Non profit

Torna a scuola anche il non profit

Addestrare e formare operatori del non profit è a volte costoso, ma per associazioni e imprese sociali è davvero il migliore degli investimenti

di Redazione

Senza arrivare ad aderire a posizioni estreme, quali quelle che potrebbero essere tratte da certa recente letteratura sul futuro delle economie e delle società, (che suonano più o meno cosi: «il non profit è il settore del futuro»), si può con certezza prevedere che il non proflt ricoprirà via via funzioni crescenti, in quanto a volume di attività e anche varietà e importanza delle competenze e delle responsabilità. La crisi delle istituzioni e dei mercati da un lato, l?aumentare e il diversificarsi dei bisogni degli individui dall?altro, e anche il ruolo più attivo e attento che una fascia sempre più numerosa di cittadini desidera ricoprire, nella vita civile, costituiscono le condizioni che stimolano lo sviluppo quantitativo e qualitativo del non profit negli attuali sistemi socio-economici dei Paesi evoluti. Un nuovo ?welfare mix? E se, nel processo del ridisegno del welfare, le forme giuridico-istituzionali e organizzativo-gestionali del non profit non rappresentano l?unica alternativa al ?tutto pubblico? e/o al ?tutto mercato?, certamente ne compongono un elemento essenziale, pensando che la più concreta e probabilmente la più efficace alternativa allo stato assistenziale ovvero all?economia liberista sia un ?nuovo? welfare mix, che distribuisca, con diversi pesi a seconda dei casi, le funzioni e i compiti a soggetti vari, pubblici, privati, non profit, e anche parti sociali e singoli. Come cambia la formazione Tuttavia, occorre prestare molta attenzione al fatto che il fallimento dei ?vecchi? sistemi non garantisce automaticamente il successo di sistemi ?nuovi?, dal momento che, al di là di semplificazioni talvolta anche genuine, molte altre volte ideologiche o per lo meno assai parziali, governare risorse scarse a fronte di bisogni e complessità crescenti non è affatto un compito facile, e per compiere il quale non bastano comunque sensibilità e rettitudine, ma sono indispensabili anche esperienza e specifiche competenze, oltre che ragionevoli risorse. Ecco allora che la formazione continua a ricoprire un ruolo fondamentale nei confronti dei vari attori e dunque anche del non profit, pur dovendosi intendere in modo molto differente dal passato. Sono di vario tipo e livello, ma una cosa è certa, e li rende simili rispetto ai fabbisogni formativi dei vari soggetti, pubblico e privato, in generale: sono alquanto cambiati, rispetto anche solo a pochi anni fa; si sono evoluti e articolati, e non è più possibile darvi una risposta univoca e tradizionale. Una risposta specifica meritano i fabbisogni di formazione nell?ambito tecnico, rispetto alle attività che l?organizzazione svolge: in campo sociale, sanitario, ambientale, culturale, civile, ricreativo, e cosi via. Una risposta altrettanto specifica deve essere destinata ai fabbisogni di formazione in campo amministrativo e gestionale, rispetto alle specificità giuridico-istituzionali e organizzative delle stesse aziende non profit. Così come le iniziative di addestramento devono essere mirate, a seconda che si rivolgano ai componenti degli organi politici, quali presidente e consiglio di amministrazione, piuttosto che ai massimi responsabili, segretario e/o direttore generale e dirigenti, ed eventualmente anche consulenti esterni, oppure a figure di responsabilità intermedia o infine di profilo più operativo. E come, ugualmente, devono essere diversamente focalizzate, a seconda che i destinatari siano giovani, risorse da inserire e far crescere nel settore, piuttosto che membri ?storici? dello stesso, riferimenti carismatici ma sovente anche baluardi della conservazione. E le specificità delle risposte, da cui dipendono l?efficacia e l?efficienza della formazione, non passano soltanto attraverso i contenuti, ma anche attraverso la metodologia didattica, la struttura delle iniziative, il tipo di