Cultura

Ryszard Kapuscinski. Questo multimondo

Il secolo passato non è stato solo il secolo dei grandi totalitarismi. E' stato anche il secolo in cui tante culture si sono svegliate (di Ryszard Kapuscinski).

di Redazione

Signore e signori, membri di questa autorevole giuria questo è per me un momento felice e molto commovente. Sono grato ai membri di questa giuria per avermi conferito un riconoscimento così importante e prestigioso: il premio Grinzane Cavour per la lettura. Sono molto onorato per il vostro atto di sincera generosità. Dopo aver viaggiato per il mondo per quasi mezzo secolo, è giunto il momento di soffermarmi sulle impressioni che ho raccolto da questi viaggi. Dire che il mondo è vario è un luogo comune, ma è questo il punto di partenza, perché la diversità è una caratteristica fondamentale del genere umano, una caratteristica immutata con il passare dei secoli. Eppure, nonostante questa diversità appaia quotidianamente ai nostri occhi, la mentalità continua a opporre resistenza a comprendere e accettare tale eterogeneità. La nostra mentalità rivela una tendenza assolutistica e standardizzante, richiede monotonia e uniformità in ogni cosa e in ogni luogo, la nostra cultura e i nostri valori sono gli unici che contano. Riteniamo che siano i soli perfetti e universali, senza però chiedere agli altri come la pensano. è proprio qui che sta la grande contraddizione, la contraddizione tra la sostanziale diversità, obiettivamente esistente, e l?ostinato desiderio della mente umana di sostituirla con la visione di un mondo unificato, indiscutibilmente omogeneo. Quanti conflitti, inclusi i più sanguinosi, affondano le radici in questa inconciliabile contraddizione! (…) La caduta del giogo Il ventesimo non è stato un secolo solo di sistemi totalitaristici e guerre. è stato anche il secolo della decolonizzazione, di un grande processo di liberazione. Tre quarti degli abitanti della Terra si sono liberati dal giogo coloniale e, almeno ufficialmente, sono diventati cittadini del mondo a pieno titolo. Non si è mai verificato un evento simile nel corso della storia, né mai si ripeterà. Nel giudicare la decolonizzazione, l?opinione contemporanea si è focalizzata sugli aspetti politici ed economici, su questioni quali: i sistemi di governo nei nuovi Stati, gli aiuti internazionali, i debiti o la lotta contro la fame. Allo stesso tempo, il grande processo di liberazione dei Paesi assoggettati ha rappresentato uno straordinario fenomeno di civilizzazione che ha segnato l?inizio di un mondo multiculturale interamente nuovo. Naturalmente, le divisioni culturali sono sempre esistite. L?archeologia, l?etnografia, la storia tramandata oralmente o scritta ci hanno fornito per anni infinite prove della loro ricchezza e varietà. Ma in tempi più recenti la dominazione della cultura europea è stata così prepotente che le culture non europee, quali quella araba e la cinese, si sono trovate in uno stato di torpore e ibernazione mentre la cultura bantu e quella andina sono state totalmente marginalizzate e ignorate. Monopolio addio Il primo attacco a questo monopolio eurocentrico, a questa dilagante e quasi completa dominazione della cultura europea, ha avuto luogo agli inizi dell?era della decolonizzazione, precisamente alla metà del ventesimo secolo. Questo movimento verso l?acquisizione di pari diritti e il riconoscimento della loro importanza, del loro valore e della loro unicità e della loro forza, è stato soffocato e contenuto per più di quattro decenni dalla Guerra fredda. (…) Quali enormi cambiamenti hanno avuto luogo nel mondo al di fuori dell?Europa! Un tempo, l?Europa, per mezzo delle sue istituzioni e dei suoi abitanti, era saldamente insediata in questo mondo. Grazie a questo, se si viaggiava fino ai più lontani angoli del mondo, si aveva come l?impressione di non aver mai lasciato l?Europa. L?Europa era ovunque! Se atterravo a Morondova in Madagascar, trovavo un hotel europeo ad attendermi. Sull?aereo da Salisburgo a Fort Lamy, i piloti della compagnia di bandiera erano europei. In edicola a Lagos potevo comprare il Times di Londra o l?Observer. Queste cose oggi non sono più possibili. A Morondova c?è solo un hotel, il Malagasy, i piloti sono africani e a Lagos si può comprare unicamente la stampa nigeriana. I cambiamenti nelle istituzioni culturali sono ancora maggiori. Nelle Università di Kampala, Varanasi (Bengasi) o Manila i professori europei sono stati sostituiti dagli accademici locali, per la prima volta i libri in arabo hanno decisamente predominato al Salone del libro de Il Cairo. Il termine ?internazionale? ha un significato in Europa e un altro nel Terzo mondo. Ad esempio, se guardo la pagina internazionale del telegiornale a Gaborone, la capitale del Botswana, mi troverò di fronte a notizie dal Mozambico, Swaziland, Zaire, niente di più. Se lo guardo a La Paz, la capitale della Bolivia, i servizi tratteranno notizie dall?Argentina, dalla Colombia