Cultura

Un supermercato inglese usa il “bio” per farsi pubblicit

Aveva promesso tutti prodotti naturali a prezzi stracciati, ma si è scoperto poi che si trattava di un'operazione di marketing. Intanto il "vero" biologico conquista gli inglesi

di Gabriella Meroni

L’anno scorso la catena britannica Iceland (supermarket di prodotti surgelati) era uscita con la dichiarazione che avrebbe convertito l’intera gamma al biologico. La stampa, anche in Italia, aveva rilanciato la notizia, corredata di dati del tutto incredibili: la catena dichiarava ad esempio di aver sottoscritto contratti sul 40% della produzione biologica mondiale. A fine gennaio il Daily Mail da Londra presenta la logica conseguenza: Iceland ha annunciato una totale inversione a “U”. Il nuovo amministratore delegato Bill Grimsey ha dichiarato che la conversione biologica è stata un errore, e che nelle linee a primo prezzo saranno reintrodotti i prodotti convenzionali: “La scelta è stata prematura e forse i nostri consumatori non erano pronti”. La società dichiara che dal punto di vista etico e morale è lieta di essersi impegnata per alimenti migliori, ma che deve fare anche considerazioni commerciali: la promessa di garantire prodotti biologici allo stesso prezzo dei convenzionali (e la fascia trattata da Iceland è sempre stata media se non medio bassa) si basava su premesse sbagliate. “Il prodotto biologico costa di più, per mantenerlo a prezzi analoghi al convenzionale ci vogliono ricarichi minori; minori ricarichi impongono maggiori volumi di venduto, che non si sono registrati”. I prezzi della linea biologica saranno quindi portati a livelli superiori a quelli delle linee convenzionali nei 720 punti vendita della catena. Il sospetto è che più che di una strategia sbagliata, si sia trattato di un’operazione studiata a tavolino, per promuovere l’insegna della catena facendo parlare di sé. A insinuarlo non è solo qualche malevolo italiano, ma anche l’autorevole Times: “I casi sonon due: o è stato ammirevole, oppure è stata la campagna di marketing del secolo”. Il quotidiano prosegue con humour: nel giugno scorso, il responsabile delle strategie di Iceland, fresco della sua seduta settimanale di yoga, è stato illuminato dall’idea che cibi sani avrebbero dovuto essere disponibili per tutti, e ha deciso di convertire al biologico tutta la linea dell’azienda. In qualche modo ha convinto i piani alti che i prodotti potevano essere venduti allo stesso prezzo, anche se costavano 8 milioni di sterline in più. Nonostante lo scetticismo di gran parte del settore biologico e i costi per l’inserimento, il direttore generale Russel Ford (che ha lasciato la società) rassicurava gli azionisti della bontà dell’idea, sventolando un’indagine da cui risultava che 3 consumatori su 4 avrebbero preferito acquistare prodotti biologici se fossero stati più a buon mercato. Bill Grimsey ora dichiara: “L’indagine non è stata realizzata correttamente”. Reale o virtuale, il flop di Iceland non tragga in inganno: sempre nel Regno Unito la linea biologica di Sainsbury’s, con un approccio meno avventurista del piccolo concorrente registra un incremento di fatturato del 50% all’anno e un fatturato superiore ai 3 milioni di sterline a settimana (ma solo il 2% deriva dai surgelati), tant’è che la catena è intenzionata a portare da 1000 a 2000 gli articoli bio entro il 2001. Tesco dichiara di valere il 30 per cento del mercato alimentare biologico britannico con le sue 700 referenze, e Safeway, che ha lanciato il biologico nel 1983, ha un assortimento di circa 500 articoli.


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