Mondo

Gangs of New York, Macbeth a Manhattan

Recensione del film "Gangs of New York" di Martin Scorsese.

di Giuseppe Frangi

Potente, esagerato, brutale: è un film assolutamente elisabettiano quello con cui Martin Scorsese è tornato alla grandezza che gli conoscevamo. Gangs of New York, che racconta l?impatto violento nella nascente metropoli tra i nativi protestanti e le fiumane di immigrati irlandesi cattolici, inizia con la scena di una gigantesca rissa all?ultimo sangue. Siamo a Five Points, oggi angolo sperduto nella City Hall di Manhattan. Tra case che sono poco più che capanne, sulla piazza coperta di neve, le due gang si affrontano nella prima resa dei conti. Coltelli, accette, spade volano a ferire, uccidere, amputare. Scorsese accetta questa full immersion in una violenza che prende alla gola e toglie il respiro, non ce ne risparmia neanche una sillaba. La filma a singhiozzo, tanto la macchina da presa sembra ammutolita. Poi, a contendenti esausti, con i morti su quel letto di neve, si allontana dall?alto, facendoci vedere l?infinita distesa di casupole imbiancate che facevano la Manhattan del 1846. Al centro, spicca il triangolo rosso insanguinato di Five Points. è l?emblema di un film, che documenta senza retorica e senza ostilità preconcetta, quanto la violenza sia insita nel dna della civiltà americana. Scorsese ama l?America. Per questo non ha bisogno di censurarne la storia. E forse è per questo che l?America oggi invece non ama Scorsese.


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