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Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzionedelle misure privative e limitative della libertà
di Redazione
Legge 26 luglio 1975, n. 354 (in Gazz. Uff., 9 agosto 1975, n. 212,
s.o.). — Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione
delle misure privative e limitative della libertà
TITOLO I
Capo I
Art. 1.
Trattamento e rieducazione.
Il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve
assicurare il rispetto delle dignità della persona.
Il trattamento è improntato ad assoluta imparzialità, senza
discriminazioni in ordine a nazionalità, razza e condizioni
economiche e sociali, a opinioni politiche e a credenze religiose.
Negli istituti devono essere mantenuti l’ordine e la disciplina.
Non possono essere adottate restrizioni non giustificabili con le
esigenze predette o, nei confronti degli imputati, non indispensabili
a fini giudiziari.
I detenuti e gli internati sono chiamati o indicati con il loro
nome.
Il trattamento degli imputati deve essere rigorosamente informato
al principio che essi non sono considerati colpevoli sino alla
condanna definitiva.
Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato
un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con
l’ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi. Il
trattamento è attuato secondo un criterio di individualizzazione in
rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti.
Art. 2.
Spese per l’esecuzione delle pene e delle misure di sicurezza
detentive.
Le spese per l’esecuzione delle pene e delle misure di sicurezza
detentive sono a carico dello Stato.
Il rimborso delle spese di mantenimento da parte dei condannati si
effettua ai termini degli articoli 145, 188, 189 e 191 del codice
penale e 274 del codice di procedura penale.
Il rimborso delle spese di mantenimento da parte degli internati si
effettua mediante prelievo di una quota della remunerazione a norma
del penultimo capoverso dell’articolo 213 del codice penale, ovvero
per effetto della disposizione sul rimborso delle spese di spedalità,
richiamata nell’ultima parte dell’articolo 213 del codice penale.
Sono spese di mantenimento quelle concernenti gli alimenti ed il
corredo.
Il rimborso delle spese di mantenimento ha luogo per una quota non
superiore ai due terzi del costo reale. Il Ministro per la grazia e
giustizia, al principio di ogni esercizio finanziario, determina,
sentito il Ministro per il tesoro, la quota media di mantenimento dei
detenuti in tutti gli stabilimenti della Repubblica.
Art. 3.
Parità di condizioni fra i detenuti e gli internati.
Negli istituti penitenziari è assicurata ai detenuti ed agli
internati parità di condizioni di vita. In particolare il regolamento
stabilisce limitazioni in ordine all’ammontare del peculio
disponibile e dei beni provenienti dall’esterno.
Art. 4.
Esercizio dei diritti dei detenuti e degli internati.
I detenuti e gli internati esercitano personalmente i diritti loro
derivanti dalla presente legge anche se si trovano in stato di
interdizione legale.
Art. 4-bis.
Divieto di concessione dei benefici e accertamento della pericolosità
sociale dei condannati per taluni delitti.
1. Fermo quanto stabilito dall’art. 13-ter del D.L. 15 gennaio
1991, n. 8, convertito, con modificazioni, nella legge 15 marzo 1991,
n. 82, l’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio, e le
misure alternative alla detenzione previste dal capo VI della L. 26
luglio 1975, n. 354, fatta eccezione per la liberazione anticipata,
possono essere concessi ai detenuti e internati per delitti commessi
avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis del codice
penale ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni
previste dallo stesso articolo nonché per i delitti di cui agli
articoli 416-bis e 630 del codice penale e all’art. 74, D.P.R. 9
ottobre 1990, n. 309, solo nei casi in cui tali detenuti e internati
collaborano con la giustizia a norma dell’art. 58-ter. Quando si
tratta di detenuti o internati per uno dei predetti delitti, ai quali
sia stata applicata una delle circostanze attenuanti previste dagli
articoli 62, numero 6), anche qualora il risarcimento del danno sia
avvenuto dopo la sentenza di condanna, o 114 del codice penale,
ovvero la disposizione dell’articolo 116, secondo comma, dello stesso
codice, i benefici suddetti possono essere concessi anche se la
collaborazione che viene offerta risulti oggettivamente irrilevante
purché siano stati acquisiti elementi tali da escludere in maniera
certa l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata.
Quando si tratta di detenuti o internati per delitti commessi per
finalità di terrorismo o di eversione dell’ordinamento costituzionale
ovvero di detenuti o internati per i delitti di cui agli articoli
575, 628, terzo comma, 629, secondo comma del codice penale e
all’art. 73, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’art.
80, comma 2, del predetto testo unico approvato con decreto del
Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, i benefici suddetti
possono essere concessi solo se non vi sono elementi tali da far
ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalità
organizzata o eversiva.
2. Ai fini della concessione dei benefici di cui al comma 1 il
magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza decide
acquisite dettagliate informazioni per il tramite del comitato
provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica competente in
relazione al luogo di detenzione del condannato. In ogni caso il
giudice decide trascorsi trenta giorni dalla richiesta delle
informazioni. Al suddetto comitato provinciale può essere chiamato a
partecipare il direttore dell’istituto penitenziario in cui il
condannato è detenuto.
2-bis. Ai fini della concessione dei benefici di cui al comma 1,
terzo periodo, il magistrato di sorveglianza o il tribunale di
sorveglianza decide acquisite dettagliate informazioni dal questore.
In ogni caso il giudice decide trascorsi trenta giorni dalla
richiesta delle informazioni.
3. Quando il comitato ritiene che sussistano particolari esigenze
di sicurezza ovvero che i collegamenti potrebbero essere mantenuti
con organizzazioni operanti in ambiti non locali o extranazionali, ne
dà comunicazione al giudice e il termine di cui al comma 2 è
prorogato di ulteriori trenta giorni al fine di acquisire elementi ed
informazioni da parte dei competenti organi centrali.
3-bis. L’assegnazione al lavoro all’esterno, i permessi premio e le
misure alternative alla detenzione previste dal capo VI, non possono
essere concessi ai detenuti ed internati per delitti dolosi quando il
Procuratore nazionale antimafia o il procuratore distrettuale
comunica, d’iniziativa o su segnalazione del comitato provinciale per
l’ordine e la sicurezza pubblica competente in relazione al luogo di
detenzione o internamento, l’attualità di collegamenti con la
criminalità organizzata. In tal caso si prescinde dalle procedure
previste dai commi
Capo II
Art. 5.
Caratteristiche degli edifici penitenziari.
Gli istituti penitenziari devono essere realizzati in modo tale da
accogliere un numero non elevato di detenuti o internati.
Gli edifici penitenziari devono essere dotati, oltre che di locali
per le esigenze di vita individuale, anche di locali per lo
svolgimento di attività in comune.
Art. 6.
Locali di soggiorno e di pernottamento.
I locali nei quali si svolge la vita dei detenuti e degli internati
devono essere di ampiezza sufficiente, illuminati con luce naturale e
artificiale in modo da permettere il lavoro e la lettura; aerati,
riscaldati ove le condizioni climatiche lo esigono, e dotati di
servizi igienici riservati, decenti e di tipo razionale. I detti
locali devono essere tenuti in buono stato di conservazione e di
pulizia.
I locali destinati al pernottamento consistono in camere dotate di
uno o più posti.
Particolare cura è impiegata nella scelta di quei soggetti che sono
collocati in camere a più posti.
Agli imputati deve essere garantito il pernottamento in camere ad
un posto a meno che la situazione particolare dell’istituto non lo
consenta.