e dal Paraguay. Il mondo è diverso ed è inteso in modo diverso in ogni angolo della terra. Se non accettiamo questa semplice verità è difficile comprendere il comportamento degli altri, i motivi e gli scopi delle loro azioni. Tuttavia, nonostante i progressi nei trasporti e nelle telecomunicazioni e i miti assai diffusi, la nostra reciproca familiarità continua a essere superficiale, per la maggior parte inesistente. Un difensore della rivoluzione mediatica, Marshall McLuhan, credeva che grazie alla televisione il pianeta sarebbe diventato un villaggio globale. Oggi sappiamo che è difficile trovare una metafora più falsa. Perché l?essenza di un villaggio è la vicinanza e l?affinità emotiva, una condivisione di calore umano, di intima familiarità, una comunità di esistenze ed esperienze condivise. No, non viviamo in un villaggio globale, piuttosto in una metropoli globale, un magazzino o un deposito dove la ?folla leonina? di David Riesman si accalca, una folla di gente indifferente, nervosa, che si sfiora, che non vuole conoscersi o avvicinarsi. La verità è che più si stringono i contatti elettronici tra le persone, più si allontanano i contatti umani. La presenza europea sta scomparendo da molte zone del pianeta. Il noto giornalista italiano Riccardo Orizio lo scorso anno ha pubblicato un libro intitolato Tribù bianche perdute. Viaggi tra i dimenticati in cui parla degli ultimi gruppi di europei da lui incontrati in Sri Lanka, Giamaica, Haiti, Namibia e Guadalupa. In genere si tratta di persone anziane e sole perché i giovani se ne sono andati e dall?Europa non arriva più nessuno. Negli ultimi decenni, l?Europa e la sua cultura hanno attinto da zone che tradizionalmente appartenevano a culture diverse: cinese, indù, islamica e africana. Con la mancanza di interessi politici e soprattutto economici, l?Europa non ha ancora trovato nuove motivazioni per continuare a essere presente e coesistere con queste civiltà. Il suo posto però non è rimasto vuoto. Molte culture locali, autoctone, fervide e agguerrite la stanno già rimpiazzando. Durante gli ultimi tre anni, ho trascorso lunghi periodi in Asia, Africa e America Latina. Ho vissuto tra cristiani in America Latina, islamici in Asia, indiani buddisti e animisti di Puno e indù, tra gli abitanti della Guyana e del Sudan. Li avevo incontrati per la prima volta alcune decine d?anni or sono, quando a fatica iniziavano a sollevarsi da secoli di dipendenza. Cos?è che mi ha colpito? Cos?è che ha catturato la mia attenzione? Questo: il loro atteggiamento ora è caratterizzato dalla dignità, dall?orgoglio per la propria cultura e dal senso di appartenenza a una civiltà propria e distinta. Ormai non soffrono più di alcun complesso di inferiorità, un tempo così ovvio e opprimente. Al contrario, un desiderio di essere rispettati ed essere considerati alla pari. Un tempo l?essere europeo mi garantiva innumerevoli privilegi. Continuo a trovare una calda accoglienza, ma ora non ho più alcun privilegio. Una volta mi facevano domande sull?Europa, ora non più. Ora sono occupati dalle loro incombenze e dalle loro preoccupazioni. Sono ancora un europeo, ma un europeo detronizzato. (…) La chance dell?Europa L?Occidente non è riuscito a capire che fuori stava nascendo un mondo nuovo: ieri colpito duramente e sottomesso, oggi sempre più indipendente, orgoglioso, agguerrito nella lotta per la sua libertà. Il processo di isolamento dell?Occidente dai Paesi poveri sottosviluppati è stato recentemente descritto dall?ottimo giornalista francese J. C. Rufin nel suo libro L?Empire et les nouveaux barbares. Rupture Nord-Sud. L?Occidente, scrive Rufin, vuole prendere le distanze dai ?barbari?, vuole chiudersi come Roma all?interno di confini murati a calce o serrarsi in un regime di apartheid, dimenticando che oggi questi ?barbari? sono più dell?80 per cento dell?umanità! La prima reazione alla rinascita che il Terzo mondo sta vivendo è una presa di distanza di esso. Ma dove ci porterà questa strada di sospetto e malanimo, in un mondo colmo fino all?orlo di armi alla portata di tutti? Il separarsi e il chiudersi in se stessi non è quindi una strategia vincente. Che soluzione ci rimane? L?incontro? La conoscenza? Il dialogo? Questa non è una raccomandazione, è la realtà che un mondo multiculturale deve affrontare. A questo proposito l?Europa si trova davanti a una grande sfida. Deve ritagliarsi un posto in un mondo in cui è sempre stata avvantaggiata dall?esclusività della sua posizione e dove ora invece si trova a dover convivere in una famiglia formata da molte altre culture che avanzano e si consolidano, ad esempio attraverso la progressiva emigrazione verso i Paesi europei. Questo nuovo ambiente culturale planetario può dimostrarsi illuminante, benefico e fertile per l?europeo, perché non è detto che l?incontro tra culture e civilità diverse debba portare a uno scontro. Ryszard Kapuscinski


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