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L’Italia di Mike

L'omaggio dei giornali all'epopea del grande presentatore morto ieri a 85 anni

di Franco Bomprezzi

Mike Bongiorno è morto a 85 anni, una notizia che ha monopolizzato l’attenzione dei giornali e dei media italiani, attorno a una figura memorabile per la storia della televisione e del costume nazionale.

Una grande foto di Mike Bongiorno in bianco e nero campeggia a centro pagina del CORRIERE DELLA SERA, il titolo è una lapide: “Mike Bongiorno 1924-2009”. Tre i commenti strillati sin dalla prima: “Il presentatore immortale che aveva il culto della semplicità” di Aldo Grasso, “Il ricordo di Confalonieri «Appartiene alla memoria di tutti, la sinistra non può strumentalizzarlo»” di Francesco Verderami, “Il salto dalla Rai a TeleMilano e alla fine un minestrone ad Arcore” di Gian Antonio Stella. Molte le pagine dedicate a ricordare il presentatore: dalla 2 alla 9. Aldo Grasso, il critico televisivo del CORRIERE, scrive fra l’altro: “Mike era un candido. Personalmente ritengo fosse anche un poeta dadaista, forse l’ultimo. E non ha nessuna importanza che ne avesse coscienza o meno: lo era, in maniera consustanziale. Mike era dada perché non ha mai tentato, facendola, di prendere le distanze dalla tv, di distruggerla con la pretesa di svelarne i meccanismi occulti. No, lui ha operato sull’idea che noi abbiamo della tv. Ha ridotto le sue frontiere rigide, la abbassato le sue altezze immaginarie, le ha sempre assegnato un posto subordinato rispetto alle esigenze di chi la guarda”. Gian Antonio Stella, a proposito delle affinità con Silvio Berlusconi:  “i due, avevano in comune la stessa «magia». La capacità di parlare al «proprio» pubblico. Una capacità che a Mike, dopo decenni di sberleffi sulla sua ignoranza («Pone gran cura nel non impressionare lo spettatore, non solo mostrandosi all’oscuro dei fatti, ma altresì decisamen­te intenzionato a non apprendere nulla. In compenso dimostra sincera e primitiva ammirazione per colui che sa», scrisse Umberto Eco) fu riconosciuta infine non solo dallo Iulm con una Laurea ad Honorem ma perfino dall’Accademia della Crusca: «Ha insegnato l’italiano agli italiani». Per questo, dopo tanti anni, non capì perché Mediaset gli avesse rifiutato il rinnovo del contratto facendoglielo comunicare da un funzionario ma soprattutto perché Silvio lo ignorasse: «L’ho chiamato a novembre: da allora sono passati più di cinque mesi e non mi ha ancora richiamato», raccontò a maggio, deluso, a Fabio Fazio. Peggio: «Lavori 30 anni con un gruppo e di colpo sei fuori. Quando a Natale ho cercato di fare gli auguri a Silvio la segretaria mi ha risposto: ‘C’è una lunga lista di attesa, la richiamiamo’. A me? Cose da pazzi ». Poi lanciò il suo appello: «Chiamami, chiamami, sono qua…». Lo chiamò, il Presidente. Lo invitò a cena la sera dopo. A mangiare il minestrone. Soli soli. Stanchi. «C’era come un senso di freddo e di buio attorno a noi»”.