Ciascun detenuto e internato dispone di adeguato corredo per il
proprio letto.
Art. 7.
Vestiario e corredo.
Ciascun soggetto è fornito di biancheria di vestiario e di effetti
d’uso in quantità sufficiente, in buono stato di conservazione e di
pulizia e tali d’assicurare la soddisfazione delle normali esigenze
di vita.
L’abito è di tessuto a tinta unita e di foggia decorosa. é concesso
l’abito di lavoro quando è reso necessario dall’attività svolta.
Gli imputati e i condannati a pena detentiva inferiore ad un anno
possono indossare abiti di loro proprietà, purché puliti e
convenienti. L’abito fornito agli imputati deve essere comunque
diverso da quello dei condannati e degli internati.
I detenuti e gli internati possono essere ammessi a far uso di
corredo di loro proprietà e di oggetti che abbiano particolare valore
morale o affettivo.
Art. 8.
Igiene personale.
é assicurato ai detenuti e agli internati l’uso adeguato e
sufficiente di lavabi e di bagni o docce, nonché degli altri oggetti
necessari alla cura e alla pulizia della persona.
In ciascun istituto sono organizzati i servizi per il periodico
taglio dei capelli e la rasatura della barba. Può essere consentito
l’uso di rasoio elettrico personale.
Il taglio dei capelli e della barba può essere imposto soltanto per
particolari ragioni igienico-sanitarie.
Art. 9.
Alimentazione.
Ai detenuti e agli internati è assicurata un’alimentazione sana e
sufficiente, adeguata all’età, al sesso, allo stato di salute, al
lavoro, alla stagione, al clima.
Il vitto è somministrato, di regola, in locali all’uopo destinati.
I detenuti e gli internati devono avere sempre a disposizione acqua
potabile.
La quantità e la qualità del vitto giornaliero sono determinate da
apposite tabelle approvate con decreto ministeriale.
Il servizio di vettovagliamento è di regola gestito direttamente
dall’amministrazione penitenziaria.
Una rappresentanza dei detenuti o degli internati, designata
mensilmente per sorteggio, controlla l’applicazione delle tabelle e
la preparazione del vitto.
Ai detenuti e agli internati è consentito l’acquisto, a proprie
spese, di generi alimentari e di conforto, entro i limiti fissati dal
regolamento. La vendita dei generi alimentari o di conforto deve
essere affidata di regola a spacci gestiti direttamente
dall’amministrazione carceraria o da imprese che esercitano la
vendita a prezzi controllati dall’autorità comunale. I prezzi non
possono essere superiori a quelli comunemente praticati nel luogo in
cui è sito l’istituto. La rappresentanza indicata nel precedente
comma, integrata da un delegato del direttore, scelto tra il
personale civile dell’istituto, controlla qualità e prezzi dei generi
venduti nell’istituto.
Art. 10.
Permanenza all’aperto.
Ai soggetti che non prestano lavoro all’aperto è consentito di
permanere almeno per due ore al giorno all’aria aperta. Tale periodo
di tempo può essere ridotto a non meno di un’ora al giorno soltanto
per motivi eccezionali.
La permanenza all’aria aperta è effettuata in gruppi a meno che non
ricorrano i casi indicati nell’articolo 33 e nei numeri 4) e 5)
dell’articolo 39 ed è dedicata, se possibile, ad esercizi fisici.
Art. 11.
Servizio sanitario.
Ogni istituto penitenziario è dotato di servizio medico e di
servizio farmaceutico rispondenti alle esigenze profilattiche e di
cura della salute dei detenuti e degli internati; dispone, inoltre,
dell’opera di almeno uno specialista in psichiatria.
Ove siano necessarie cure o accertamenti diagnostici che non
possono essere apprestati dai servizi sanitari degli istituti, i
condannati e gli internati sono trasferiti, con provvedimento del
magistrato di sorveglianza, in ospedali civili o in altri luoghi
esterni di cura. Per gli imputati, detti trasferimenti sono disposti,
dopo la pronunzia della sentenza di primo grado, dal magistrato di
sorveglianza; prima della pronunzia della sentenza di primo grado,
dal giudice istruttore, durante l’istruttoria formale; dal pubblico
ministero, durante l’istruzione sommaria e, in caso di giudizio
direttissimo, fino alla presentazione dell’imputato in udienza; dal
presidente, durante gli atti preliminari al giudizio e nel corso del
giudizio; dal pretore, nei procedimenti di sua competenza; dal
presidente della corte di appello, nel corso degli atti preliminari
al giudizio dinanzi la corte di assise, fino alla convocazione della
corte stessa e dal presidente di essa successivamente alla
convocazione .
L’autorità giudiziaria competente ai sensi del comma precedente può
disporre, quando non vi sia pericolo di fuga, che i detenuti e gli
internati trasferiti in ospedali civili o in altri luoghi esterni di
cura con proprio provvedimento, o con provvedimento del direttore
dell’istituto nei casi di assoluta urgenza, non siano sottoposti a
piantonamento durante la degenza, salvo che sia necessario per la
tutela della loro incolumità personale .
Il detenuto o l’internato che, non essendo sottoposto a
piantonamento, si allontana dal luogo di cura senza giustificato
motivo è punibile a norma del primo comma dell’articolo 358 del
codice penale .
All’atto dell’ingresso nell’istituto i soggetti sono sottoposti a
visita medica generale allo scopo di accertare eventuali malattie
fisiche o psichiche. L’assistenza sanitaria è prestata, nel corso
della permanenza nell’istituto, con periodici e frequenti riscontri,
indipendentemente dalle richieste degli interessati.
Il sanitario deve visitare ogni giorno gli ammalati e coloro che ne
facciano richiesta; deve segnalare immediatamente la presenza di
malattie che richiedono particolari indagini e cure specialistiche;
deve, inoltre, controllare periodicamente l’idoneità dei soggetti ai
lavori cui sono addetti.
I detenuti e gli internati sospetti o riconosciuti affetti da
malattie contagiose sono immediatamente isolati. Nel caso di sospetto
di malattia psichica sono adottati senza indugio i provvedimenti del
caso col rispetto delle norme concernenti l’assistenza psichiatrica e
la sanità mentale.
In ogni istituto penitenziario per donne sono in funzione servizi
speciali per l’assistenza sanitaria alle gestanti e alle puerpere.
Alle madri è consentito di tenere presso di sé i figli fino all’età
di tre anni. Per la cura e l’assistenza dei bambini sono organizzati
appositi asili nido.
L’amministrazione penitenziaria, per l’organizzazione e per il
funzionamento dei servizi sanitari, può avvalersi della
collaborazione dei servizi pubblici sanitari locali, ospedalieri ed
extra ospedalieri, d’intesa con la regione e secondo gli indirizzi
del Ministero della sanità.
I detenuti e gli internati possono richiedere di essere visitati a
proprie spese da un sanitario di loro fiducia. Per gli imputati è
necessaria l’autorizzazione del magistrato che procede, sino alla
pronuncia della sentenza di primo grado.
Il medico provinciale visita almeno due volte l’anno gli istituti
di prevenzione e di pena allo scopo di accertare lo stato
igienico-sanitario, l’adeguatezza delle misure di profilassi contro
le malattie infettive disposte dal servizio sanitario penitenziario e
le condizioni igieniche e sanitarie dei ristretti negli istituti.
