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Il vino, l’allegria e la polizia stradale

di Redazione

«Il vino è il canto della terra verso il cielo». La frase campeggia all’inizio del mese di settembre sul libro per la famiglia Adesso, ed è di Luigi Veronelli. Anche papa Benedetto XVI disse che «il vino esprime la festa. Fa sperimentare all’uomo lo splendore della creazione (…). E ci lascia intuire qualcosa della festa definitiva di Dio con l’umanità». E potremmo andare avanti a citazioni per dire che il vino è positività, amicizia e anche civiltà. Ma per alcuni rimane soltanto alcol, quindi da combattere. Così non possiamo che stare con il ministro Zaia che, il 1° settembre, nel cuore di una vendemmia più che buona, ha detto che è sbagliato il limite di 0,2 per chi si mette alla guida. Due bicchieri di vino non solo non danno ubriachezza, ma forse sono più innocui di un autista che assume farmaci.
L’altro giorno sono stato a una festa, nella Rocca di Angera, per festeggiare il compleanno della mia amica Lilli. Abbiamo mangiato, bevuto, ballato e smaltito anche due innocui bicchieri. Quando ci siamo salutati, verso l’una, c’è chi ha voluto brindare con l’ultimo bicchiere (per me era solo un dito di Champagne). Prodigamente avevo prenotato una camera in un albergo a sei chilometri da Angera. Ebbene, dopo quattro chilometri, un posto di blocco fermava le auto. Non mi hanno fermato, ma se lo avessero fatto, probabilmente sarei stato in difetto e quella roulette russa mi avrebbe cambiato la vita, giacché il giorno dopo con la mia auto avrei ricominciato il mio anno di lavoro. Ha senso tutto questo? Non è buon senso. In verità ho messo in pratica il motto più divertente dell’estate, «Guida poco che devi bere», un’iniziativa di Alessandra e Battista che ad Alba gestiscono un agriturismo. Il loro cartello issato lungo la statale ha fatto riflettere, e persino il giudice Caselli ha dato la sua approvazione. Ne abbiamo discusso a Radio 24 con Oscar Giannino, sortendo l’idea che non si può approvare un mondo dominato dalla paura, dove il primo istinto istituzionale diventa proibire anziché educare. Ossia conoscere.

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