Uno legge la notizia di un attacco multiplo alle chiese cristiane di Bagdad e cosa pensa? Che niente, l’Iraq è ancora nel caos e del caos i fondamentalisti islamici approfittano per schiacciare la minoranza più mite e indifesa che ci sia. Anche Avvenire, commentando a caldo la notizia dell’ultimo sanguinoso week end iracheno (11-12 luglio), con 9 chiese bombardate e quatto fedeli morti, riferiva senza sollevare dubbi la versione ufficiale: «Secondo la polizia c’è Al Qaeda dietro gli attentati». Poi ti capita di incontrare a Roma, nella sede della Caritas nazionale, l’arcivescovo latino di Bagdad. E scopri che l’apparenza e la realtà in Iraq non sempre coincidono. Monsignor Jean Baptiste Sleiman, questo il nome dell’arcivescovo, parte da un dato di fatto. «Questi attentati, otto chiese colpite a Bagdad e una a Kirkuk, non sono stati rivendicati. I fondamentalisti li conosciamo bene. Quando colpiscono rivendicano sempre con fierezza la loro azione. Non sono stati loro». Chi, allora? Sleiman insiste sulla matrice politica e non religiosa degli attacchi. Fa riferimento ai «progetti di divisione dell’Iraq». Poi invita a considerare un altro dato di fatto. «Qual è il primo effetto degli attacchi alle chiese di Bagdad? La fuga dei cristiani, verso l’estero o verso il nord del Paese. Allora la domanda è: chi ha interesse a questo esodo?». L’arcivescovo, persona equilibrata e prudente, ha una risposta ben precisa. Ma lascia a noi il compito esplicitarla.
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