Il medico provinciale riferisce sulle visite compiute e sui
provvedimenti da adottare al Ministero della sanità e a quello della
giustizia, informando altresì i competenti uffici regionali e il
magistrato di sorveglianza.
Art. 12.
Attrezzature per attività di lavoro di istruzione e di ricreazione.
Negli istituti penitenziari, secondo le esigenze del trattamento,
sono approntate attrezzature per lo svolgimento di attività
lavorative, d’istruzione scolastica e professionale, ricreative,
culturali e di ogni altra attività in comune.
Gli istituti devono inoltre essere forniti di una biblioteca
costituita da libri e periodici, scelti dalla commissione prevista
dal secondo comma dell’art. 16.
Alla gestione del servizio di biblioteca partecipano rappresentanti
dei detenuti e degli internati.
Capo III
Art. 13.
Individualizzazione del trattamento.
Il trattamento penitenziario deve rispondere ai particolari bisogni
della personalità di ciascun soggetto.
Nei confronti dei condannati e degli internati è predisposta
l’osservazione scientifica della personalità per rilevare le carenze
fisiopsichiche e le altre cause del disadattamento sociale.
L’osservazione è compiuta all’inizio dell’esecuzione e proseguita nel
corso di essa.
Per ciascun condannato e internato, in base ai risultati
dell’osservazione, sono formulate indicazioni di merito al
trattamento rieducativo da effettuare ed è compilato il relativo
programma, che è integrato o modificato secondo le esigenze che si
prospettano nel corso dell’esecuzione.
Le indicazioni generali e particolari del trattamento sono
inserite, unitamente ai dati giudiziari, biografici e sanitari, nella
cartella personale, nella quale sono successivamente annotati gli
sviluppi del trattamento praticato e i suoi risultati.
Deve essere favorita la collaborazione dei condannati e degli
internati alle attività di osservazione e di trattamento.
Art. 14.
Assegnazione, raggruppamento e categorie dei detenuti e degli
internati.
Il numero dei detenuti e degli internati negli istituti e nelle
sezioni deve essere limitato e, comunque, tale da favorire
l’individualizzazione del trattamento.
L’assegnazione dei condannati e degli internati ai singoli istituti
e il raggruppamento nelle sezioni di ciascun istituto sono disposti
con particolare riguardo alla possibilità di procedere ad un
trattamento rieducativo comune e all’esigenza di evitare influenze
nocive reciproche. Per le assegnazioni sono, inoltre, applicati di
norma i criteri di cui al primo ed al secondo comma dell’articolo 42.
é assicurata la separazione degli imputati dai condannati e
internati, dei giovani al disotto dei venticinque anni dagli adulti,
dei condannati dagli internati e dei condannati all’arresto dai
condannati alla reclusione.
é consentita, in particolari circostanze, l’ammissione di detenuti
e di internati ad attività organizzate per categorie diverse da
quelle di appartenenza.
Le donne sono ospitate in istituti separati o in apposite sezioni
d’istituto.
Art. 14-bis.
Regime di sorveglianza particolare.
1. Possono essere sottoposti a regime di sorveglianza particolare
per un periodo non superiore a sei mesi, prorogabile anche più volte
in misura non superiore ogni volta a tre mesi, i condannati, gli
internati e gli imputati:
a) che con i loro comportamenti compromettono la sicurezza ovvero
turbano l’ordine negli istituti;
b) che con la violenza o minaccia impediscono le attività degli
altri detenuti o internati;
c) che nella vita penitenziaria si avvalgono dello stato di
soggezione degli altri detenuti nei loro confronti.
2. Il regime di cui al precedente comma 1 è disposto con
provvedimento motivato dell’amministrazione penitenziaria previo
parere del consiglio di disciplina, integrato da due degli esperti
previsti dal quarto comma dell’articolo 80.
3. Nei confronti degli imputati il regime di sorveglianza
particolare è disposto sentita anche l’autorità giudiziaria che
procede.
4. In caso di necessità ed urgenza l’amministrazione può disporre
in via provvisoria la sorveglianza particolare prima dei pareri
prescritti, che comunque devono essere acquisiti entro dieci giorni
dalla data del provvedimento. Scaduto tale termine l’amministrazione,
acquisiti i pareri prescritti, decide in via definitiva entro dieci
giorni decorsi i quali, senza che sia intervenuta la decisione, il
provvedimento provvisorio decade.
5. Possono essere sottoposti a regime di sorveglianza particolare,
fin dal momento del loro ingresso in istituto, i condannati, gli
internati e gli imputati, sulla base di precedenti comportamenti
penitenziari o di altri concreti comportamenti tenuti,
indipendentemente dalla natura dell’imputazione, nello stato di
libertà. L’autorità giudiziaria segnala gli eventuali elementi a sua
conoscenza all’amministrazione penitenziaria che decide sull’adozione
dei provvedimenti di sua competenza.
6. Il provvedimento che dispone il regime di cui al presente
articolo è comunicato immediatamente al magistrato di sorveglianza ai
fini dell’esercizio del suo potere di vigilanza.
Art. 14-ter.
Reclamo.
1. Avverso il provvedimento che dispone o proroga il regime di
sorveglianza particolare può essere proposto dall’interessato reclamo
al tribunale di sorveglianza nel termine di dieci giorni dalla
comunicazione del provvedimento definitivo. Il reclamo non sospende
l’esecuzione del provvedimento.
2. Il tribunale di sorveglianza provvede con ordinanza in camera di
consiglio entro dieci giorni dalla ricezione del reclamo.
3. Il procedimento si svolge con la partecipazione del difensore e
del pubblico ministero. L’interessato e l’amministrazione
penitenziaria possono presentare memorie.
4. Per quanto non diversamente disposto si applicano le
disposizioni del capo II-bis del titolo II.
Art. 14-quater.
Contenuti del regime di sorveglianza particolare.
1. Il regime di sorveglianza particolare comporta le restrizioni
strettamente necessarie per il mantenimento dell’ordine e della
sicurezza, all’esercizio dei diritti dei detenuti e degli internati e
alle regole di trattamento previste dall’ordinamento penitenziario.
2. L’amministrazione penitenziaria può adottare il visto di
controllo sulla corrispondenza, previa autorizzazione motivata
dell’autorità giudiziaria competente.
3. Le restrizioni di cui ai commi precedenti sono motivatamente
stabilite nel provvedimento che dispone il regime di sorveglianza
particolare.
4. In ogni caso le restrizioni non possono riguardare: l’igiene e
le esigenze della salute; il vitto; il vestiario ed il corredo; il
possesso, l’acquisto e la ricezione di generi ed oggetti permessi dal
regolamento interno, nei limiti in cui ciò non comporta pericolo per
la sicurezza; la lettura di libri e periodici; le pratiche di culto;
l’uso di apparecchi radio del tipo consentito; la permanenza
all’aperto per almeno due ore al giorno salvo quanto disposto
dall’articolo 10; i colloqui con i difensori, nonché quelli con il
coniuge, il convivente, i figli, i genitori, i fratelli.
5. Se il regime di sorveglianza particolare non è attuabile
nell’istituto ove il detenuto o l’internato si trova,
l’amministrazione penitenziaria può disporre, con provvedimento
motivato, il trasferimento in altro istituto idoneo, con il minimo
pregiudizio possibile per la difesa e per i familiari, dandone
immediato avviso al magistrato di sorveglianza. Questi riferisce al
Ministro in ordine ad eventuali casi di infondatezza dei motivi posti
a base del trasferimento.
