Welfare

A Timor Ovest cinque morti al giorno fra i rifugiati

Nei campi profughi di Timor Ovest, dove stazionano 130.000 rifugiati di Timor Est, muoiono cinque persone al giorno. La denuncia di Winston Neil, medico volontario

di Redazione

Nei campi profughi di Timor Ovest, dove stazionano 130.000 rifugiati di Timor Est, muoiono cinque persone al giorno. Lo ha detto a Fides Winston Neil, medico volontario indonesiano che lavora a Timor Ovest per l’Information Centre for the Internal Displaced People, affiliato al Movimento degli Studenti cristiani indonesiani. “Molti di loro sono bambini sotto i cinque anni e muoiono per diarrea, malaria, malnutrizione” afferma. Causa principale delle morti sono le cattive condizioni igienico-sanitarie nei campi. Le strutture esistenti sono insufficienti per il numero dei rifugiati: manca l’acqua corrente, le toilette sono danneggiate. I rifugiati subiscono le angherie dei miliziani filoindonesiani. Dopo oltre un anno dall’indipendenza di Timor Est (settembre 1999), gli interessi dei paramilitari sono ancora il maggior impedimento alla risoluzione dell’emergenza profughi. Secondo Neil, i miliziani ostacolano i programmi di rimpatrio, insediamento, registrazione e riconciliazione. La maggior parte dei rifugiati vuole aderire al programma di rimpatrio e desidera tornare alla vita precedente. Molti sono agricoltori e pensano alla loro terra a Timor Est. “Ma il programma procede con estrema lentezza, vi è diffuso terrore, intimidazione contro i rifugiati che intendono iscriversi” dice Neil a Fides. “Intanto la convivenza è infestata da furti e prostituzione” spiega. “Un’équipe medica dell’ospedale protestante di Bethesda a Yoyakarta ha riscontrato ampia diffusione di malattie veneree tra i rifugiati”. Inoltre gli aiuti umanitari hanno creato una sorta di dipendenza fra i profughi: molti sono convinti di non poterne fare a meno. Secondo Neil “le milizie orchestrano una campagna denigratoria contro le Nazioni Unite e contro il National Council of East Timor (CNRT)”. I media locali appoggiano la campagna : “Quanti vogliono tornare ad Est – riferisce Neil – sono chiamati ‘traditori dello stato’, quindi versare il loro sangue è lecito”. Alcuni cercano di rimpatriare in segreto. Negli ultimi mesi l’esercito indonesiano ha consentito il rimpatrio di 1.500 persone a Timor Est, in maggioranza ex militari. La registrazione dei rifugiati ha incontrato difficoltà fra i profughi stessi, che ricorda loro le procedure di voto per l’indipendenza, evento per loro traumatico. Il programma di risistemazione è stato rifiutato dagli abitanti locali. Gli indigeni desiderano che i rifugiati tornino a casa, perché non vogliono dividere con loro le scarse riserve d’acqua. L’operazione più lenta è la riconciliazione: i rifugiati vogliono dimenticare il passato e ottenere un’amnistia. A Timor Est la gente chiede giustizia e processi per i responsabili delle violenze, per rafforzare lo stato di diritto. Almeno 100 persone sono state processate. Dopo l’attacco ai funzionari dell’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati (ACNUR) ad Atambua, lo scorso anno, le Nazioni Unite hanno interrotto il loro lavoro. Il gen. Susilo Bambang Yudoyono, Ministro indonesiano per gli affari politici e sociali, ha affidato alle forze militari “Satgas” l’incarico di assistenza ai profughi. Sul numero dei rifugiati, i rapporti sono discordanti. La stima più credibile è circa 130.000, sparsi in quattro località: 75.000 ad Atambua, località di frontiera fra Timor Est e Ovest; altri nella capitale di Timor Ovest, Kupang e nel distretto circostante, compresi i villaggi di Noelbaki, Naibonat, Sulame e Poto; nel distretto centromeridionale di Timor, nei villaggi di Soe, Kobelete, Pemencar; nel centro-nord dell’isola, nelle città di Ambeno e Winie. I rifugiati sono sistemati in case in affitto, stanze, tende o presso famiglie. Gli enti più attivi nell’assistenza dei profughi sono alcune Organizzazioni non governative e la Chiesa.


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