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Articolo 30, l’arte di vessare il non profit

Editoriale

di Giuseppe Frangi

A pagina 25 di questo numero i lettori trovano una guida che noi ci saremmo augurati di non dover realizzare e voi di non dover consultare. È la Guida al “modello per la comunicazione dei dati rilevanti” pubblicato dall’Agenzia delle Entrate ai sensi dell’articolo 30 del decreto anticrisi. Tutte le associazioni, escluse poche categorie, entro il 30 ottobre dovranno compilarlo e spedirlo all’Agenzia. Il modello era previsto ed atteso, perché a nulla era valsa la protesta del Forum del terzo settore che aveva cercato di far capire l’inutilità e la farraginosità di un simile controllo. Ma ora che ce l’abbiamo tra le mani suona ancor più assurdamente vessatorio. La materia su cui l’autorità vuole veder chiaro è la “decommercializzazione” sui corrispettivi pagati dai soci per la fornitura di beni o di servizi pertinenti allo scopo dell’associazione. In soldoni: il ministero dell’Economia conta di recuperare una cifra imprecisata di entrate fiscali, scoprendo associazioni formalmente non in regola per usufruire di questa agevolazione fiscale. Ma la cifra, comunque vada, sarà una cifra irrisoria, mentre il danno provocato è un danno enorme. La dichiarazione è composta da ben 38 punti, che fanno impazzire le migliaia di piccole associazioni che l’hanno tra le mani. Chi ne ha le possibilità si avvarrà, a spese sue, di un commercialista. Chi non ha le possibilità, avrà buone probabilità di cadere sotto le forche caudine del modulo. Per questo abbiamo pensato di pubblicare la Guida: che sia un aiuto ad individuare le questioni a rischio e le possibili trappole nascoste tra le righe questionario.
Avremo modo di riparlarne nelle prossime settimane e di rispondere alle domande che ci farete avere. Intanto però il dato di fatto che dobbiamo incassare è quello di una nuova, gratuita zavorra. Ancora una volta il burocrate si accanisce con l’anello debole del sistema. E lo fa con il sottile sadismo di chi non può non essere consapevole che l’operazione sarà a bassissima redditività per lo Stato.
Sarebbe stato certamente molto più redditizio incrociare le decine di migliaia di auto sopra i 50mila euro in circolazione in Italia con le dichiarazioni dei redditi dei loro proprietari. Ma in Italia ci si accanisce contro le 200mila associazioni che ogni giorno con fatica ed entusiasmo fanno quadrare i loro bilanci e si continua a non pensare che sia quanto meno strano che solo 75mila persone dichiarino un reddito superiore ai 200mila euro nel nostro Paese (per fare un rapporto: i tre marchi tedeschi più famosi di auto di lusso chiuderanno il 2009 – anno di crisi! – con circa 200mila vetture vendute…).
Non è più tempo di retorica né di annunci fatti per rabbonire le platee. Quello che a cui assistiamo non produce solo un danno per chi chi deve subire questi provvedimenti. È molto di più: è un’erosione del patrimonio di fiducia e di coesione sociale che quotidianamente viene alimentato dall’attività e dall’impegno gratuito di migliaia e migliaia di associazioni. Non c’è in gioco un interesse particolare. C’è in gioco un’idea di Paese.


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