Art. 15.
Elementi del trattamento.
Il trattamento del condannato e dell’internato è svolto avvalendosi
principalmente dell’istruzione, del lavoro, della religione, delle
attività culturali, ricreative e sportive e agevolando opportuni
contatti con il mondo esterno ed i rapporti con la famiglia.
Ai fini del trattamento rieducativo, salvo casi d’impossibilità, al
condannato e all’internato è assicurato il lavoro.
Gli imputati sono ammessi, a loro richiesta, a partecipare ad
attività educative, culturali e ricreative e, salvo giustificati
motivi o contrarie disposizioni dell’autorità giudiziaria, a svolgere
attività lavorativa o di formazione professionale, possibilmente di
loro scelta e, comunque, in condizioni adeguate alla loro posizione
giuridica.
Art. 16.
Regolamento dell’istituto.
In ciascun istituto il trattamento penitenziario è organizzato
secondo le direttive che l’amministrazione penitenziaria impartisce
con riguardo alle esigenze dei gruppi di detenuti ed internati ivi
ristretti.
Le modalità del trattamento da seguire in ciascun istituto sono
disciplinate nel regolamento interno, che è predisposto e modificato
da una commissione composta dal magistrato di sorveglianza, che la
presiede, dal direttore, dal medico, dal cappellano, dal preposto
alle attività lavorative, da un educatore e da un assistente sociale.
La commissione può avvalersi della collaborazione degli esperti
indicati nel quarto comma dell’articolo 80.
Il regolamento interno disciplina, altresì, i controlli cui devono
sottoporsi tutti coloro che, a qualsiasi titolo, accedono
all’istituto o ne escono.
Il regolamento interno e le sue modificazioni sono approvati dal
Ministro per la grazia e giustizia.
Art. 17.
Partecipazione della comunità esterna all’azione rieducativa.
La finalità del reinserimento sociale dei condannati e degli
internati deve essere perseguita anche sollecitando ed organizzando
la partecipazione di privati e di istituzioni o associazioni
pubbliche o private all’associazione rieducativa.
Sono ammessi a frequentare gli istituti penitenziari con
l’autorizzazione e secondo le direttive del magistrato di
sorveglianza, su parere favorevole del direttore, tutti coloro che
avendo concreto interesse per l’opera di risocializzazione dei
detenuti dimostrino di potere utilmente promuovere lo sviluppo dei
contatti tra la comunità carceraria e la società libera.
Le persone indicate nel comma precedente operano sotto il controllo
del direttore.
Art. 18.
Colloqui, corrispondenza e informazione.
I detenuti e gli internati sono ammessi ad avere colloqui e
corrispondenza con i congiunti e con altre persone, anche al fine di
compiere atti giuridici.
I colloqui si svolgono in appositi locali, sotto il controllo a
vista e non auditivo del personale di custodia.
Particolare favore viene accordato ai colloqui con i familiari.
L’amministrazione penitenziaria pone a disposizione dei detenuti e
degli internati, che ne sono sprovvisti gli oggetti di cancelleria
necessari per la corrispondenza.
Può essere autorizzata nei rapporti con i familiari e, in casi
particolari, con terzi, corrispondenza telefonica con le modalità e
le cautele previste dal regolamento.
I detenuti e gli internati sono autorizzati a tenere presso di sé i
quotidiani, i periodici e i libri in libera vendita all’esterno e ad
avvalersi di altri mezzi di informazione.
La corrispondenza dei singoli condannati o internati può essere
sottoposta, con provvedimento motivato del magistrato di
sorveglianza, a visto di controllo del direttore o di un appartenente
all’amministrazione penitenziaria designato dallo stesso direttore.
Salvo quanto disposto dall’articolo 18-bis, per gli imputati i
permessi di colloquio fino alla pronuncia della sentenza di primo
grado, la sottoposizione al visto di controllo sulla corrispondenza e
le autorizzazioni alla corrispondenza telefonica sono di competenza
dell’autorità giudiziaria, ai sensi di quanto stabilito nel secondo
comma dell’articolo 11. Dopo la pronuncia della sentenza di primo
grado i permessi di colloquio sono di competenza del direttore
dell’istituto.
Le dette autorità giudiziarie, nel disporre la sottoposizione della
corrispondenza a visto di controllo, se non ritengono di provvedervi
direttamente, possono delegare il controllo al direttore o a un
appartenente all’amministrazione penitenziaria designato dallo stesso
direttore. Le medesime autorità possono anche disporre limitazioni
nella corrispondenza e nella ricezione della stampa .
Art. 18-bis.
Colloqui a fini investigativi.
1. Il personale della Direzione investigativa antimafia di cui
all’articolo 3 del D.L. 29 ottobre 1991, n. 345, convertito, con
modificazioni, dalla L. 30 dicembre 1991, n. 410, e dei servizi
centrali e interprovinciali di cui all’art. 12 del D.L. 13 maggio
1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla L. 12 luglio 1991,
n. 203, nonché gli ufficiali di polizia giudiziaria designati dai
responsabili, a livello centrale, della predetta Direzione e dei
predetti servizi, hanno facoltà di visitare gli istituti penitenziari
e possono essere autorizzati, a norma del comma 2 del presente
articolo, ad avere colloqui personali con detenuti e internati, al
fine di acquisire informazioni utili per la prevenzione e repressione
dei delitti di criminalità organizzata.
2. Al personale di polizia indicato nel comma 1, l’autorizzazione
ai colloqui è rilasciata:
a) quando si tratta di internati, di condannati o di imputati,
dal Ministro della giustizia o da un suo delegato;
b) quando si tratta di persone sottoposte ad indagini, dal
pubblico ministero.
3. Le autorizzazioni ai colloqui indicate nel comma 2 sono annotate
in apposito registro riservato tenuto presso l’autorità competente al
rilascio.
4. In casi di particolare urgenza, attestati con provvedimento del
Ministro dell’interno o, per sua delega, dal Capo della Polizia,
l’autorizzazione prevista nel comma 2, lettera a), non è richiesta, e
del colloquio è data immediata comunicazione all’autorità ivi
indicata, che provvede all’annotazione nel registro riservato di cui
al comma 3.
5. La facoltà di procedere a colloqui personali con detenuti e
internati è attribuita, senza necessità di autorizzazione, altresì al
Procuratore nazionale antimafia ai fini dell’esercizio delle funzioni
di impulso e di coordinamento previste dall’art. 371-bis del codice
di procedura penale; al medesimo Procuratore nazionale antimafia sono
comunicati i provvedimenti di cui ai commi 2 e 4, qualora concernenti
colloqui con persone sottoposte ad indagini, imputate o condannate
per taluno dei delitti indicati nell’art. 51, comma 3-bis del codice
di procedura penale.
Art. 19.
Istruzione.
Negli istituti penitenziari la formazione culturale e
professionale, è curata mediante l’organizzazione dei corsi della
scuola dell’obbligo e di corsi di addestramento professionale,
secondo gli orientamenti vigenti e con l’ausilio di metodi adeguati
alla condizione dei soggetti.
Particolare cura è dedicata alla formazione culturale e
professionale dei detenuti di età inferiore ai venticinque anni.
Con le procedure previste dagli ordinamenti scolastici possono
essere istituite scuole d’istruzione secondaria di secondo grado
negli istituti penitenziari.
