Cultura

Il classico napoletano? Sinonimo d’immortalità

Recensione del cd "Serenata luntana" della Napoli MandolinOrchestra.

di Enrico Barbieri

Sarebbe soddisfatto perfino quel Lello Arena, grottesco paladino della tradizione melodica partenopea, che in un film con Troisi ripeteva ossessivo “Napoli nun ha da cagnà”. E sono felici tutti gli amanti di questa musica che Serenata luntana ha cambiato ben poco. Il disco è il prodotto dell?estro musicale di Antonello Palliotti e della gloriosa Accademia Mandolinistica Napoletana, riuniti sotto il nome di Napoli MandolinOrchestra. Una parata di plettri eccellenti per ridar vita a qualche frammento d?uno sterminato repertorio. Il vitalismo incontenibile di queste serenate e canzoni per cuori affranti è la qualità più evidente dell?album. Non l?unica: sono frequenti e raffinatissime le varianti apportate nella scrittura da Palliotti. Facendo scorrere il disco ci s?imbatte in preziosi ritrovamenti: dopo una delicatissima Era de Maggio, tutta in punta di plettro, ecco Mare ?e Margellina, composta dal grande Raffaele Viviani. Sgattaiola veloce veloce La Danza di Rossini. Ma Serenata luntana non si sottrae alla sfida dei cavalli di battaglia: ci sono addirittura O sole mio e Funiculì funicolà. Dimostrare che migliaia di versioni, spettacolini folcloristici e mandolinisti da ristorante non sono riusciti a logorare questi pezzi non era impresa da poco. Ma chi ha dato, ha dato: scordate tutto, regalate a un grande classico le scene più adatte e gli attori giusti, e questo vivrà mille volte ancora.


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