Economia

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Uno scrittore racconta l'Italia che vive a rate

di Chiara Cantoni

«A 20 anni ero pesantemente indebitato. Mio padre mi salvò». Così Gianluigi Ricuperati ha voluto scavare nelle storie di chi invece non ha trovato reti di salvataggio.
Ne ha fatto un libro. Molto fuori dagli schemi «Il debito è una ragnatela in assenza di ragno. È una ragnatela perfetta. Dopo, c’è la caduta. Questo libro si ferma al punto in cui le persone cominciano a cadere». Ma sia chiaro: La tua vita in 30 comode rate. Viaggio nell’Italia che vive a credito (Laterza, 10 euro) non è un’inchiesta sull’usura. Non è quel tipo di disperazione finanziaria che intende raccontare. E a dirla tutta non è neppure un’inchiesta. Piuttosto un “reportage fittizio”, un docu-fiction, sull’«abisso dei benestanti», sull’ossessione per il denaro – prestato, perduto, speso, erogato, concesso, quasi mai restituito – nel momento in cui la curva della prosperità italiana ha cominciato a incrinarsi. Lì si è fermata la penna, onesta di un’onestà che ferisce, di Gianluigi Ricuperati.
Vita: Economia e credito: cosa ci trova uno scrittore?
Gianluigi Ricuperati: Contrariamente alle apparenze, ritengo che il denaro sia il vero argomento. Non parlo del credito al consumo, che ne è solo una declinazione contingente, ma della natura del rapporto tra il fenomeno umano e il fenomeno economico. Nel 2007 mi è capitato di pubblicare per un’antologia di Minimum Fax, Il corpo e il sangue d’Italia, una sorta di memoir breve, in cui raccontavo la mia esperienza di indebitato. All’età di 20 anni lo ero pesantemente, una faccenda legata più a una pulsione psicopatologica che a una necessità reale. Mio padre mi aiutò a saldare il conto, ma da quel momento il denaro è entrato nella mia vita come tema fondante.
Vita: Stiamo parlando di avidità?
Ricuperati: No. C’entra la metafora che il denaro è. Anche se allo stesso tempo s’impone come qualcosa di molto reale: è una convenzione, quindi un’entità metafisica e insieme molto concreta, un cumulo di cifre ma anche un grumo psichico che definisce l’essere umano meglio di qualunque altra cosa. Credo che il denaro sia una perfetta occasione per tentare di dire, attraverso la poesia, qualcosa di vero sull’umano.
Vita: Metafora di che?
Ricuperati: Della dipendenza dal mondo esterno, delle regole con le quali l’uomo è gettato nella vita. Nel contempo, però, il denaro è un grande generatore di differenze, e in quanto tale è anche un motore di narrazione. Andy Warhol diceva: «Vorrei che tutti avessero la stessa faccia e lo stesso nome, perché facce e nomi diversi mi causano sempre problemi». Parafrasando direi che senza differenze non ci sarebbero né storia né poesia. Gli eccessi di egualitarismo ammazzano la forza narrativa, il denaro invece crea dramma, discontinuità, frattura.
Vita: Tutto questo è presente nel libro in modo più sottile che evidente.
Ricuperati: Il titolo originale, I nostri debitori, sta al volume in modo più complesso di quello scelto: ha un legame più profondo con la natura dell’ossessione e con la semantica religiosa. Nel romanzo a cui lavoro ora, un personaggio decide di riscrivere il Vangelo eliminando tutti i riferimenti al denaro e alla fine rimangono 50 misere pagine, perché a ben guardare è tutto un rinvio al debito. Non importa come uno pensi o creda: l’uomo è gettato nell’esistenza “nudo e indebitato”.
Vita: Non sembra incoraggiante?
Ricuperati: Il debito pesa, ma proietta anche in qualche genere di futuro ed è una scommessa intrinseca sul fatto di essere vivi domani. Non sono sicuro che sia del tutto negativo. Alexander Herzen dice che «la storia è una vedova incinta». Prendendone in prestito le parole, si potrebbe dire che l’uomo è per sempre incinto del proprio debito: biologico, sensoriale, relazionale, economico, fisico. Poi è chiaro: man mano che si cresce si acuiscono le differenze più evidenti, quelle sociali, ma l’origine è ontologica.
Vita: L’economia sarebbe dunque un’antropologia?
Ricuperati: Per certi versi. Ma non un’antropologia dei comportamenti, ossia dell’esterno. Credo che oggi sia più corretto parlare di comunità interiori dell’io. Che, certo, poi si riflettono anche in vere e proprie comunità tribali, in diverse dimensioni della relazione, dove fra l’altro l’economia è una costante, un codice universale comprensibile a tutti.
Vita: Perché pone una dualità intuitiva: c’è chi da e chi riceve?
Ricuperati: Sì, ma la dualità ce l’abbiamo dentro. Ognuno di noi è abitato da molte pulsioni, comunità di anime differenti che popolano la sua esperienza di dialogo interiore: desideri, passioni, paure, tendenze anche contraddittorie che coesistono e danno vita a un’unità. Credo che l’umanesimo sia precisamente questo: la capacità di tenere insieme la complessità, in senso politico, sociale, ideologico, ma anche in termini di ossessioni. Questa visione unitaria si ottiene solo attraverso un costante affinamento di linguaggio interiore.
Vita: Ma c’è anche una dualità esterna, della relazione.
Ricuperati: Certo. E non fa che confermare la natura metaforica del debito. Ma anche la reale e brutale cognizione del modo di essere delle relazioni, dei rapporti fra i corpi, le menti, i cittadini, gli amici, i familiari. Si è tentati di pensare che il denaro rovini sempre tutto, e in un certo senso è così: ha una forza corruttrice enorme. Però credo che sia fondamentale provare a resistere, senza porre un vade retro preilluministico. Si può convivere con questa specie di criptonite? Io penso di sì.
Vita: Hai scritto il libro prima della bolla finanziaria. L’attualità può aggiungere qualcosa?
Ricuperati: Ovviamente trattandosi di una crisi da credito, quella attuale ha un legame con il volume. Devo però dire che l’attitudine presente nel testo riguarda la natura generica e non contingente dei soldi. Il legame con l’attualità, che pure è evidente, riguarda l’esteriorità del libro.
Vita: Un'”esteriorità” che ha mandato sul lastrico migliaia di famiglie?
Ricuperati: È drammatico. Così come il fenomeno dell’usura. E da un certo punto di vista il credito lo è ancora di più dell’usura: una volta denunciata l’estorsione, infatti, nessuno ti chiede di restituire il denaro. Chi si indebita legalmente invece entra in un vortice senza fine. Penso, per esempio, all’usura fra pari, quella del vicino di casa che guadagna un po’ meglio di te e ti concede un prestito, poi, quando non riesce a recuperarlo vende il debito a un vero usuraio, che ha mezzi di coercizione più aggressivi. È interessante perché nel mondo criminale di piccolo cabotaggio si ripete quello che succede nella finanza: quando non riesci a rientrare di un debito lo vendi a una società, che a sua volta può decidere di fare lo stesso. È una spirale senza fine che vive del suo stesso meccanismo. E cannibalizza chi ci finisce dentro.

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