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MEETING. Infermieri, gli indispensabili che devono uscire dall’ombra

Suzanne Gordon ieri al Meeting di Rimini ha invitato gli infermieri ad alzare la testa e a rivendicare il giusto ruolo nella sanità che non è fatta solo di medici e macchine. Servono i professioni del prendersi cura

di Antonietta Nembri

da Rimini

Senza gli infermieri non c’è possibilità di una vera e completa cura dei pazienti. Ha ben chiaro questo concetto Suzanne Gordon che dopo aver assistito nel pomeriggio di ieri, al focus su “Assistenza in Italia. Accessibilità alle cure”, ha deciso di cambiare il suo intervento previsto in serata al Meeting di Rimini. «Gli interventi mi hanno depressa» ha detto la Gordon. «Non si è mai fatto riferimento agli infermieri. Si è parlato di medici, di famiglie, di tecnologie, ma non di infermieri. E questo è sintomatico e significativo della visibilità che ha la professionalità degli infermieri. La gente sa che esistono, che di loro si può avere fiducia, ma in pochi sanno che cosa effettivamente fanno». E anche lei, visiting professor at the University of Maryland school of nursing, giornalista e autrice di diversi libri proprio sugli infermieri la cui professione studia e osserva da oltre vent’anni, un tempo era come tutti: pensava che i medici facessero tutto «e in questa convinzione ci hanno rafforzato i tanti telefilm americani incentrati solo sui medici, che hanno inquinato non solo il pensiero nel mio paese, ma ovunque». A farle cambiare idea il parto del primo figlio venticinque anni fa, «scoprii che erano le infermiere che gestivano il travaglio e tutto quello che accadeva dopo il parto». Una scoperta che l’ha portata negli anni a studiare e diffondere l’attività, il ruolo e la figura professionale degli infermieri. «Non è una rivelazione che i medici sono esperti e preparati, ma molti di noi si sorprendono quando scoprono che gli infermieri salvano la vita», ha osservato.

Difficile fare un confronto tra il sistema americano e quello italiano, ma in comune in tutto il mondo c’è la carenza di personale infermieristico. «Ma abbiamo un servizio sanitario controllato da persona che hanno delle manie e che non capiscono che cosa voglia dire prendersi cura, non è una cosa che possono fare tutti. Ho sentito oggi un relatore dire che si assumeranno delle persone, le badanti, ma le badanti (e Gordon usa il termine in lingua italiana) non hanno una formazione per essere infermieri, non basta il buon cuore, ma un buon cervello istruito» ha continuato l’esperta americana.

La priorità è far sapere tutto a tutti. Soprattutto alla gente comune, che «ancora pensa agli infermieri come agli angeli che si sacrificano per i loro pazienti». Far sapere che quello dell’infermiere è un lavoro duro e impegnativo; che gli infermieri sono pochi; che dovrebbero essere pagati di più (e a questa osservazione i tanti infermieri e tirocinanti presenti in sala sono scoppianti in un fragoroso applauso), che tanti smettono prima ancora di andare in pensione.
«In Italia vi dovete occupare di troppi pazienti e molti di voi abbandonano il lavoro. Questo dipende dal sistema. Dovete dire alla gente e ai politici le vostre necessità, i vostri bisogni. E chiedere ai medici che vi rispettino di più». Cecilia Sironi, consigliera della Consociazione nazionale delle associazioni infermiere/i che ha introdotto l’incontro ha concluso ricordando come la «mia professione sia dare assistenza da professionista» e ha auspicato di rompere il circolo vizioso che sta portando oggi a delegare l’attività infermieristica agli Oss (operatori socio sanitari) è una cosa che «dequalifica la nostra professione» e ha invitato a comunicare, a far sapere quello che gli infermieri fanno veramente.

 


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