«Il primo è quello normale.
Il secondo invece si applica agli obiettivi specifici di un alunno non italiano», spiega Elena Borgnino preside della “superscuola degli stranieri” del milanese quartiere Corvetto. «Ma adesso
gli italiani hanno smesso di scappare». Ecco la ricetta
di un miracolo possibile«È la scuola degli stranieri e dei rom, vado a iscrivere mio figlio da un’altra parte». Era questa la frase più frequente che Elena Borgnino, 53 anni, si sentiva ripetere più volte al giorno al suo arrivo da preside, nel 2006, all’istituto comprensivo Lorenzini-Feltre, periferia sud-est di Milano. Allora la scuola era nella top ten delle scuole con maggior presenza di alunni non italiani, con punte dell’80% in una sola classe. Eppure, tre anni dopo, la “superscuola del Corvetto” (che da quest’anno conta su quattro sedi e un migliaio di alunni, divisi tra i 390 delle 18 classi medie e i 550 delle 25 sezioni di elementari) è diventata un modello di integrazione ed efficienza, con programmi all’avanguardia e una netta inversione di tendenza: «Nel 2009-2010 gli italiani saranno il 47%», spiega la preside, «abbiamo arginato la fuga».
Vita: Come ci siete riusciti?
Elena Borgnino: Ribaltando i pregiudizi con una precisa mission: garantire qualità nella diversità. Puntiamo sull’incontro tra culture, per poi fare un lavoro differenziato a seconda dei livelli di risposta degli alunni. È un metodo che funziona, tanto che sempre più genitori vengono a vedere come operiamo. Altro che “scuola degli stranieri”, oggi siamo una “scuola del mondo”.
Vita: Nel concreto?
Borgnino: Alle medie ci sono, ad esempio, i laboratori mirati: chi vuole andare al liceo segue corsi più teorici, chi ha tempi di attenzione ridotti e fa più difficoltà, svolge attività di elettricista, meccanico, estetista o parrucchiera, e la scuola si avvale della collaborazione di enti del terzo settore radicati nel territorio. Poi si punta all’inserimento della famiglia degli studenti stranieri nella vita scolastica, anche tramite mediatori culturali: un risultato tangibile è l’aumento di non italiani tra i rappresentanti dei genitori, anche grazie all'”esempio” dei ragazzi (è straniero un rappresentante di classe su due).
Vita: Come risolvete il problema dell’inserimento?
Borgnino: Premesso che almeno la metà degli alunni stranieri sono seconde generazioni nate in Italia e parlano la nostra lingua, per i nuovi arrivati, oltre a un docente “facilitatore” che li segue per alcune ore al giorno in un’aula separata, c’è la figura del tutor alla pari: un ragazzo più grande della stessa nazionalità che passa con ciascun nuovo arrivato due ore al giorno per farlo ambientare nella scuola. Il risultato è ottimo.
Vita: Ci sono “quote stranieri” nelle classi?
Borgnino: Assolutamente no. Si punta alla “equeterogeneità”: presenza di tutte le etnie, equità nel genere e nei livelli di apprendimento.
Vita: I programmi sono differenziati?
Borgnino: No. Ma sono diversi sia gli obiettivi minimi, a seconda del grado di conoscenza della lingua, che il tipo di valutazione: ad esempio, c’è l’8 “normale” e quello con l’asterisco a fianco, che è da leggere in base agli obiettivi specifici dell’alunno.
Vita: In che lingua si parlano gli stranieri?
Borgnino: Italiano, da subito, spesso anche i connazionali. Capita che genitori stranieri si lamentino del fatto che a casa i loro figli “dimentichino” la lingua madre!
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