Non profit

MEETING. Lo sviluppo che nasce dall’io

La testimonianza dei brasiliani Cleuza Ramos e Marcos Zerbini e l'intervento di Giuseppe Folloni portano al centro dello sviluppo la persona e gli incontri che questa fa

di Antonietta Nembri

da Rimini

I coniugi brasiliani Cleuza Ramos, responsabile dell’Associazione Trabalhadores Sem Terra di San Paolo, e Marcos Zerbini, deputato al Parlamento dello Stato di San Paolo, Brasile, hanno partecipato questa mattina al Meeting di Rimini, con Giuseppe Folloni, docente di Economia all’Università degli Studi di Trento e direttore scientifico del Dipartimento sviluppo e cooperazione internazionale della Fondazione per la sussidiarietà, all’incontro dal titolo Lo sviluppo nasce dall’io.

Alberto Piatti, segretario generale della Fondazione Avsi, nell’introdurre l’incontro ha detto che «lo sviluppo ha un volto», ricordando anche come il ministro degli Esteri Franco Frattini (ospite del Meeting ieri) abbia affermato che negli aiuti allo sviluppo si deve considerare la centralità della persona. Ad aprire l’incontro il saluto di Elisabetta Belloni, direttore generale di Cooperazione e Sviluppo del ministero degli Affari esteri, che riprende lo stesso concetto, che la persona e non la burocrazia è al centro dello sviluppo. Lo Stato farà la sua parte nella cooperazione internazionale, assicura Belloni, ma non da solo, perché sono molteplici i soggetti, società civile, ma anche singoli individui, che si incontrano per conseguire i risultati sperati.

 

Sono seguite le testimonianze di Cleuza Ramos e di Marcos Zerbini. È passato soltanto un anno da quel 24 febbraio 2008 quando hanno consegnato il loro movimento nelle mani di don Julian Carron. Ripercorrono la storia della loro lotta per dare case e strutture agli abitanti delle favelas, ma non c’era cambiamento, non c’era sviluppo perché, come dice Cleuza, «avevano ancora la favela nel cuore». Solo l’incontro con persone che li guardavano con uno sguardo nuovo ha cambiato loro stessi, ha cambiato le donne delle favelas e tutto diventava più bello: «Perfino come raccoglievano la spazzatura». Marcos ringrazia perché, pur abitando al di là dell’oceano, appartiene allo stesso popolo generato dallo stesso padre, don Luigi Giussani.

L’intervento di Folloni cambia il registro, ma non l’intensità e il cuore. «Se non sradichi la favela dal cuore non può esserci lo sviluppo». Quindi si chiede: «Le testimonianze che abbiamo sentito sono eccezionali, ma sono riproducili pubblicando un opuscolo con le indicazioni, come vuole la Banca mondiale?». Lo sviluppo avviene con un metodo perché aumentare gli aiuti, pur necessari in un momento di emergenza, non crea sviluppo: ricevere aiuti è un’abitudine difficile da smontare. Peggio se poi sono ridistribuiti dalla burocrazia. Folloni porta il dettagliato esempio di un progetto del Ghana degli anni 50, allora Costa d’Oro (con diga, elettricità, alluminio, ferrovie, pesca, irrigazione), finito in nulla perché era solo un’idea, sia pure molto grandiosa. Occorre cambiare mentalità: il punto di partenza è un incontro (non la lista dei bisogni), che cambia anche chi è lì ad aiutare con un’educazione. Questa necessità di cambiare mentalità nella cooperazione è stata illustrata anche ai presidenti e ai primi ministri dell’ultimo G8 dell’Aquila.

 


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