Non profit

La beneficenza costa?

Raccolte fondi: c’è un limite alle spese per la raccolta?

di Riccardo Bonacina

Cari amici, ho letto con attenzione il vostro articolo su ?Trenta ore per la vita?, in cui giustamente avete pubblicato il bilancio della scorsa edizione del programma benefico in onda su Canale 5. Finalmente si riesce a sapere con precisione che fine fanno tutti i miliardi che gli spettatori donano da casa, convinti di fare un?opera di bene. Gli otto miliardi che ?Trenta ore per la vita? ha donato l?anno scorso distribuendoli tra diverse associazioni, sono una bella cifra; ma quello che mi ha maggiormente colpito leggendo con attenzione il bilancio che avete pubblicato è stata la differenza tra entrate ?lorde?, diciamo così, e la somma poi data alle associazioni beneficiarie. La trasmissione ha infatti raccolto quasi 14 miliardi e mezzo, ma ne ha distribuiti 6 in meno. La differenza è pari, se calcolo bene, a qualcosa in più del 42 per cento del totale! Non vi sembra tanto? Come è possibile che per fare del bene si abbiano così tante spese? E mi chiedo ancora: si fa abbastanza per portare questa percentuale a un livello più accettabile, diciamo attorno al 20 per cento (cifra che ?sparo?, non essendo una addetta ai lavori)? Spero che qualcuno mi possa rispondere. Non è piacevole sapere che se si offrono diecimila lire, quattromila se ne vanno tra Telecom, produzioni televisive, gadgets e non bene identificate ?spese del comitato organizzatore?. Natalia Roccella, Termoli Risponde R. Bonacina: Cara lettrice, lei pone un problema delicato e finalmente all’ordine del giorno. Talmente all’ordine del giorno che non è più tabù rendere pubblico il rendiconto di una raccolta fondi. Due anni fa, quando chiedevamo i bilanci delle raccolte televisive (escludendo Telethon che da anni rispetta standard di trasparenza) ci venivano negati o ci venivano recapitati foglietti della spesa indegni persino dei più elementari principi di economia domestica. Oggi praticamente tutti sentono il dovere di un po? di trasparenza e rispetto verso la generosità degli italiani che non diminuisce e che continua ad affidare ad enti non profit centinaia di miliardi l’anno. In Rai esiste oggi un codice per chi chiede di accedere ad una raccolta fondi (chissà se rimarrà solo una carta?), e nel mondo non profit si sta lavorando da tempo ad un codice di autoregolamentazione per la raccolta fondi. Si tratta di un tavolo di lavoro promosso da Sodalitas che approderà entro poche settimane alla presentazione del Codice. Inutile sottolineare che in altri Paesi, in Francia, in Germania, in Inghilterra queste regole sono in vigore da anni . Forse proprio l’esistenza di un settimanale come il nostro ha contribuito a far crescere questo bisogno di trasparenza e di regole. Venendo al caso specifico di “Trenta ore per la Vita”, la sua osservazione è più che pertinente e una quota di costi che superi il 40% del denaro raccolto è sicuramente spropositata. Spropositata anche perché continuiamo ad avere una Telecom che su queste iniziative benefiche continua a non praticare sconti (non è ammissibile che dopo una maratona televisiva si presenti una bolletta da due miliardi e mezzo! Speriamo nella concorrenza). Un cittadino che dona 100 lire vorrebbe che tutte, o quasi, le 100 lire andassero per rispondere al bisogno e non per spesare la struttura che promette di rispondere al bisogno. I codici internazionali di regolamentazione chiedono che il progetto di raccolta non superi la soglia del 35% di incidenza globale dei costi sul totale della raccolta, comprese le spese generali dell’organizzazione, i costi di promozione, di pubblicità, di produzione dell’evento. Fin qui le regolamentazioni, buona amministrazione e trasparenza vorrebbero, a mio parere, che però i costi non superino mai la soglia del 30% della raccolta.


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