Non profit
Maurizio Sacconi: più salute con meno ospedali
Dal Libro Bianco alla nuova sanità
Si va verso l’era della medicina territoriale, con i fascicoli personali elettronici e i servizi in rete Fine dell’ospedalecentrismo. Si potrebbe condensare in questa formula un po’ brusca il pensiero che il ministro Sacconi ha raccolto nel suo Libro bianco sul futuro del modello sociale. Nei paragrafi dedicati al welfare sanitario, il percorso è tracciato con grande chiarezza. Perché forte di un giudizio ornai diffusamente condiviso. «La logica del piccolo ospedale di territorio non ha più senso. La strategicità dell’ospedale non sta nella vicinanza ma nelle competenze che garantisce al paziente nel momento del ricovero. Sta nell’interdisciplinarietà che solo grandi strutture possono permettersi. Quindi meglio non avere un ospedale dietro l’angolo, ma avere un ospedale in grado di offrire professionalità». Ma se l’ospedale lascia il presidio del territorio, che cosa prenderà il suo posto? È quel che Vita ha chiesto a Maurizio Sacconi.
Vita: Nel Libro bianco lei ha scritto: «Il Welfare delle opportunità va oltre il concetto di integrazione tra ospedale e territorio». Concretamente cosa significa?
Maurizio Sacconi: Significa che si va verso un sistema nel quale si integrano servizi in ciascun ambito territoriale, lasciando il giusto spazio ai servizi extraospedalieri. Per medicina territoriale intendo tutto quello che costituisce la prevenzione, l’assistenza, i servizi successivi alla fase acuta, la riabilitazione, la cura domiciliare dei non autosufficienti.
Vita: Cosa la fa esser così convinto che questa “è” la strada?
Sacconi: Due motivi diversi. Il primo: che questo è il modo di rimettere al centro la cura vera della persona, che è innanzitutto promozione del benessere e non soltanto intervento in caso di patologie. Il secondo motivo sta nelle opportunità offerte dalle nuove tecnologie. Ogni cittadino per esempio avrà un fascicolo personale elettronico dove saranno raccolte le informazioni sulle varie fasi della vita, sulla salute e per la partecipazione attiva al mercato del lavoro. È uno strumento che consentirà di attraversare tutti i servizi territoriali, avendo sempre memoria della propria salute.
Vita: Quali sono i passaggi verso questo nuovo modello di medicina generale?
Sacconi: Il passaggio decisivo sarà il federalismo fiscale. Ma già con i piani di rientro delle Regioni con il sistema sanitario fuori bilancio, si sono sperimentate forme interessanti che garantiscono maggior qualità dei servizi a minor costi. L’altro passaggio è il nuovo patto della salute con i costi standard.
Vita: Non teme chiusure corporative da parte delle categorie interessate, medici per primi?
Sacconi: No. Ho notato convergenza di volontà su questo modello, che del resto rivaluterà il medico di famiglia, assegnandogli più responsabilità e un ruolo protagonista. Il tavolo con i medici di medicina generale sta portando a una rivisitazione anche dei criteri remunerativi, in modo da decongestionare il sistema.
Vita: Il privato sociale che ruolo giocherà in tutto questo?
Sacconi: Ovviamente importante. Per le esperienze organizzative e associative che porta. E poi per quella cultura del dono nel rapporto tra le persone senza la quale è difficile concepire un sistema in cui la persona e la presa in carico dei suoi bisogni sia il perno. L’orizzonte è quello di un superamento della distinzione tra pubblico e privato attraverso il riconoscimento alle formazioni sociali di una soggettività di rilievo pubblico anche nella programmazione dei servizi.
Vita: Non si guarda alla persona sempre come un oggetto dei servizi?
Sacconi: No. L’idea di fondo è che la persona venga chiamata a partecipare, ci vuole un’alleanza di cura in cui la persona non è oggetto di una visione paternalistica, ma soggetto a pieno titolo del processo in atto. E poi la persona non deve esser considerata entità isolata, ma ricca del suo contesto sociale, delle sue reti.
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