é agevolato il compimento degli studi dei corsi universitari ed
equiparati ed è favorita la frequenza a corsi scolastici per
corrispondenza, per radio e per televisione.
é favorito l’accesso alle pubblicazioni contenute nella biblioteca,
con piena libertà di scelta delle letture.
Art. 20.
Lavoro.
Negli istituti penitenziari devono essere favorite in ogni modo la
destinazione dei detenuti e degli internati al lavoro e la loro
partecipazione a corsi di formazione professionale. A tal fine,
possono essere istituite lavorazioni organizzate e gestite
direttamente da imprese pubbliche o private e possono essere
istituiti corsi di formazione professionale organizzati e svolti da
aziende pubbliche, o anche da aziende private convenzionate con la
regione.
Il lavoro penitenziario non ha carattere afflittivo ed è
remunerato.
Il lavoro è obbligatorio per i condannati e per i sottoposti alle
misure di sicurezza della colonia agricola e della casa di lavoro.
I sottoposti alle misure di sicurezza della casa di cura e di
custodia e dell’ospedale psichiatrico giudiziario possono essere
assegnati al lavoro quando questo risponda a finalità terapeutiche.
L’organizzazione e i metodi del lavoro penitenziario devono
riflettere quelli del lavoro nella società libera al fine di far
acquisire ai soggetti una preparazione professionale adeguata alle
normali condizioni lavorative per agevolarne il reinserimento
sociale.
Nell’assegnazione dei soggetti al lavoro si deve tener conto
esclusivamente dell’anzianità di disoccupazione durante lo stato di
detenzione o di internamento, dei carichi familiari, della
professionalità, nonché delle precedenti e documentate attività
svolte e di quelle a cui essi potranno dedicarsi dopo la dimissione,
con l’esclusione dei detenuti e internati sottoposti al regime di
sorveglianza particolare di cui all’art. 14-bis della presente legge.
Il collocamento al lavoro da svolgersi all’interno dell’istituto
avviene nel rispetto di graduatorie fissate in due apposite liste,
delle quali una generica e l’altra per qualifica o mestiere.
Per la formazione delle graduatorie all’interno delle liste e per
il nulla-osta agli organismi competenti per il collocamento, è
istituita, presso ogni istituto, una commissione composta dal
direttore, da un appartenente al ruolo degli ispettori o dei
sovrintendenti del Corpo di polizia penitenziaria e da un
rappresentante del personale educativo, eletti all’interno della
categoria di appartenenza, da un rappresentante unitariamente
designato dalle organizzazioni sindacali più rappresentative sul
piano nazionale, da un rappresentante designato dalla commissione
circoscrizionale per l’impiego territorialmente competente e da
un rappresentante delle organizzazioni sindacali territoriali.
Alle riunioni della commissione partecipa senza potere deliberativo
un rappresentante dei detenuti e degli internati, designato per
sorteggio secondo le modalità indicate nel regolamento interno
dell’istituto.
Per ogni componente viene indicato un supplente eletto o designato
secondo i criteri in precedenza indicati.
Al lavoro all’esterno, si applicano la disciplina generale sul
collocamento ordinario ed agricolo, nonché l’articolo 19, L. 28
febbraio 1987, n. 56.
Per tutto quanto non previsto dal presente articolo si applica la
disciplina generale sul collocamento.
Le direzioni degli istituti penitenziari, in deroga alle norme di
contabilità generale dello Stato e di quelle di contabilità speciale,
possono, previa autorizzazione del Ministro della giustizia, vendere
prodotti delle lavorazioni penitenziarie a prezzo pari o anche
inferiore al loro costo, tenuto conto, per quanto possibile, dei
prezzi praticati per prodotti corrispondenti nel mercato all’ingrosso
della zona in cui è situato l’istituto.
I detenuti e gli internati che mostrino attitudini artigianali,
culturali o artistiche possono essere esonerati dal lavoro ordinario
ed essere ammessi ad esercitare per proprio conto, attività
artigianali, intellettuali o artistiche.
I soggetti che non abbiano sufficienti cognizioni tecniche possono
essere ammessi a un tirocinio retribuito.
La durata delle prestazioni lavorative non può superare i limiti
stabiliti dalle leggi vigenti in materia di lavoro e, alla stregua di
tali leggi, sono garantiti il riposo festivo e la tutela assicurativa
e previdenziale. Ai detenuti e agli internati che frequentano i corsi
di formazione professionale di cui al comma primo è garantita, nei
limiti degli stanziamenti regionali, la tutela assicurativa e ogni
altra tutela prevista dalle disposizioni vigenti in ordine a tali
corsi.
Art. 20-bis.
Modalità di organizzazione del lavoro.
1. Il provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria può
affidare, con contratto d’opera, la direzione tecnica delle
lavorazioni a persone estranee all’Amministrazione penitenziaria, le
quali curano anche la specifica formazione dei responsabili delle
lavorazioni e concorrono alla qualificazione professionale dei
detenuti, d’intesa con la regione. Possono essere inoltre istituite,
a titolo sperimentale, nuove lavorazioni, avvalendosi, se necessario,
dei servizi prestati da imprese pubbliche o private ed acquistando le
relative progettazioni.
2. L’Amministrazione penitenziaria, inoltre, applicando, in quanto
compatibili, le disposizioni di cui all’undicesimo comma
dell’articolo 20, promuove la vendita dei prodotti delle lavorazioni
penitenziarie anche mediante apposite convenzioni da stipulare con
imprese pubbliche o private, che abbiano una propria rete di
distribuzione commerciale.
3. Previo assenso della direzione dell’istituto, i privati che
commissionano forniture all’Amministrazione penitenziaria possono, in
deroga alle norme di contabilità generale dello Stato e a quelle di
contabilità speciale, effettuare pagamenti differiti, secondo gli usi
e le consuetudini vigenti.
4. Sono abrogati l’articolo 1 della legge 3 luglio 1942, n. 971, e
l’articolo 611 delle disposizioni approvate con regio decreto 16
maggio 1920, n. 1908.
Art. 21.
Lavoro all’esterno.
1. I detenuti e gli internati possono essere assegnati al lavoro
all’e sterno in condizioni idonee a garantire l’attuazione positiva
degli scopi previsti dall’articolo 15. Tuttavia, se si tratta di
persona condannata alla pena della reclusione per uno dei delitti
indicati nel comma 1 dell’articolo 4-bis, l’assegnazione al lavoro
esterno può essere disposta dopo l’espiazione di almeno un terzo
della pena e, comunque, di non oltre cinque anni. Nei confronti dei
condannati all’ergastolo l’assegnazione può avvenire dopo
l’espiazione di almeno dieci anni.
2. I detenuti e gli internati assegnati al lavoro all’esterno sono
avviati a prestare la loro opera senza scorta, salvo che essa sia
ritenuta necessaria per motivi di sicurezza. Gli imputati sono
ammessi al lavoro all’esterno previa autorizzazione della competente
autorità giudiziaria.
3. Quando si tratta di imprese private, il lavoro deve svolgersi
sotto il diretto controllo della direzione dell’istituto a cui il
detenuto o l’internato è assegnato, la quale può avvalersi a tal fine
del personale dipendente e del servizio sociale.
4. Per ciascun condannato o internato il provvedimento di
ammissione al lavoro all’esterno diviene esecutivo dopo
l’approvazione del magistrato di sorveglianza.