LA REPUBBLICA apre sulla politica (“Berlusconi attacca le Procure”) ma riserva la foto notizia a Bongiorno: “Addio Mike, il signore della tv”. Due i commenti portanti che proseguono dalla prima al focus R2. Di Edmondo Berselli (“Romanzo popolare”) e Michele Serra (“Il vedovo del telequiz”). Secondo il primo, Bongiorno «emblema del moderatismo e della maggioranza silenziosa, gaffeur sublime e inventore dell’immaginario televisivo… Mike ha avuto un’esistenza che ha accompagnato la seconda metà del Novecento contrappuntandone i momenti fondativi della cultura di massa».  Segue la ricostruzione di una carriera lunghissima, che ebbe tre tappe. La prima, fondamentale, alla Rai – i quiz, la costruzione dell’immaginario televisivo, appunto – a Mediaset e poi, in preparazione a Sky: nell’ultima fase Mike «ha saputo persino prendersi gioco di se stesso. Singolare forse, per un uomo che dai tempi dei tempi sembrava impermeabile a qualsiasi ironia. Ma non del tutto imprevedibile per un protagonista che in fondo doveva sapere, per averla creata, che la televisione è tutto, è nulla, è fatalmente un grande anche se talvolta involontario romanzo popolare». Diverso il taglio dell’intervento di Serra: «Con Mike muore la televisione popolare del Novecento, quella fondata sul lavoro. Nella quale i ruoli erano definiti e separati, come in una grande fabbrica». «Era un uomo d’ordine. Un italiano del dopoguerra, operoso e pragmatico, felice di essere scampato a quello sconquasso, contento di vivere, di guadagnare quattrini, di comprare una casa più grande». «Diede moltissimo a quella Rai, pedagogica e democristiana, nella quale una domanda sul controfagotto poteva ben figurare tra i metodi di acculturazione popolare»… «Se n’è andato senza dovere fare i conti (o forse: rifiutandosi di farlo, beato lui) con la fine della sua tv, quella delle competenze, della pronuncia scandita perché tutti capiscano e nessuno si senta a disagio. Una televisione del benessere e non del malessere. La sua tv era morta prima di lui. Ne era vedovo, ma le aveva voluto così bene che fingeva fosse ancora viva, e al suo fianco». C’è spazio anche per il ricordo di una campionessa famosa negli anni 70 (Giuliana Longari, Rischiatutto) e di Sabina Ciuffini, sua valletta per 5 anni (“Un gentiluomo che in tv difendeva le donne”) e un ricordo di Pippo Baudo che sottolinea come Bongiorno sia stato per tutti i presentatori un punto di riferimento, un pioniere della tv, una macchina da guerra in studio, professionale, puntuale, armato di uno speciale “candore” che lo ha fatto molto amare dagli spettatori fin da subito.

“Addio mister Allegria” titola IL GIORNALE in prima pagina  con una foto del mitico e un ricordo firmato Fedele Confalonieri che scrive: «Anche nella morte Mike è stato sorprendente. Come tutti i grandi artisti era inaspettato, ti sorprendeva sempre. Ma questa volta siamo tutti disorientati, colpiti a addolorati. Ho dei ricordi molto belli, uno su tutti: eravamo in un ristorante, 30 anni fa, e Berlusconi cercava di convincerlo a venire nella tv commerciale di allora, prima ancora di canale 5. E Berlusconi ci riuscì: Mike accettò. Quello fu il segnale per tutti che la televisione commerciale era una cosa seria e che anche gli artisti più titolati potevano andare a lavorarci. È stata la svolta. Mike ha saputo capire il futuro. Oggi è facile dirlo, ma allora…». Roberto Levi considera «Che essere Mike Bongiorno era il marchio di fabbrica necessario e sufficiente a fargli attraversare con assoluta impassibilità i mutamenti di costume, linguaggio e persino di approccio televisivo. Mike si è mantenuto fedele a se stesso incurante di ogni presunta necessità di dover cambiare il proprio modo di porgersi al pubblico, nel modo di condurre le televendite e quello di gestire il linguaggio delle gaffe». IL GIORNALE sceglie d’intervistare Piero Chiambretti che per l’edizione 1997 di Sanremo ha voluto che Mike fosse il conduttore autentico. Chi è il suo erede? «Non c’è. Mike è venuto dalla Seconda Guerra mondiale, è stato in galera con Montanelli, ha creato la tv. Lui non ha eredi. Solo sostituti, tutt’al più». L’amicizia con Idro Montanelli, nata nel carcere di san Vittore, a Milano, dove i due erano prigionieri dei nazisti nel 1943, è uno dei ricordi che IL GIORNALE dedica a Buongiorno. Fra questi anche quello del giornalista Massimo Bertarelli, nel 1971 aspirante concorrente di Rischiatutto: «Risposi bene, ma fui escluso perché non fotogenico».  

