«Domani è già qui»: recita così il ritornello della canzone che il nostro grande Jovanotti ha voluto dedicare alla gente dell’Aquila e che in questi mesi abbiamo sentito risuonare mille e mille volte. Quella canzone centrava la grande questione a cui, con il lavoro che ha portato alla costruzione di questo numero di Vita, abbiamo cercato di trovare qualche risposta. Che domani sarà per la gente di questa città? Che domani si può pensare per un popolo che di fatto non ha più e difficilmente avrà la sua città? Cioè la sua casa, le sue strade, i suoi legami, la sua storia? Il terremoto dell’Aquila ha caratteristiche eccezionali, perché mai si era vista collassare in pochi istanti una grande città (L’Aquila per dimensioni è il decimo comune italiano). Tutto questo ha determinato un’emergenza di proporzioni bibliche, con un popolo di oltre 70mila sfollati a cui si è dovuto far fronte dall’oggi al domani. La capacità di risposta della Protezione civile italiana è stata assolutamente esemplare (come conferma Marco Vitale nell’intervista che pubblichiamo a pagina 16, «La nostra Protezione civile è tra le migliori al mondo»). La caparbietà di un popolo che tutti abbiamo ammirato, nella sua compostezza e nel suo dolore, nelle settimane immediatamente successive alla tragedia, ha fatto il resto: una grande emergenza che poteva avere derive alla New Orleans (anche lì una grande città collassata, ma senza che ci fosse una Protezione civile preparata), invece è stata vissuta in questi mesi con grande civiltà e notevole capacità organizzative.
Ma tutto questo è già ieri. Il domani invece è un altro film. È il vero film, come aveva intuito subito Jovanotti. Domani è già qui. Per questo il lavoro dei giornalisti di Vita che si sono avvicendati sul terreno aquilano, è stato tutto indirizzato in questa prospettiva. Una prospettiva che l’informazione non ha mai affrontato se non in termini episodici, per gli aspetti più esteriori e di effetto (la questione delle new towns, ad esempio). Invece la prospettiva del domani tocca questioni profonde, come quelle dei legami comunitari che si sono dissolti, del lavoro perso, della vita da ricominciare, dei vecchi che forse non avranno tempo per ricominciarla, dei giovani che si guardano smarriti per capire se il domani è qui o non altrove.
A chi tocca tentare di rimetter insieme questi pezzi? È la domanda che abbiamo posto a tutti, a iniziare dall’indiscusso regista di questi mesi di emergenza, Guido Bertolaso. Ma l’abbiamo rivolta anche al vescovo, smarrito, che si trova con metà dei suoi già pochi preti, e al sindaco, rappresentante di una classe politica locale non all’altezza della situazione. E lo abbiamo chiesto anche a tutti i rappresentanti del volontariato, che in questi mesi ha svolto un insostituibile compito di supporto alla Protezione civile, ma che forse non ha avuto la sufficiente consapevolezza per rivendicare il proprio vero ruolo: che era quello di lavorare per tentare di rimettere insieme dei legami, di favorire dei processi responsabili e soprattutto partecipativi. Questo sinora non è accaduto. Ma questa è la scommessa più importante per il domani che già bussa alla porta.
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