4-bis. Le disposizioni di cui ai commi precedenti e la disposizione
di cui al secondo periodo del comma sedicesimo dell’articolo 20 si
applicano anche ai detenuti ed agli internati ammessi a frequentare
corsi di formazione professionale all’esterno degli istituti
penitenziari.
Art. 22.
Determinazione delle mercedi.
1. Le mercedi per ciascuna categoria di lavoranti sono
equitativamente stabilite in relazione alla quantità e qualità del
lavoro effettivamente prestato, alla organizzazione e al tipo del
lavoro del detenuto in misura non inferiore ai due terzi del
trattamento economico previsto dai contratti collettivi di lavoro. A
tale fine è costituita una commissione composta dal direttore
generale degli istituti di prevenzione e di pena, che la presiede,
dal direttore dell’ufficio del lavoro dei detenuti e degli internati
della direzione generale per gli istituti di prevenzione e di pena,
da un ispettore generale degli istituti di prevenzione e di pena, da
un rappresentante del Ministero del tesoro, da un rappresentante del
Ministero del lavoro e della previdenza sociale e da un delegato per
ciascuna delle organizzazioni sindacali più rappresentative sul piano
nazionale.
2. L’ispettore generale degli istituti di prevenzione e di pena
funge da segretario della commissione.
3. La medesima commissione stabilisce il trattamento economico dei
tirocinanti.
4. La commissione stabilisce, altresì, il numero massimo di ore di
permesso di assenza dal lavoro retribuite e le condizioni e modalità
di fruizione delle stesse da parte dei detenuti e degli internati
addetti alle lavorazioni, interne o esterne, o ai servizi di
istituto, i quali frequentino i corsi della scuola d’obbligo o delle
scuole di istruzione secondaria di secondo grado, o i corsi di
addestramento professionale, ove tali corsi si svolgano, negli
istituti penitenziari, durante l’orario di lavoro ordinario.
Art. 23.
Remunerazione e assegni familiari.
Omissis.
Omissis
Omissis
Ai detenuti e agli internati che lavorano sono dovuti, per le
persone a carico, gli assegni familiari nella misura e secondo le
modalità di legge.
Gli assegni familiari sono versati direttamente alle persone a
carico con le modalità fissate dal regolamento.
Art. 24.
Pignorabilità e sequestrabilità della remunerazione.
Sulla remunerazione spettante ai condannati sono prelevate le somme
dovute a titolo di risarcimento del danno e di rimborso delle spese
di procedimento. Sulla remunerazione spettante ai condannati ed agli
internati sono altresì prelevate le somme dovute ai sensi del secondo
e del terzo comma dell’articolo 2.
In ogni caso deve essere riservata a favore dei condannati una
quota pari a tre quarti. Tale quota non è soggetta a pignoramento o a
sequestro, salvo che per obbligazioni derivanti da alimenti, o a
prelievo per il risarcimento del danno arrecato alle cose mobili o
immobili dell’amministrazione.
La remunerazione dovuta agli internati e agli imputati non è
soggetta a pignoramento o a sequestro, salvo che per obbligazioni
derivanti da alimenti, o a prelievo per il risarcimento del danno
arrecato alle cose mobili o immobili dell’amministrazione.
Art. 25.
Peculio.
Il peculio dei detenuti e degli internati è costituito dalla parte
della remunerazione ad essi riservata ai sensi del precedente
articolo, dal danaro posseduto all’atto dell’ingresso in istituto, da
quello ricavato dalla vendita degli oggetti di loro proprietà o
inviato dalla famiglia e da altri o ricevuto a titolo di premio o di
sussidio.
Le somme costituite in peculio producono a favore dei titolari
interessi legali.
Il peculio è tenuto in deposito dalla direzione dell’istituto.
Il regolamento deve prevedere le modalità del deposito e stabilire
la parte di peculio disponibile dai detenuti e dagli internati per
acquisti autorizzati di oggetti personali o invii ai familiari o
conviventi, e la parte da consegnare agli stessi all’atto della
dimissione dagli istituti.
Art. 25-bis.
Commissioni regionali per il lavoro penitenziario.
1. Sono istituite le commissioni regionali per il lavoro
penitenziario. Esse sono presiedute dal provveditore regionale
dell’Amministrazione penitenziaria e sono composte dai
rappresentanti, in sede locale, delle associazioni imprenditoriali e
delle associazioni cooperative e dai rappresentanti della regione che
operino nel settore del lavoro e della formazione professionale. Per
il Ministero del lavoro e della previdenza sociale interviene un
funzionario in servizio presso l’ufficio regionale del lavoro e della
massima occupazione.
2. Le lavorazioni penitenziarie sono organizzate, sulla base di
direttive, dai provveditorati regionali dell’Amministrazione
penitenziaria, sentite le commissioni regionali per il lavoro
penitenziario nonché le direzioni dei singoli istituti.
3. I posti di lavoro a disposizione della popolazione penitenziaria
devono essere quantitativamente e qualitativamente dimensionati alle
effettive esigenze di ogni singolo istituto. Essi sono fissati in una
tabella predisposta dalla direzione dell’istituto, nella quale sono
separatamente elencati i posti relativi alle lavorazioni interne
industriali, agricole ed ai servizi di istituto.
4. Nella tabella di cui al comma 3 sono altresì indicati i posti di
lavoro disponibili all’esterno presso imprese pubbliche o private o
associazioni cooperative nonché i posti relativi alle produzioni che
imprese private o associazioni cooperative intendono organizzare e
gestire direttamente all’interno degli istituti.
5. Annualmente la direzione dell’istituto elabora ed indica il
piano di lavoro in relazione al numero dei detenuti, all’organico del
personale civile e di polizia penitenziaria disponibile e alle
strutture produttive.
6. La tabella, che può essere modificata secondo il variare della
situazione, ed il piano di lavoro annuale sono approvati dal
provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria, sentita la
commissione regionale per il lavoro penitenziario.
7. Nel regolamento di ciascun istituto sono indicate le attività
lavorative che possono avere esecuzione in luoghi a sicurezza
attenuata.
Art. 26.
Religione e pratiche di culto.
I detenuti e gli internati hanno libertà di professare la propria
fede religiosa, di istruirsi in essa e di praticarne il culto.
Negli istituti è assicurata la celebrazione dei riti del culto
cattolico.
A ciascun istituto è addetto almeno un cappellano.
Gli appartenenti a religione diversa dalla cattolica hanno diritto
di ricevere, su loro richiesta, l’assistenza dei ministri del proprio
culto e di celebrarne i riti.
Art. 27.
Attività culturali, ricreative e sportive.
Negli istituti devono essere favorite e organizzate attività
culturali, sportive e ricreative e ogni altra attività volta alla
realizzazione della personalità dei detenuti e degli internati, anche
nel quadro del trattamento rieducativo.
Una commissione composta dal direttore dell’istituto, dagli
educatori e dagli assistenti sociali e dai rappresentanti dei
detenuti e degli internati cura la organizzazione delle attività di
cui al precedente comma, anche mantenendo contatti con il mondo
esterno utili al reinserimento sociale.
Art. 28.
Rapporti con la famiglia.
Particolare cura è dedicata a mantenere, migliorare o ristabilire
le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie.
Art. 29.
Comunicazioni dello stato di detenzione, dei trasferimenti, delle
malattie e dei decessi.