“Sigla” è il semplice titolo di apertura del MANIFESTO a sfondare su una foto in bianco e nero di Mike Bongiorno che saluta sorridendo. Alla morte di Bongiorno sono dedicate oltre a due pagine interne, il commento di Norma Rangeri “La morte della Tv” e una vignetta di Vauro in prima pagina. Vauro con il titolo “… e finalmente” disegna un angioletto su una nuvola con un telefono in mano che dice «Mike Mike è arrivata la telefonata di Berlusconi» da fuori quadro arriva la risposta: «digli che non ci sono… più!». Rangeri parla di Bongiorno come di un volto umano di una televisione disumana «Che lo aveva cancellato dai propri schermi a cominciare dalla sua ultima casa, Mediaset. Una delusione profonda, che non lo faceva dormire la notte, che esibiva senza pudore, lamentando il modo con cui Berlusconi junior lo aveva licenziato “senza preavviso” (…) Mike non aveva mollato. La morte improvvisa gli ha strappato l’ultima avventura, un nuovo quiz su Skyuno che lo teneva legato alla vita più che al lavoro. Non per consolarlo ma prima del partigiano Mike a morire è stata la tv, come l’aveva conosciuta, per come l’aveva vissuta l’Italia appena uscita dalla guerra, per come l’aveva modellata negli anni ruggenti del Rischiatutto. (…) In un certo senso Mike è stato per lunghi anni il profeta del populismo berlusconiano, l’italoamericano che naturalmente condivideva la rivoluzione del consumo di massa con il popolo della televisione (…) Nell’Italia delle ronde e della barbarie contro gli immigrati, Mike è rimasto il testimone di un sorriso benigno, contro un vento che rosicchia il corpo della democrazia con la durezza del regime mediatico. Per questo l’ottimismo del Cavaliere non vale un decibel della sua squillante Allegria!». Il commento di Carlo Freccero è intitolato «Un everyman, specchio del suo pubblico» citando un saggio di Eco degli anni 60 che definisce «L’uomo comune il prototipo dell’eroe televisivo».
 
Bello e non banale il ricordo che il SOLE24ORE fa di Mike, l’«everyman» (contrapposto a superman) come lo definì Umberto Eco. Paolo Madron nel suo pezzo a tutta pagina ripercorre brevemente le tappe della carriera, ma si sofferma giustamente sull’ultima parte, quando secondo lui Mike «non è stato capace di rendersi conto che c’è un tempo e un tempo, e il suo era finito con gli ultimi giri della ruota fortunata», ma non avendolo capito si era lasciato andare a lamentazioni («Silvio dove sei? Silvio chiamami») dandosi «in pasto alla ferocia di un mezzo che nella sua voracità si nutre dell’altrui decadenza. Quindi in un certo senso «la morte lo ha salvato, risparmiandogli ulteriori angosce». In taglio basso, analisi da quotidiano economico sulla potenza di testimonial di Bongiorno, un uomo che «con quella faccia poteva vendere di tutto», dalla grappa Bocchino al prosciutto Rovagnati, ma non era un mercenario puro perché «gli piaceva davvero promuovere i consumi» e amava sinceramente gli sponsor perché, con la tv commerciale, gli permettevano di fare il suo lavoro. Conclusione? «È stato l’artefice del successo di tante marche, che da oggi si sentiranno molto più sole».

