Economia

La rivoluzione impossibile

Il 1 gennaio 2010 dovrebbero sparire i sacchetti di plastica. Ma siamo sicuri che sarà così?

di Lorenzo Alvaro

A partire dal 1 gennaio del 2010 in Italia si sarebbe dovuto dire addio alle buste di plastica utilizzate per fare la spesa di tutti i giorni. A partire da tale data, infatti, i sacchetti di plastica non avrebbero più dovuto circolare in virtù della messa al bando del materiale, ovverosia il polimero, con cui sono fatte. Purtroppo rischia di rimanere una promessa, un buon proposito. Questo perchè il nostro Parlamento nel legiferare a riguardo ha puntato sul divieto «all’italiana». Senza multe o sanzioni per i trasgressori. Questo perchè in Europa c’è la libera circolazione delle merci e senza una direttiva comunitaria il veto non può essere imposto.
La Finanziaria 2007 ha segnato comunque un primo passo, ha sancito il principio secondo il quale si debba fare riefrimento al biodegradabile. L’alternativa si chiama mater-bi: è un «polimero biodegradabile» ricavato dall’amido di mais, brevettato e prodotto dalla Novamont, azienda nata come costola della Montedison e ora autonoma, con sede a Novara e stabilimenti a Terni. L’eco-plastica, dunque.
Ma le magagne e i problemi continuano.
In primo luogo la capacità produttiva del succedaneo è limitata: 20-30 mila tonnellate all’anno, a fronte delle 300 mila consumate per le buste non biodegradabili. Anche la terza via, un materiale derivato dalle bucce di pomodoro, è ancora allo stato embrionale e l’uso industriale è ancora lontano. Dunque, salvo ripensamenti, non succederà nulla. Almeno, non per obbligo. La scelta di ammazzare il sacchetto di plastica per il momento è lasciata alla coscienza ecologica e alle valutazioni di convenienza delle singole catene commerciali. Qualche catena ha deciso. Qualcuna ci sta pensando. Altre temporeggiano.
Gli unici che hanno preso sul serio la legge sono stati i supermercati di Coop Adriatica che hanno già eliminato la plastica e i sacchetti usa e getta.
I francesi di Auchan sono stati i primi a saltare l’ostacolo: dopo l’esperimento di Antegnate, Bergamo, dal 22 marzo primo market shopper-free in Italia, a partire da luglio tutti i cinquanta negozi del loro circuito italiano offriranno ai clienti la scelta fra il sacchetto in mater-bi (la pellicola biodegradabile che si ricava dal mais, dall’olio di girasole, dalla patata o dagli scarti di pomodoro) a 10 centesimi, quello di carta a 18, o i contenitori riutilizzabili di plastica o cartone a 99.
Ma le altre catene della grande distribuzione sono più prudenti. Crai, Esselunga, Despar non hanno deciso cosa fare: tutte comunque offrono già alternative riciclabili o riutilizzabili allo shopper di plastica (Esselunga addirittura in 19 modelli diversi), ma stanno ancora valutando se decretare l’ostracismo definitivo di quelle tradizionali. Carrefour e Conad, invece, in assenza di obblighi precisi di legge, continueranno a lasciare al consumatore la scelta.
La difficoltà maggiore però sarà far cambiare abitudini agli italiani. I numeri parlano da soli. Siamo arrivati a consumare due miliardi di sacchetti al mese, 400 a testa in un anno, un quarto di quelli che si producono in tutta Europa. Se li stendessimo per terra come, ogni anno potremmo ricoprirci per intero la Valle d’Aosta. Per fabbricarli consumiamo petrolio come 160 mila automobili. Meno di tre su dieci vengono riciclati. Per smaltire il resto pompiamo in atmosfera 200 mila tonnellate di anidride carbonica. È il rifiuto più diffuso sul fondo dei nostri mari, il fiore più vistoso dei nostri prati di periferia, l’ospite ingombrante dei parchi naturali, delle vette alpine, delle spiagge incontaminate.
Ma no basta il dato più allarmante è che la sua vita, come oggetto utile, dura circa 12 minuti, il tempo medio tra la cassa e il frigo. La sua vita, come oggetto inutile e ingombrante, invece va da 20 a 200 anni, il tempo che ci mette ad essere assorbito dal pianeta.



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