interazione tra docenti e partecipanti, il collegamento tra la formazione e le problematiche concrete delle organizzazioni. Se, infine, le organizzazioni devono, in grande parte, ancora capire che la formazione ha e deve avere un costo, che però è in realtà il migliore degli investimenti per il futuro e anche un pò per il presente, il mondo della formazione deve assumersi tutta la sua parte di responsabilità, ai fini della riuscita dell?addestramento. Troppe volte a partecipanti poco motivati e a organizzazioni scettiche corrispondono formatori distratti e poco impegnati. E modificare questo quadro non è per nulla facile. La formazione gestionale Per quanto riguarda, in particolare, la formazione in campo amministrativo e gestionale per il settore non profit, essa, persino nei Paesi di ben più lunga e radicata tradizione manageriale anche in ambito non profit, (dunque tanto più nel nostro Paese e tra le nostre organizzazioni senza fini di lucro), ha fatto fatica a trovare una propria collocazione e una propria dignità, vista, come era, se non addirittura come un «nemico» delle principali peculiarità del settore (quali flessibilità e informalità, gratuità o liberalità dell?impegno, e così via), certamente come qualcosa di estraneo e dunque inutile. I tempi in cui questo si verificava sono , anche se non da molto, passati e oggi non è più necessario spiegare perché la formazione manageriale può essere utile al settore non profit. Ne è prova il proliferare, addirittura eccessivo a questo punto, delle iniziative di formazione e affini, che oggi vengono rivolte al non profit da parte dei più svariati soggetti proponenti e attuatori. Resta però ancora parecchio da spiegare ?che cosa? e ?come?, ossia quali contenuti la formazione non profit debba affrontare per essere utile al settore di destinazione, e con quali modalità. E questo devono spiegarselo ancora, almeno in parte, anche i formatori, oltre alle organizzazioni. Ciò che si vuole dire è che il sapere manageriale, ben consolidato per svariate tipologie di settori e le metodologie didattiche, anch? esse mature per diverse fasce di destinatari, devono ancora trovare una specifica declinazione per il settore in questione e i suoi componenti, che costituiscono un universo davvero assai ampio e variegato, e dalle notevoli specificità. Dalle cooperative sociali ai gruppi di self help, dalle grandi fondazioni alle piccole associazioni, dai soci ?storici? della cooperazione ai giovani volontari, dagli amministratori di patrimoni agli studenti motivati a entrare nel mondo della solidarietà, i bisogni di apprendimento e addestramento davvero si aprono in un ventaglio ampio e complesso. Formazione? Sceglietela su misura È fuori di dubbio il crescente interesse, da parte di giovani studenti, dei vari ordini di studi e in particolare di livello universitario, nei confronti del Terzo settore, delle specifiche condizioni di impegno e impiego che esso offre, e delle prospettive e opportunità che vi si possono cogliere. Se gli stipendi non sono dei migliori, per contro le carriere possono avanzare più velocemente e dare presto delle gratificazioni, che provengono poi dalla natura delle attività, dalla più forte cultura organizzativa che sovente si respira nelle istituzioni, da uno stile di gestione più ?a misura di persona?, maggiormente partecipativo e democratico, che fa riferimento a ideali di carattere morale, religioso e civile. Corsi, laurea e stages In risposta a questo trend, sono ormai numerosi i corsi di specializzazione o addirittura corsi di laurea specifici, e corsi di formazione post laurea, più o meno lunghi, fino ad arrivare alle iniziative finanziate dai Fondi Sociali. Senza dimenticare poi le possibilità di stages presso le singole organizzazioni, la propensione dei laureandi a sviluppare tesi su tematiche annesse, i progetti sul campo provenienti da percorsi formativi anche eterogenei, ma che ormai non possono non prestare particolare attenzione al settore e alle sue aziende. La formazione di livello