Economia
Boom e banche sane. Beirut ringrazia l’etica
Perché in Libano il credit crunch non è arrivato
Molta prudenza negli investimenti, regole di stampo islamico contro la speculazione, una fonte di liquidità costante in arrivo con le rimesse. E il Paese dei cedri
vive un’inaspettata crescita I n Libano non piovono subprime. I missili dal cielo sono qualcosa più che un ricordo, autobombe esplodono ciclicamente e la stabilità politica resta appesa a un filo. Ma nel Paese dei Cedri, colpito da guerre a ripetizione, l’ultima nel 2006 con Israele, non si respira quel clima da post conflitto che ammorba ancora l’aria in tutto il pianeta. Un mondo che dopo l’abbuffata finanziaria e speculativa si sveglia alleggerito di 920 miliardi di dollari. A tanto ammontano solo le svalutazioni e le perdite del settore bancario. Nel suo complesso l’universo parallelo delle Borse ha ingoiato qualcosa come quattromila miliardi di dollari. Bruciati per sempre, deprimendo l’economia reale. A Beirut no.
Gli istituti di credito in Libano tirano la ripresa e stimolano una crescita che non si vedeva dagli anni 90. Il Pil procede al galoppo balzando dell’8,5%, i turisti ritornano a visitare il Paese (+35%) e il settore delle costruzioni sta rimettendo in piedi i ponteggi (+31%). Nuovo miracolo del Paese dei cedri. Possibile? E come? Lo staterello peggio assortito del Medio Oriente, diviso da 18 etnie e gruppi religiosi, retto da un repubblica semipresidenziale tra le più litigiose al mondo, sempre in tensione tra la protezione siro-iraniana e saudita-statunitense, ha vinto la sua battaglia economica grazie a due soli fattori: tante regole e i risparmi degli emigrati all’estero.
A Beirut la Banca centrale, diversamente da altrove, ha posto fermi paletti alla finanziarizzazione delle banche locali. Divieto di acquisto di titoli sui mutui subprime, zero cartolarizzazioni spericolate sugli immobili e derivati messi all’indice. L’etica della prudenza innanzitutto nel segno della finanza islamica. E anche sulla leva del debito, le banche libanesi hanno avuto le mani legate. Libere di partecipare ad investimenti immobiliari, ma solo fino al 60% del valore della commessa. Vale a dire che sul mattone, devono essere anche gli imprenditori a mettere i quattrini. Così sugli investimenti finanziari.
Il risultato è un settore del credito forse poco dinamico, ma con in cassa una montagna di liquidità, che finisce in prestiti “sicuri” alle famiglie, alle piccole e medie imprese. I depositi sono l’altra manna che fa correre il Libano. Il 20% del Pil dipende dalla rimesse, dai soldi (circa sei miliardi di dollari) inviati dall’estero dagli emigrati. Si tratta della percentuale procapite, su 4 milioni di abitanti, più alta al mondo.
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