Politica

Maria Teresa Arosio, ex quadro Fiat. Il pianto dell’esubero

Nel 1994 fu cacciata dall’azienda, anche se i conti erano floridi : "Fu terribile, non me l’aspettavo, ma per Gianni nessun rancore".

di Giampaolo Cerri

“Io ho pianto, mi sono commossa, devo ammetterlo”. Maria Teresa Arisio, 57 anni, è una bella signora, torinese doc, ex dipendente Fiat. Un?anziana, si sarebbe detto nei giorni della commemorazione di Giovanni Agnelli. Ma non è una ex qualsiasi. Fa parte di quelle migliaia che la società di corso Marconi, ancor florida, cacciò nel giro di pochi mesi nel 1994. Esuberi, si disse. E questa volta le lettere di licenziamento arrivarono diritte ai colletti bianchi, agli impiegati: 4mila, messi alla porta, senza neppure un grazie. “Rancori? No, non con gli Agnelli. Guardi, ho fatto tre ore di fila al Lingotto e sono rientrata a Torino appositamente dalla montagna”, dice la Arisio che oggi lavora a Confcooperative, dopo aver diretto per sette anni una grande coop sociale torinese. “Ho sempre distinto, la famiglia, gli Agnelli, dai gestori di turno”, sottolinea. “Ho odiato visceralmente Cesare Romiti ma, anche quando mi hanno licenziata, non ho mai saputo detestare l?Avvocato”. Lunedì scorso, questa ex dipendente di Mirafiori, entrata a 15 anni in fabbrica da apprendista segretaria e uscita da quadro, ha visto alcuni colleghi di quegli anni difficili, altri esuberi come lei. “Mi hanno preso un po? in giro, per via di questa commozione”, racconta, “per loro era tutto finito da un pezzo. O forse non è finito niente, perché evidentemente le ferite sono ancora aperte”. Si emoziona, Maria Teresa Arisio, perché nella saga degli Agnelli, rinnovata da questa morte, ha visto scorrere il film della sua vita: l?Italia del boom, l?autunno caldo, le ristrutturazioni degli anni 80, Berlinguer ai cancelli, i 40mila, i licenziamenti degli anni 90. “Veramente della nostra vicenda in questi giorni si è parlato poco”, osserva, “ci cacciarono mentre l?azienda distribuiva utili. Uno scandalo, un buco nero nella storia Fiat che si è preferito tacere. Così come non si è mai parlato di un altro errore dell?Avvocato: aver permesso di mandar via Ghidella”. In effetti, dell?inventore della Uno, dell?uomo che fece conoscere alla Fiat auto una stagione d?oro, messo alla porta da Romiti, non c?è stata traccia nell?effluvio di rievocazioni televisive e giornalistiche. Parlando di Ghidella, gli occhi azzurri, ancora belli, si illuminano: “Una stagione esaltante: allora, lavorare in Fiat, significava sentirsi dentro un grande processo di innovazione. In quegli anni, ci fu un attaccamento all?azienda come mai, forse, si era registrato. Peccato l?abbiano cacciato”. Non cova risentimenti, la signora Arisio, ma si sottrae al quadretto idilliaco dell?azienda felice. Però per l?Avvocato, la stima non è mai venuta meno. Complice forse quella volta, al Sestriere, che le cedette cavallerescamente il posto allo skilift: “Quella domenica mattina si mise in coda, come tutti. Io mi trovai immediatamente dietro e lui si mise da parte, con un largo sorriso”. Sparito il patriarca, Torino però si interroga, dubbiosa. “La notizia dell?impegno familiare mi sembra buona”, commenta, “ma in città si respira un clima pesante. Nulla sarà come prima. E nessuno si illude”.


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