“Ecco l’eredità di Mike Bongiorno” è il titolo del pezzo che ITALIA OGGI dedica alle società che fanno capo al presentatore scomparso ieri. «Oltre al grande vuoto televisivo» scrive il giornale dei professionisti, «Mike Bongiorno lascia un’eredità economico-finanziaria di tutto rispetto». Eccone alcune: 15 milioni di euro di obbligazioni della Banca Mondiale e della Bei (Banca Europea per gli investimenti). Per quanto riguarda le sue società, Bongiorno deteneva il 95% di Promomedia, di cui era amministratore unico. Secondo l’ultimo bilancio, la società ha conseguito un utile di 349 mila euro in netta diminuzione rispetto ai 857 mila dell’anno precedente. Il patrimonio netto di Promomedia è di 17 milioni e 853 mila. Controllata al 100% dalla stessa Promomedia, l’articolo mette in evidenza le attività della Filmmike Enterprises, una srl controllata dalla famiglia Bongiorno che si occupa di produzioni cinematografiche e televisive che nel 2008 ha approvato un fatturato di 2.577.125 euro. Per i creativi, Mike è un’icona della comunicazione. E’ il giudizio che emerge nell’articolo “Addio Mike, grande pubblicitario”, nel quale ITALIA OGGI fa un ritratto dell’ex presentatore attraverso i ricordi e i giudizi degli addetti ai lavori del mondo della pubblicità e della comunicazione. «Riusciva a dire qualsiasi cosa senza mettere in imbarazzo nessuno perché rappresentava il pensiero dominante, nel senso che non aveva un punto di vista dall’alto ma dal basso» ha detto Lorenzo Marini dell’agenzia pubblicitaria Lorenzo Marini e Associati; per Stefano Storti, amministratore di Y2Y Communication «La sua grande forza era la sua ironia e la sua capacità di stare al livello delle persone che incontrava»; «Ha determinato un cambio di passo vero, grazie alla capacità di mettere i prodotti e le sue merci nei suoi programmi. Era imbattibile grazie alla sua capacità di saper ridere di se stesso» ha detto Fabrizio Russo di Klein Russo.

AVVENIRE dedica due pagine alla morte di MIKE BONGIORNO. Oltre alla cronaca della carriera infinita del telepresentatore e un fotostory dei momenti più importanti ci sono tanti attestati di stima da parte di colleghi, amici e ammiratori illustri. “L’uomo dei quiz che ha fatto crescere il paese” di Mirella Poggialini (a pagina 9) tratteggia un Bongiorno familiare e amico «aveva un carattere spinoso, questo si, non perdeva tempo e non accettava che lo si perdesse, ma aveva, e lo dimostrava, un grande rispetto per il lavoro che forse ora non è più di moda». Anche la sua televisione era rispettosa «i suoi quiz con i quali ha svegliato un’Italia sonnolenta, erano affermazioni sincere di stima per una cultura non da sbandierare, ma da acquisire e da partecipare come ricchezza vera». Insomma quiz in cui contava la conoscenza non la fortuna. Due box raccontano qualche curiosità. In uno il Bongiorno sportivo e sciatore e il suo rapporto con lo sport tutto. «Negli anni 70 accettò la presidenza di una squadra di ciclismo. Quell’esperienza gli ispirò lo spettacolo itinerante “Giro Mike”». L’altro la sua ultima volta in tv che, per ironia della sorte è stata proprio in un quiz show giovedì scorso, ma da concorrente. Il quiz era “Sei più bravo di un ragazzino di quinta?” su Sky.

