Economia

La fattoria di Al Cappone

Coop Lombardia e il carcere di Opera: due progetti diventati realtà

di Redazione

Dopo un anno di intenso lavoro la collaborazione tra Coop Lombardia e la direzione del Carcere di Opera (Milano), hanno realizzato il sogno di inserire nella grande distribuzione i prodotti realizzati nel carcere dai detenuti: le uova di quaglia della fattoria di “Al Cappone” e i gelati Ais Crim

Più che a km zero, le uova di quaglia della Fattoria di Al Cappone (www.alcappone.it), allevamento nel carcere di Opera (Milano), sono uova di prossimità. Piccole, maculate, quasi prive di colesterolo (contengono colesterolo solo quello buono HDL,  e non  quello cattivo LDL). Delicate e adatte ai palati più fini. Usate da chef di grido e apprezzate da comuni buongustai, le uova di quaglia, disponibili sugli scaffali di alcuni punti vendita Coop Lombardia di Milano e provincia, hanno addirittura la dote di non provocare allergie ed eruzioni cutanee che possono scaturire dal consumo di uova di gallina, principalmente nei bambini; hanno, anzi, un’azione terapeutica nel combattere le allergie. E “ottimo” si può dire il gelato AIS CRIM: bicchierini e torte, e gelati su stecco, tutti squisiti gelati realizzati all’interno del carcere in una pasticceria d’eccellenza, in grado di competere per qualità, alle migliori pasticcerie di Milano. I gelati li trovate per ora negli ipercoop di Piazzale Lodi a Milano e all’Acquario di Vignate. È curiosa, la realtà della casa di reclusione di Milano-Opera. Un penitenziario enorme che contiene quasi 1500 detenuti, il cui perimetro misura due chilometri e include una sezione 41 bis (tra gli altri, Totò Riina, per intenderci) di un centinaio di persone, è per molti versi, un esempio all’avanguardia per il recupero e per la vivace attività di produzione di beni di consumo. Di ottima qualità. È un carcere “nuovo”, quello di Opera, un carcere visto appunto come un’officina della libertà, un momento di preparazione alla vita, quella dei “normali”, quelli che si alzano la mattina e vanno a lavorare. Un carcere dove non si sta con le mani in mano e in cui la sfida è offrire al palato del “mondo dei liberi” prodotti che facciamo dimenticare l’indirizzo della provenienza, perché ineccepibili dal punto di vista della qualità e dell’immagine.

Opera è una struttura complessa, ma lo spazio per il lavoro esiste. È un carcere con grandi potenzialità: perché ha una dimensione ampia, persone detenute con fine pena lungo, personale motivato e un territorio che risponde. E la buona volontà (volontà di fare bene…e buono!) produce risultati alla portata di tutti, assaggiabili, godibili da tutti.

«Un contesto favorevole che fa sì che tutti siano orientati a che le possibilità lavorative, dentro e fuori dal carcere, si concretizzino », dice Giacinto Siciliano, 14 anni di esperienza, già direttore a Monza e Sulmona, e da due anni a capo dell’istituto alle porte di Milano. «L’allevamento, dieci detenuti-allevatori, insieme con la gelateria artigianale Aiscrim (detenuti in alta sicurezza, 10 per ora, ma che presto diventeranno 20) è solo una delle attività alle quali intendiamo dar corso. Ne seguiranno altre».

Per esempio la produzione della “Malamela”, una marmellata di mele cotogne, o cotognata, artigianale che ricorda i sani prodotti di anni fa; ottima con i formaggi, con il bollito, a merenda. O le confetture dei “frutti dimenticati”, ma non vogliamo anticipare troppo le sorprese del futuro…

Su un totale di 1.400 detenuti (la capienza è 1.500), nel carcere ne lavorano 350 in mansioni “domestiche” (in quota all’Amministrazione Penitenziaria) e poco più di 80 impiegati da aziende esterne. Ci sono poi 45 semiliberi. Il lavoro, chiave di volta per una vita che va “riconvertita”, possibilità reale e non fumosa beneficenza. Chiosa Siciliano: «Il lavoro che crea davvero opportunità non può essere solo quello che ha come interlocutore lo Stato, ma le aziende. Il detenuto deve poter acquisire un modello che si confronta con le regole e il gioco di mercato. Deve diventare una persona che cammina con le sue gambe, porsi come cittadino e non “vittima” del sistema. Il carcere a questo serve: a dare delle regole. Il lavoro è un ottimo parametro per capire se e quanto ci si può reinserire nella società». Per costruire, ri-costruire.

 

 

 


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