Non profit

Quel che oggi la Luna ci dice

Una riflessione di Haim Baharier sul perché la Luna ci insegna a convivere

di Sara De Carli

Quarant’anni fa, il 20 luglio 1969, il mondo seguiva ipnotizzato la conquista della Luna. Gli esperti oggi ci dicono che la Luna è una frontiera superata, che la sfida oggi si chiama Marte.

Ma la luna continua a esercitare il suo fascino. Anche nel mondo del non profit. Basta cercare un po’ on line. C’è una associazione “Luna”, semplicemente. Ma anche “I fiori sulla luna” e naturalmente un “Vogliamo la luna”. Tra le cooperative sociali poi c’è il “Cambio di luna” e “La luna storta”. La luna, insomma, è fonte di ispirazione anche per battezzare le attività sociali.

Su questa scia, vi proponiamo una suggestiva riflessione di Haim Baharier, tratta da una intervista rilasciata a Vita. Ragionando sul concetto tanto attuale di “identità” e sul suo ruolo nelle relazioni tra diversi, Baharier invita a prendere esempio proprio dalla luna.

«Mi sembra che nell’ultimo decennio siamo entrati in un nuovo mito identitario, quello dell’identità debole. Un’espressione che io non capisco, perché mi sembra contrapporsi al concetto stesso di identità. L’identità è differenziazione, individuazione, quindi non può essere debole. Però l’aggettivo ha un suo fascino, e se guardo attraverso il prisma della mia identità, quella ebraica, suggerirei di usare non la parola “debole”, ma “claudicante”: identità claudicante. Quella ebraica è un’identità claudicante, cioè un approccio all’identità umana sic et simpliciter con la consapevolezza di una diminuzione dell’essere.

L’essere esistente in quanto reale è incompleto, finito, “più piccolo di”. Mi spiego con un passo della Torah. La Genesi dice che il creatore creò due grandi luminari, e nello stesso versetto dice “il grande luminare per governare e il piccolo luminare per governare la notte, e le stelle”. Il commento del Talmud ovviamente si blocca su questa contraddizione: prima si parla di due grandi luminari e poi del grande e del piccolo. Il Talmud dice che in mezzo al versetto è successo qualcosa. Uno dei due grandi luminari ha interpellato il creatore dicendo: “due sovrani per una sola corona non vanno bene”. E il creatore disse: “Caspita, hai ragione, perciò vai e rimpicciolisciti”. Il luminare che aveva parlato – noi capiamo che è quello che poi sarebbe diventato la luna – replica: “Ma come, io avevo ragione, ho detto una cosa giusta, e devo rimpicciolirmi io”. E di nuovo il creatore: “Oddio, hai ragione”. E allora prova a consolarla. Per esempio le dice che piccolo è bello. “Però è una magra consolazione leggere il grande nel piccolo, io voglio essere grande”, dice la luna. Allora il Creatore dice: “Tu sei presente sempre, anche di giorno, mentre il sole non è presente di notte”. E lei: “Vuoi scherzare? Qual è il valore di un lume in pieno mezzogiorno?”. E si va avanti così.

Ma la luna non si consola. Alla fine dice il Creatore si arrende, e inventa questa cosa: a ogni luna nuova il popolo di Israele porterà un sacrificio di espiazione, che servirà per espiare le colpe di cui non sappiamo niente, colpe talmente tumulate dentro di noi che – contro ogni psicanalisi – non appaiono. Ma in realtà quello è un sacrificio a nome del creatore: è lui che sta espiando la colpa di aver creato, perché creare è creare più piccolo.

Io credo che questo guidi il concetto di identità claudicante, claudicante nel senso di identità rimpicciolita, non diminuita. Perchè diminuita sarebbe diminuire in dignità, mentre rimpicciolita implica la consapevolezza dell’incompiutezza, che è ciò che consente al dialogo di stabilirsi. Io conosco l’altro se prendo coscienza del divario e quindi di una diminuzione, perchè il divario è sempre per qualcuno un rimpicciolimento di essere. Questo mi fa rivedere diversamente il mito dell’identità debole come un’identità che incarna la debolezza, che è diverso. Questa concezione un po’ selenica dell’identità si ripercuote in tutte le vicende di Israele, dove l’idea dello zoppicante ritorna molto di frequente. Giacobbe, il più grande dei patriarchi, cambia nome e diventa Israele nello stesso istante in cui diventa zoppo.

Forse riscoprire l’identità di Israele può aiutare tutti. A me sembra che il termine stesso di identità sia un termine incompleto: bisogna parlare di percorso identitario. Se noi capiamo che l’identità non esiste, ma esiste un percorso identitario, una percorso che va in cerca di una definizione sempre più chiara, profonda e dettagliata di una identità, allora capiamo che l’identità claudicante è solo l’approccio di Israele all’identità umana, un modo di assumere l’identità umana. Dunque sarebbe interessante per qualsiasi identità confrontarsi con questo percorso, perchè questa del claudicare non è lo specifico dell’identità ebraica, ma la parte universale dell’identità. Secondo me il percorso identitario è questo, è essere coscienti della necessità di verificare ogni raggiungimento con le altre identità, e verificare se è condivisibile. Cioè contemplare la parte universale del proprio percorso, e questo si può fare solo nel confronto con l’altro.


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