universitario e immediatamente post graduate, dal punto di vista dei contenuti, non è poi così semplice come potrebbe sembrare a prima vista: costruire pacchetti formativi, sovente alquanto lunghi, non è immediato. La casistica non è ancora sufficientemente ampia: dunque, la formazione richiede che venga fatta anche ricerca, scientifica e applicata, i rapporti di collaborazione tra il mondo universitario e quello non profit non sono ancora sufficientemente sviluppati, il mercato del lavoro si muove con tempi non sempre coordinati con quelli dei percorsi formativi, i supporti didattici, tra cui anche semplicemente i libri di testo, sono in grande parte ancora da costruire. Tutto ciò citare alcune tra le maggiori difficoltà. A cui si aggiunge la responsabilità di formare giovani risorse in vista di un impegno che non è soltanto professionale ed economico, ma che è anche fortemente sociale, politico e civile. Alquanto diverso è invece il quadro della formazione per coloro che già operano nel settore, magari da decenni. I cambiamenti avvenuti, a livello politico, istituzionale e socio-economico, e i nuovi compiti che attendono il settore, premono per un profondo rinnovamento dello stesso, delle sue svariate e numerosissime organizzazioni, dei suoi singoli operatori. I quali sono sollecitati in diverse direzioni: dalla propria storia e dai ?marchi? distintivi del settore da un lato, da una cronica scarsità di risorse, economiche, logistiche, umane, di tempo, dall? altro. Per non parlare poi delle oggettive difficoltà del cambiamento, delle opportunità che balenano senza garantire certezze, della necessità, comunque, di acquisire in tempi rapidi strumenti e conoscenze concretamente applicabili e di grande efficacia. E se, per certi versi, questa necessità non può essere soddisfatta (poiché la formazione non può dare ?bacchette magiche? e richiede tempi di assimilazione e poi di implementazione), tuttavia tutto ciò non deve diventare, come accade, un alibi per formatori poco capaci e anche per organizzazioni non genuinamente orientate ad apprendere e cambiare. Se formazione significa potenziamento delle competenze, in effetti un simile risultato, per una organizzazione nel suo complesso, non passa soltanto dalla formazione, ma può essere raggiunto anche in altro modo, fondamentalmente inserendo nuove risorse, oppure attivando collaborazioni esterne con esperti e anche altre organizzazioni, e anche, per certi aspetti, attraverso lo studio della letteratura e della casistica esistente e magari con la partecipazione a convegni e occasioni di confronto e scambio di esperienze. Questo per dire che, nella formazione rivolta a organizzazioni e loro membri, il punto da cui partire sono i concreti fabbisogni della gestione e non l?ipotesi che la formazione ?serve comunque? o ?si ha da fare?. A ciascuno la sua formazione Ecco che, a questo punto, la formazione può essere ?a distanza?, oppure può articolarsi nella forma di seminari e giornate di studio, oppure ancora passare attraverso il collegamento di banche dati e l?offerta di un sostegno in termini di documentazione e riferimenti scientifici e di letteratura, ovvero utilizzare lo sviluppo concreto di progetti sul campo per trasmettere conoscenze. La formazione , insomma, deve tenere conto di tempi e costi, non solo economici ma anche organizzativi e soprattutto ?umani?, deve dare prova di utilità e anche di ?umiltà?, deve mettersi a lavorare ?spalla a spalla? con le organizzazioni a cui si rivolge, distinta da esse soltanto per una maggiore focalizzazione su aspetti generali, di metodo che non devono mai significare genericità, fumosità, inconsistenza. In conclusione, occorre che i formatori e i destinatari si impegnino reciprocamente affinché la formazione, se occorre, sia fatta bene, perchè altrimenti è meglio che il formatore si dedichi ad altro e i destinatari spendano i loro soldi in qualche cosa di più utile o almeno di più divertente. A cura di Anna Merlo


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