I detenuti e gli internati sono posti in grado d’informare
immediatamente i congiunti e le altre persone da essi eventualmente
indicate del loro ingresso in un istituto penitenziario o
dell’avvenuto trasferimento.
In caso di decesso o di grave infermità fisica o psichica di un
detenuto o di un internato, deve essere data tempestiva notizia ai
congiunti ed alle altre persone eventualmente da lui indicate;
analogamente i detenuti e gli internati devono essere tempestivamente
informati del decesso o della grave infermità delle persone di cui al
comma precedente.
Art. 30.
Permessi.
Nel caso di imminente pericolo di vita di un familiare o di un
convivente, ai condannati e agli internati può essere concesso dal
magistrato di sorveglianza il permesso di recarsi a visitare, con le
cautele previste dal regolamento l’infermo. Agli imputati il permesso
è concesso, durante il procedimento di primo grado, dalle medesime
autorità giudiziarie, competenti ai sensi del secondo comma
dell’articolo 11 a disporre il trasferimento in luoghi esterni di
cura degli imputati fino alla pronuncia della sentenza di primo
grado. Durante il procedimento di appello provvede il presidente del
collegio e, nel corso di quello di cassazione, il presidente
dell’ufficio giudiziario presso il quale si è svolto il procedimento
di appello.
Analoghi permessi possono essere concessi eccezionalmente per
eventi di particolare gravità.
Il detenuto che non rientra in istituto allo scadere del permesso
senza giustificato motivo, se l’assenza si protrae per oltre tre ore
e per non più di dodici, è punito in via disciplinare; se l’assenza
si protrae per un tempo maggiore, è punibile a norma del primo comma
dell’articolo 385 del codice penale ed è applicabile la disposizione
dell’ultimo capoverso dello stesso articolo.
L’internato che rientra in istituto dopo tre ore dalla scadenza del
permesso senza giustificato motivo è punito in via disciplinare.
Art. 30-bis.
Provvedimenti e reclami in materia di permessi.
Prima di pronunciarsi sull’istanza di permesso, l’autorità
competente deve assumere informazioni sulla sussistenza dei motivi
addotti, a mezzo delle autorità di pubblica sicurezza, anche del
luogo in cui l’istante chiede di recarsi.
La decisione sull’istanza è adottata con provvedimento motivato.
Il provvedimento è comunicato immediatamente senza formalità, anche
a mezzo del telegrafo o del telefono, al pubblico ministero e
all’interessato, i quali, entro ventiquattro ore dalla comunicazione,
possono proporre reclamo, se il provvedimento è stato emesso dal
magistrato di sorveglianza, alla sezione di sorveglianza, o, se il
provvedimento è stato emesso da altro organo giudiziario, alla corte
di appello.
La sezione di sorveglianza o la corte di appello, assunte, se del
caso, sommarie informazioni, provvede entro dieci giorni dalla
ricezione del reclamo dandone immediata comunicazione ai sensi del
comma precedente.
Il magistrato di sorveglianza, o il presidente della corte
d’appello, non fa parte del collegio che decide sul reclamo avverso
il provvedimento da lui emesso.
Quando per effetto della disposizione contenuta nel precedente
comma non è possibile comporre la sezione di sorveglianza con i
magistrati di sorveglianza del distretto, si procede all’integrazione
della sezione ai sensi dell’articolo 68, terzo e quarto comma.
L’esecuzione del permesso è sospesa sino alla scadenza del termine
stabilito dal terzo comma e durante il procedimento previsto dal
quarto comma, sino alla scadenza del termine ivi previsto.
Le disposizioni del comma precedente non si applicano ai permessi
concessi ai sensi del primo comma dell’art. 30. In tale caso è
obbligatoria la scorta.
Il procuratore generale presso la corte d’appello è informato dei
permessi concessi e del relativo esito, con relazione trimestrale,
degli organi che li hanno rilasciati.
Art. 30-ter.
Permessi premio.
1. Ai condannati che hanno tenuto regolare condotta ai sensi del
successivo comma 8 e che non risultano socialmente pericolosi, il
magistrato di sorveglianza, sentito il direttore dell’istituto, può
concedere permessi premio di durata non superiore ogni volta a
quindici giorni per consentire di coltivare interessi affettivi,
culturali o di lavoro. La durata dei permessi non può superare
complessivamente quarantacinque giorni in ciascun anno di espiazione.
1-bis. Omissis.
2. Per i condannati minori di età la durata dei permessi premio non
può superare ogni volta i venti giorni e la durata complessiva non
può eccedere i sessanta giorni in ciascun anno di espiazione.
3. L’esperienza dei permessi premio è parte integrante del
programma di trattamento e deve essere seguita dagli educatori e
assistenti sociali penitenziari in collaborazione con gli operatori
sociali del territorio.
4. La concessione dei permessi è ammessa:
a) nei confronti dei condannati all’arresto o alla reclusione non
superiore a tre anni anche se congiunta all’arresto;
b) nei confronti dei condannati alla reclusione superiore a tre
anni, salvo quanto previsto dalla lettera c), dopo l’espiazione di
almeno un quarto della pena;
c) nei confronti dei condannati alla reclusione per taluno dei
delitti indicati nel comma 1 dell’articolo 4-bis, dopo l’espiazione
di almeno metà della pena e, comunque, di non oltre dieci anni ;
d) nei confronti dei condannati all’ergastolo, dopo l’espiazione
di almeno dieci anni .
5. Nei confronti dei soggetti che durante l’espiazione della pena o
delle misure restrittive hanno riportato condanna o sono imputati per
delitto doloso commesso durante l’espiazione della pena o
l’esecuzione di una misura restrittiva della libertà personale, la
concessione è ammessa soltanto decorsi due anni dalla commissione del
fatto.
6. Si applicano, ove del caso, le cautele previste per i permessi
di cui al primo comma dell’articolo 30; si applicano altresì le
disposizioni di cui al terzo e al quarto comma dello stesso articolo.
7. Il provvedimento relativo ai permessi premio è soggetto a
reclamo al tribunale di sorveglianza, secondo le procedure di cui
all’articolo 30-bis.
8. La condotta dei condannati si considera regolare quando i
soggetti, durante la detenzione, hanno manifestato costante senso di
responsabilità e correttezza nel comportamento personale, nelle
attività organizzate negli istituti e nelle eventuali attività
lavorative o culturali.
Art. 31.
Costituzione delle rappresentanze dei detenuti e degli internati.
Le rappresentanze dei detenuti e degli internati previste dagli
articoli 12 e 27 sono nominate per sorteggio secondo le modalità
indicate dal regolamento interno dell’istituto.
Art. 32.
Capo IV
Norme di condotta dei detenuti e degli internati.
Obbligo di risarcimento del danno. I detenuti e gli internati,
all’atto del loro ingresso negli istituti, e quando sia necessario,
successivamente sono informati delle disposizioni generali e
particolari attinenti ai loro diritti e doveri, alla disciplina e al
trattamento.
Essi devono osservare le norme e le disposizioni che regolano la
vita penitenziaria.
Nessun detenuto o internato può avere, nei servizi dell’istituto,
mansioni che importino un potere disciplinare o consentano la
acquisizione di una posizione di preminenza sugli altri.
I detenuti e gli internati devono avere cura degli oggetti messi a
loro disposizione e astenersi da qualsiasi danneggiamento di cose
altrui.
