secondo Bonomi, sono ormai le vere antenne del malessere. Quello che vedono in faccia nelle sue piccole ma minacciose deflagrazioni davanti al bancone. Confessa una di loro, Paola Colli, che gestisce la discoteca Continental a Colico: «Forse perché i ragazzi trovano in noi, cioè dall’altra parte del banco, persone che li ascoltano, perché tanti, da un po’ di tempo a questa parte, mi sono accorta che vengono da noi come quasi fossimo diventati dei confessori».
Conclude Bonomi: «È urgente costruire luoghi ove chi ha nostalgia, chi ha paura, chi ha difficoltà possa raccontare e raccontarsi? Che altro non significa che dire all’altro da sé che non è solo. Parliamone». Giusto, parliamone.
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