Formazione

Con gli studenti ci vado al bar

Lezione di religione in Brianza

di Redazione

La fiducia? Per Enzo Gibellato «si conquista solo parlando della realtà, anche di fronte a una spuma fuori dall’orario scolastico»A scuola lo conoscono tutti come il prof delle lezioni itineranti. Talvolta porta i suoi studenti in cortile, percorre le scale fino alla segreteria e bussando chiede di entrare. Quindi, indica per terra: «Guardate come la luce filtra tagliando il pavimento», dice. I ragazzi, un po’ straniti, seguono il dito di quello strano professore, che sul più bello tira fuori da sotto il braccio un quadro, Edward Hopper. «Guardate un po’ chi si è sorpreso di questa bellezza a casa sua!». Enzo Gibellato da 30 anni insegna religione in 18 classi, all’Istituto tecnico Leonardo da Vinci di Carate Brianza, e a quella docenza non rinuncerebbe nemmeno se gli offrissero un’altra cattedra. «Ho insegnato italiano e storia dell’arte, ma questa è in assoluto l’esperienza più stimolante». Dalle sue lezioni transitano ogni settimana qualcosa come 450 studenti e i suoi colleghi hanno imparato a bussare per entrare in aula dopo di lui: «Mi sgridano perché rubo tempo all’ora successiva», dice. «Ma come si fa a sospendere domande importanti col suono della campanella?». Dopo 30 anni ha semplicemente deciso che non si può e, per spiegare il cuore della sua didattica, cita un articolo di Roberto Gramiccia sulla necessità di riscoprire il bello come forma di opposizione al pensiero unico («Giotto e Beato Angelico. Per distinguere il bello dall’osceno», Liberazione, 15 maggio). «Lì c’è tutto il Gibellato pensiero», afferma, sottolineando che quello stralcio di giornale glielo ha passato un collega dichiaratamente “critico” sulle sue posizioni. «Ma sa, a guardarsi in faccia per davvero finisce che ci si scopre vicini proprio quando ci si credeva lontani. E la scuola è un luogo di prossimità dove questo ancora accade. Perciò la mia lotta è ad esserci fisicamente: nelle aule, nei corridoi, nella commissione».
Vita: Sembra una questione di vita o di morte?
Enzo Gibellato: In un certo senso lo è. Soprattutto quando si è titolari di una docenza facoltativa: senza la tensione a creare le condizioni di un riconoscimento reciproco, senza che accada una stima, non c’è neppure la comunicazione di un contenuto.
Vita: In quanti aderiscono all’ora di religione?
Gibellato: Fino a 7-8 anni fa, da noi, la percentuale di affluenza era del 98-99%. Oggi registriamo un picco storico di disaffezione con l’8% di assenze. Un dato al ribasso, che tuttavia è confortante se paragonato agli altri Itis della provincia di Milano, dove le diserzioni oscillano fra il 40 e il 48%. In un contesto in cui la famiglia non ha più nella religione un punto di riferimento certo, la partecipazione o meno a quest’ora è quanto mai espressione della libertà di scelta.
Vita: Il che giudica implicitamente anche voi insegnanti. Come rilancia la sua proposta agli studenti?
Gibellato: Credo che non si possa raccontare una tradizione o un fatto storico senza “incidentarsi” sul presente. Mi considero uno che inciampa continuamente sul reale, se ne sorprende e lo mette davanti ai suoi studenti. Che si parli di Vangelo, esegesi o mondo ebraico, cerco di partire sempre da un elemento di esperienza e preferibilmente da un dato di bellezza.
Vita: Per esempio?
Gibellato: L’anno scorso ho esordito citando la Tomba del tuffatore di Paestum, che avevo visto quell’estate: «Potessimo affrontare la vita con lo slancio con cui quel tuffatore si getta nel mare ignoto dell’al di là!». Una volta, poi, per spiegare cos’è il cristianesimo raccontai l’episodio delle nozze di Cana. «La prima cosa che Gesù ha fatto entrando sulla scena del mondo non è stata pregare o spiegare Dio, ma esaudire una donna che lo sollecitava sulla mancanza di vino», dissi. «Ecco, una presenza entra nel mondo e rende felice l’uomo offrendogli da bere gratis. E, siccome mi auguro che tra noi possa essere così, andiamo a prendere la spuma al bar».


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