Famiglia

Stop allo sciopero del sesso

In Kenya non verrà riproposta la clamorosa forma di protesta di maggio. Ecco perché

di Riccardo Bianchi

Avevano chiesto 90 giorni di tempo per decidere se riprendere o meno la loro lotta. I tre mesi sono passati e le donne keniane non sembrano intenzionate a riproporre quello sciopero del sesso che dal 29 aprile al 4 maggio aveva tenuto col fiato sospeso (e non solo) i maschi di tutto il paese.

Il governo di unità nazionale ha accolto le  richieste delle femministe, soprattutto per quanto riguarda le riforme, richieste a gran voce dalla popolazione. I leader dei due schieramenti al governo, Mwai Kibaki e Raila Odinga, hanno invitato a palazzo le responsabili e le hanno ascoltate. In questi mesi hanno dimostrato un maggiore impegno al dialogo, anche l’impresa non è facile. Gli scontri avvenuti dopo le elezioni del dicembre 2007, che hanno lasciato sul terreno 1500 morti e hanno costretto a fuggire dalle loro case 300mila persone povere, sono ancora freschi nella memoria. E le donne avevano lanciato la clamorosa protesta proprio per invitare i governanti a uscire dalla costante situazione di conflittualità, aprendo una fase di riforme per il paese.

Ma se sul lato politico lo sciopero ha portato i suoi frutti, complice il fatto che anche la moglie di Odinga e, secondo voci affidabili, quella di Kibaki vi hanno preso parte e che tutti i media del mondo ne hanno parlato, tra la gente comune non sono mancate le critiche.

Nderitu Njoka, presidente e fondatore di Maendele Ya Wanaume, organizzazione per i diritti degli uomini (intesi come maschi), ha attaccato le sue concittadine, dicendo che non si può «usare il sesso come un mezzo per aggredire gli uomini». Ha anche aggiunto che «lo sciopero va contro la Bibbia, che chiama le donne a essere sottomesse ai loro mariti», invitandole a trovare un altro metodo di protesta per creare divisioni dentro le famiglie.

Chi temeva che i mariti si sarebbero ribellati, alzando le mani contro le proprie compagne, è stato smentito. Non è stato registrato, o meglio non è stato denunciato, alcun caso di violenza. I più ottimisti dicono che gli uomini hanno compreso i motivi della protesta, altri che in casa molte donne si sono arrese alle richieste “insistenti” dei compagni. E il timore che i maschi potessero rivolgersi alle professioniste del sesso aleggiava in ogni riunione femminile.

Sembra. infatti, che a guadagnarci di più da questo sciopero siano state le prostitute. Il Gender 10, l’unione delle associazioni femministe che ha organizzato la protesta, aveva proposto un indennizzo per aiutarle a superare il periodo di astinenza dal lavoro. Alla fine, però, i soldi non sono stati trovati. Così le lucciole hanno continuato a svolgere la loro professione, e i clienti non sono affatto mancati. «Non hanno visto che l’aspetto commerciale della questione» ha criticato Agnès Leina, della Coalizione contro la violenza violenza sulle donne «Hanno pensato soltanto a trarne profitto».

C’è anche chi ha scelto le vie legali per protestare. Un keniano, James Kimondo, dopo che la moglie si è rifiutata di avere rapporto con lui, ha rivolto la sua rabbia contro il G10, portando in tribunale quattro leader delle organizzazioni femministe. Ha chiesto loro un riscarcimento per i danni che gli avrebbero causato proclamando lo sciopero: sette giorni consecutivi di ansia, stress, dolori, problemi di concentrazione e insonnia. C’è da domandarsi se la donna non abbia sfruttato l’occasione per prendersi un periodo di pausa dal marito un po’ troppo “passionale”.


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