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Il parroco di Rebibbia: depenalizzare i piccoli reati

«Costruire nuove carceri non serve». Ci vorrebbe un nuovo indulto? Sondaggio di Vita.it

di Maurizio Regosa

Sovraffollamento, mancanza di spazi, scarsità di personale, ridottissime possibilità di svolgere un’attività o imparare un mestiere da spendere all’esterno. La situazione nelle 206 carceri italiane (con 63.587 rinchiusi a fine luglio) sta diventando molto preoccupante, come ha sottolineato l’iniziativa Ferragosto in carcere promossa da Radicali Italiani che ha coinvolto 167 tra deputati, senatori e consiglieri regionali di tutti gli schieramenti politici.

Un sovraffollamento generalizzato

Il disagio carcerario è a Nord come al Centro e al Sud. Predente il carcere di Udine. Potrebbe ospitare 105 persone. In queste ore ne contiene 216 (più della metà sono straniere). Una situazione «inaccettabile” per i detenuti e per le guardie carcerarie, ha detto Ivano Strizzolo (senatore Pd) che il 14 agosto ha visitato la struttura assieme al consigliere comunale di Udine Alessandro Venanzi. Oppure guardate i numeri di Vicenza (la struttura di via Della Scola dovrebbe ospitare 120 detenuti; invece ne contiene oltre 370) o di Ravenna (170 persone, e la capienza normale è di 59). O ancora osservate il raddoppio dell’istituto di Capanne di Perugia: dai 243 detenuti del 2008 è arrivato agli attuali 485 (a fronte di una capienza di soli 284, e con una disponibilità di spazi vitali di molto inferiore ai 7 metri quadri per ospite previsti dalla legge). Al San Vittore di Milano, non va meglio: ciascun detenuto ha a disposizione ben 2,7 metri quadri e nelle celle da cinque metri per due si vive in sei. Gravi disagi dunque per i 1.372 detenuti (il loro numero regolamentare non dovrebbe superare quota 712). Stesso disagio a Modena: a fronte dei 220 posti disponibili ci sono 528 detenuti; gli agenti dovrebbero essere 226, ma gli assegnati sono 167 e gli effettivi solo 147. Un situazione che nei giorni scorsi è sfociata in varie forme di protesta, un po’ in tutta Italia.

Una voce da Rebibbia

Il nuovo piano carceri annunciato nei giorni scorsi dal ministro della Giustizia Angelino Alfano non risolverà nulla, la costruzione di nuove carceri non è una priorità. È questa la presa di posizione del parroco del penitenziario di Rebibbia, don Piersandro Spriano, in merito a quanto affermato dal Guardasigilli che aveva chiesto i fondi dell’Ue per l’edificazione di nuovi penitenziari. «Io credo – ha detto don Spriano ai microfoni della Radio Vaticana – che sia anche questa una misura che non contrasta nulla: per costruire carceri, lo sappiamo tutti, ci vogliono anni e anni; ne abbiamo già costruiti e sono lì, come monumenti inutili, perchè poi non ci sono i soldi per riempire le carceri delle strutture necessarie, per riempire le carceri di personale di custodia, di operatori dei trattamenti, eccetera».

«E quindi – ha aggiunto – se non si mette mano al Codice penale, alla depenalizzazione dei reati, a non immaginare che tutto debba essere semplicemente ’punitò con il carcere, io credo che potremmo costruirne 100 all’anno e non risolveremmo il problema!». Don Spriano sottolinea che proprio sul Codice penale «in questi anni si sono fatte mille commissioni ma non si è mai arrivati ad una riforma; parlo del fatto di praticare delle misure alternative che invece diventano sempre più strette: pensi che su Roma abbiamo circa 2.500 detenuti e ne abbiamo 50 in semi-libertà; e poi più del 50% dei detenuti non sono ancora condannati in maniera definitiva, non dovrebbero stare nemmeno in carcere, però stanno lì».

Ancora sulla condizione vita carceraria a Rebibbia, don Spriano racconta: «La maggior parte dei detenuti attualmente sono in una situazione di apatia perchè capiscono che non si vuole andare da nessuna parte se non detenerli e basta. A Rebibbia, si stanno comportando in maniera dignitosa, perchè a fronte di innumerevoli privazioni, la vita dentro – nonostante questi numeri esagerati – è una vita accettabile. Non ci sono risse, litigi eccetera. Si chiede che non si pensi a ’sicurezza uguale carcerè». «E poi, – osserva ancora il prete – io chiederei a noi cittadini liberi, e poi a noi cristiani, di provare ad aprire la nostra mentalità per accogliere queste persone nel momento in cui – per esempio – escono. La gran parte di quelli che escono automaticamente sono pressochè costretti a tornare in carcere perchè non trovano più alcun tipo di accoglienza da parte di nessuno».

 Sul tema tanto dibattuto della sicurezza, il sacerdote osserva: “Sicurezza mi sembra che attualmente significhi mettere il più possibile persone in carcere, tutte quelle che in qualche modo danno fastidio alla società libera. Per cui si sono penalizzate cose che non erano reati prima” . Quindi spiega: “Questa non è – dal mio punto di vista – sicurezza, se non apparente, perchè queste persone poi – perchè non ci sono i mezzi, non ci sono le risorse umane – non vengono assolutamente aiutate a ripensare al loro passato e a poter tornare in società!  nessuno si chiede come tornano: questa è una falsa sicurezza”.

 


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