“Un borghese piccolo grande”. «L’Italia l’avrà fatta Garibaldi, ma gli italiani, se permettete li ha fatti lui». Editoriale di Massimo Gramellini su LA STAMPA, sul fenomeno Mike Bongiorno. «E qui per italiani non si intendono le minoranze snob delle metropoli», «gli italiani veri, diceva Mike, vivono in provincia», gente che lui è riuscito a capire, interpretare, rispecchiare. La vera abilità di Mike era arrivare sempre primo: primo a condurre programmi radiofonici nell’Italia della ricostruzione, primo a fare quiz televisivi, primo a lasciare la rai per la tv commerciale, fra i primi ad andarsene verso la nuova tv a pagamento, Sky, all’età di 84 anni. L’editoriale cita una geniale interpretazione di Carlo Freccero: «Per poter restare lo specchio immutabile degli italiani Mike era costretto a cambiare di continuo. Ma senza dichiararlo apertamente, perché il pubblico è conservatore e non glielo avrebbe mai perdonato». In mezzo alla sua vita, l’incontro con Berlusconi. «Socrate aveva trovato il suo Alcibiade, Aristotele il suo Alessandro» commenta divertito l’Editorialista, ma l’analisi si fa seria: «Ma un giudizio sereno non può che assegnare a Mike il ruolo di unico e vero ideologo del berlusconismo: inteso non come movimento politico, ma come fenomeno di massa, ebbene sì, culturale. Il contatto con la gente comune, la centralità della televisione, il linguaggio, semplice e non sgrammaticato, le gaffe, l’amore per il denaro e l’allergia per i salotti di potere. Tutto in lui faceva sì che la gente, guardandolo, dicesse: sicuramente non è uno di loro e forse è addirittura uno di noi. Uno che fa domande a cui non saprebbe mai rispondere. Come i grandi filosofi, appunto».

 

E inoltre sui giornali di oggi:

INCHIESTA DI BARI
CORRIERE DELLA SERA – Scoop bipartisan del quotidiano di via Solferino che pubblica estratti dal verbali dell’inchiesta dei magistrati di Bari su Giampaolo Tarantini. Una pagina, la 10, dedicata a Berlusconi: “Tarantini: il premier e quelle 30 ragazze. Diciotto serate e 1000 euro a chi restava – Nei verbali il racconto degli incontri: le retribuivo ma senza dirlo a Berlusconi”, e una pagina, la 11, dedicata al Pd: “«Donne al Pd Frisullo in cambio di favori. Le accompagnavo nel suo appartamento» – L’imprenditore: pagai una cena elettorale per D’Alema, c’era anche il sindaco Emiliano”.

BOFFO
AVVENIRE – “Caso «Giornale», il Copasir accerterà cosa è successo” è l’articolo di Danilo Paolini con cui si spiega come si cominci ad indagare «per verificare se dietro l’aggressione a mezzo stampa subita da Dino Boffo ci sia la “manina” di qualche appartenente ai servizi segreti». Ad occuparsi delle indagini sarà il Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica) che tuttavia fa sapere, per voce di Francesco Rutelli che lo presiede, «di non disporre di elementi specifici che facciano pensare ad un coinvolgimento di appartenenti o ex appartenenti ai servizi di sicurezza».

CLANDESTINI
IL GIORNALE – Nella notte fra venerdì e sabato in Algeria è stato arrestato Ali Bin Zahwa, dopo una fuga rocambolesca, boss dei boss della tratta degli esseri umani dall’Algeria all’Italia. La cronaca, a pag. 17, di Fausto Biloslavo che riporta «il viaggio costava 3-4mila euro e i clandestini venivano sbarcati in Sardegna». Un’infografica indica le rotte della schiavitù.


CARCERE
LA REPUBBLICA – “Sciopero della fame, detenuto muore a Pavia”. Sami Mbarka Ben Gargi, detenuto per reati di droga e violenza sessuale, era in sciopero della fame e della sete dal 16 luglio. Ricoverato per due volte (la prima il 31 agosto per un trattamento sanitario obbligatorio, la seconda il 2 settembre), è morto dopo aver perso 21 chili. Adesso l’autopsia per chiarire le cause della morte. Polemico il suo difensore (i magistrati hanno preso 20 giorni per analizzare e respingere la sua istanza di visita sanitaria). Quanto al direttore del carcere, già nei guai per la morte di un altro detenuto, afferma: «un soggetto già privato della libertà, non puoi privarlo della facoltà di decidere e quindi di autodeterminarsi».