I detenuti e gli internati che arrecano danno alle cose mobili o
immobili dell’amministrazione penitenziaria sono tenuti a risarcirlo
senza pregiudizio dell’eventuale procedimento penale e disciplinare.
Art. 33.
Isolamento.
Negli istituti penitenziari l’isolamento continuo è ammesso:
1) quando è prescritto per ragioni sanitarie;
2) durante l’esecuzione della sanzione della esclusione dalle
attività in comune;
3) per gli imputati durante l’istruttoria e per gli arrestati nel
procedimento di prevenzione, se e fino a quando ciò sia ritenuto
necessario dall’autorità giudiziaria.
Art. 34.
Perquisizione personale.
I detenuti e gli internati possono essere sottoposti a
perquisizione personale per motivi di sicurezza.
La perquisizione personale deve essere effettuata nel pieno
rispetto della personalità.
Art. 35.
Diritto di reclamo.
I detenuti e gli internati possono rivolgere istanze o reclami
orali o scritti, anche in busta chiusa:
1) al direttore dell’istituto, nonché agli ispettori, al
direttore generale per gli istituti di prevenzione e di pena e al
Ministro per la grazia e giustizia;
2) al magistrato di sorveglianza;
3) alle autorità giudiziarie e sanitarie in visita all’istituto;
4) al presidente della giunta regionale;
5) al Capo dello Stato.
Art. 36.
Regime disciplinare.
Il regime disciplinare è attuato in modo da stimolare il senso di
responsabilità e la capacità di autocontrollo. Esso è adeguato alle
condizioni fisiche e psichiche dei soggetti.
Art. 37.
Ricompense.
Le ricompense costituiscono il riconoscimento del senso di
responsabilità dimostrato nella condotta personale e nelle attività
organizzate negli istituti.
Le ricompense e gli organi competenti a concederle sono previsti
dal regolamento.
Art. 38.
Infrazioni disciplinari.
I detenuti e gli internati non possono essere puniti per un fatto
che non sia espressamente previsto come infrazione al regolamento.
Nessuna sanzione può essere inflitta se non con provvedimento
motivato dopo la contestazione dell’addebito all’interessato, il
quale è ammesso ad esporre le proprie discolpe.
Nell’applicazione delle sanzioni bisogna tener conto, oltre che
della natura e della gravità del fatto, del comportamento e delle
condizioni personali del soggetto.
Le sanzioni sono eseguite nel rispetto della personalità.
Art. 39.
Sanzioni disciplinari.
Le infrazioni disciplinari possono dar luogo solo alle seguenti
sanzioni:
1) richiamo del direttore;
2) ammonizione, rivolta dal direttore, alla presenza di
appartenenti al personale e di un gruppo di detenuti o internati;
3) esclusione da attività ricreative e sportive per non più di
dieci giorni;
4) isolamento durante la permanenza all’aria aperta per non più
di dieci giorni;
5) esclusione dalle attività in comune per non più di dieci
giorni.
La sanzione della esclusione dalle attività in comune non può
essere eseguita senza la certificazione scritta, rilasciata dal
sanitario, attestante che il soggetto può sopportarla. Il soggetto
escluso dalle attività in comune è sottoposto a costante controllo
sanitario.
L’esecuzione della sanzione della esclusione dalle attività in
comune è sospesa nei confronti delle donne gestanti e delle puerpere
fino a sei mesi, e dalle madri che allattino la propria prole fino ad
un anno.
Art. 40.
Autorità competente a deliberare le sanzioni.
Le sanzioni del richiamo e della ammonizione sono deliberate dal
direttore.
Le altre sanzioni sono deliberate dal consiglio di disciplina,
composto dal direttore o, in caso di suo legittimo impedimento,
dall’impiegato più elevato in grado, con funzioni di presidente, dal
sanitario e dall’educatore.
Art. 41.
Impiego della forza fisica e uso dei mezzi di coercizione.
Non è consentito l’impiego della forza fisica nei confronti dei
detenuti e degli internati se non sia indispensabile per prevenire o
impedire atti di violenza, per impedire tentativi di evasione o per
vincere la resistenza, anche passiva all’esecuzione degli ordini
impartiti.
Il personale che per qualsiasi motivo, abbia fatto uso della forza
fisica nei confronti dei detenuti o degli internati, deve
immediatamente riferirne al direttore dell’istituto il quale dispone,
senza indugio, accertamenti sanitari e procede alle altre indagini
del caso.
Non può essere usato alcun mezzo di coercizione fisica che non sia
espressamente previsto dal regolamento e, comunque, non vi si può far
ricorso ai fini disciplinari ma solo al fine di evitare danni a
persone o cose o di garantire la incolumità dello stesso soggetto.
L’uso deve essere limitato al tempo strettamente necessario e deve
essere costantemente controllato dal sanitario.
Gli agenti in servizio nell’interno degli istituti non possono
portare armi se non nei casi eccezionali in cui ciò venga ordinato
dal direttore.
Art. 41-bis.
Situazioni di emergenza.
1. In casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di
emergenza, il Ministro della giustizia ha facoltà di sospendere
nell’istituto interessato o in parte di esso l’applicazione delle
normali regole di trattamento dei detenuti e degli internati. La
sospensione deve essere motivata dalla necessità di ripristinare
l’ordine e la sicurezza e ha la durata strettamente necessaria al
conseguimento del fine suddetto.
2. Quando ricorrano gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica,
anche a richiesta del Ministro dell’interno, il Ministro della
giustizia ha altresì la facoltà di sospendere, in tutto o in parte,
nei confronti dei detenuti per taluno dei delitti di cui al comma 1
dell’art. 4-bis, l’applicazione delle regole di trattamento e degli
istituti previsti dalla presente legge che possano porsi in concreto
contrasto con le esigenze di ordine e di sicurezza.
2-bis. Sui reclami avverso i provvedimenti del Ministro della
giustizia emessi a norma del comma 2 è competente a decidere il
tribunale di sorveglianza che ha giurisdizione sull’istituto cui il
condannato, l’internato o l’imputato è assegnato; tale competenza
resta ferma anche nel caso di trasferimento disposto per uno dei
motivi indicati nell’articolo 42.
Art. 42.
Trasferimenti.
I trasferimenti sono disposti per gravi e comprovati motivi di
sicurezza, per esigenze dell’istituto, per motivi di giustizia, di
salute, di studio e familiari.
Nel disporre i trasferimenti deve essere favorito il criterio di
destinare i soggetti in istituti prossimi alla residenza delle
famiglie.
I detenuti e gli internati debbono essere trasferiti con il
bagaglio personale e con almeno parte del loro peculio.
Omissis.
Omissis.
Art. 42-bis.
Traduzioni.
1. Sono traduzioni tutte le attività di accompagnamento coattivo,
da un luogo ad un altro, di soggetti detenuti, internati, fermati,
arrestati o comunque in condizione di restrizione della libertà
personale.
2. Le traduzioni dei detenuti e degli internati adulti sono
eseguite, nel tempo più breve possibile, dal Corpo di polizia
penitenziaria, con le modalità stabilite dalle leggi e dai
regolamenti e, se trattasi di donne, con l’assistenza di personale
femminile.
3. Le traduzioni di soggetti che rientrano nella competenza dei
servizi dei centri per la giustizia minorile possono essere
richieste, nelle sedi in cui non sono disponibili contingenti del
Corpo di polizia penitenziaria assegnati al settore minorile, ad
altre forze di polizia.
4. Nelle traduzioni sono adottat
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