IL GIORNALE – Nelle pagine Lombardia dà ampio spazio alla vicenda del sovraffollamento delle carceri lombarde  partendo dalla morte di un detenuto a Pavia. Un’infografica rivela che i detenuti in Lombardia sono 8.607, mentre il limite regolamentare è di 5.506, e di 8.518 persone  quello tollerabile. Luigi Pagano, provveditore agli istituti di pena, propone di «puntare su pene alternative alla detenzione e all’ampliamento delle strutture».

IL MANIFESTO – “Detenuto si lascia morire di fame” è il titolo che racconta del suicidio per sciopero della fame e della sete di Sami Mbarka Gargi, morto a Pavia ieri. L’avvocato del tunisino dice che era sconvolto dal fatto che la sua ex l’aveva accusato di stupro. «Adesso sarà la magistratura a stabilire se davvero non c’è colpevole per la morte di un uomo che aveva avuto il coraggio di levare la mano su di sé facendo lo sciopero della fame e della sete nel silenzio più totale. Non era mai successo in Italia, paese dove negli ultimi 28 anni (1980-2007) si sono uccise 1.363 persone detenute». L’articolo si conclude scrivendo che «Ieri i detenuti di due sezioni del carcere di Pavia hanno rifiutato il cibo per protesta dopo aver rumoreggiato per tutto il giorno (sono rinchiuse 436 persone, la capienza regolare sarebbe di 244, quella “tollerabile” 442). La magistratura ha avviato un’indagine con l’accusa di omicidio colposo e la deputata radicale Bernardini ha presentato un’interrogazione al ministro della Giustizia Alfano. L’autopsia stabilità le cause della morte di Ben Gargi. Ma non è agli anatomopatologi che bisogna andare a chiedere».

AMBIENTE
LA STAMPA – “Cento miliardi per salvare la terra”. Il quotidiano di Torino anticipa i contenuti di una comunicazione che la Commissione farà al Consiglio dell’Unione europea sulle previsioni di spesa per salvare il pianeta dall’effetto serra. Nel solo 2020 la comunità internazionale dovrà sborsare 100 miliardi di euro in risorse e e investimenti. Per arrivare a ridurre del 20% le emissioni di biossido di carbonio bisognerà mettere insieme a livello globale fra i 4 e i 7 miliardi di euro entro il 2012 poi la cifra salirà a 10 miliardi nel 2013 e sempre di più fino al 2020. Intanto vanno «a passo di lumaca» i negoziati fra Europa, Usa e Paesi asiatici in vista del summit di Copenhagen di fine anno. 

SCUOLA
IL MANIFESTO -Nella pagina milanese del MANIFESTO l’articolo è dedicato alle scuole «Nidi e materne allo sbando il “modello Milano” non va». Mariangela Maturi fa l’elenco «Le elementari sono allo sbando, alle medie ci sono più studenti per classe che brufoli sulle facce dei ragazzini, alle superiori manca la carta igienica e qualche professore (…) Proviamo a passare agli asili del Comune di Milano. SI salvano almeno loro? No, anzi peggio che peggio» e via elencando le lamentele che arrivano da alcuni genitori delle scuole per l’infanzia «il “modello Milano” tanto declamato dall’assessore Mariolina Maioli fa acqua da tutte le parti. I genitori di nidi e materne dell’associazione “Chiedoasilo» spiegano quali sono i problemi che hanno generato il caos: innanzitutto gli orari. L’orario di entrata è stato anticipato, l’uscita posticipata. Senza però aumentare l’organico educativo e ausiliario (…) Le educatrici sono state smistate, perché gli insegnanti in ruolo dovrebbero essere due per classe….» E infine le cooperative «A luglio il nuovo bando determinava condizioni che le vecchie coop non potevano sostenere. Al momento di andarsene, hanno rimosso dalle classi tutto il materiale, dai giochi ai fasciatoi. Il cambio di gestione non è stato risolutivo, e le scuole sono ancora mezze vuote. Ci sono solo i bambini (…)».


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