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Boomerang rimpatri

Grazie al reinsediamento alcuni dei profughi respinti potranno entrare legalmente nel nostro paese

di Lorenzo Alvaro

I rifugiati trasferiti dalle imbarcazioni delle autorità italiane a quelle delle autorità libiche vengono poi tradotti nei centri di detenzione in Libia. Questi centri sono molto simili ai nostri Centri di identificazione ed espulsione. Differiscono per due particolari: non esiste una prassi giuridica che si occupi di riconoscere e rimpatriare i migranti e non esiste un termine temporale che limiti la detenzione. Difficile uscire dunque. La via più usata è il rimpatrio volontario o forzato, attuabile però solo grazie a rapporti tra Libia e gli stati di provenienza. Non sempre questi rapporti esistono come nel caso della Nigeria che rifiuta qualsiasi contatto con l’interlocutore libico. Un’altra possibilità, molto remota per la verità, è il riconoscimento come rifugiato sotto il mandato dalle Nazione Unite. A quel punto tramite l’Unchr, che deve però vedere portati a termine difficili operazioni diplomatiche, procede al rilascio. L’ultima possibilità, la più tristemente ironica, è un programma di reinsediamento in paesi europei dei migranti. Coloro cioè che vengano riconosciuti rifugiati diventono soggetti di un trasferimento legale che rispetta quote stabilite dagli stati. Proprio poco tempo fa questo sistema ha portato l’Italia ad accogliere settanta eritrei. L’ironia consiste nel fatto che è possibile che gli stessi respinti in mare dal nostro paese tornino con lo status di rifugiato via Tripoli. Di questo e di altro parla con Vita.it, Christopher Hein, direttore del Cir (Consiglio italiano per i rifugiati).

Vita: Parlando dei rifugiati respinti il 1 luglio, lei si è riferito al Canale di Sicilia come ad una zona franca. A cosa si riferisce e cosa ritiene che debba cambiare?
Christopher Hein: Ho parlato di terra franca perchè questi respingimenti, inziati il 7 maggio da aprte dalle autorità italiane e che continuano ancora oggi, rappresentano da sole una violazione degli obblighi internazionali dell’Italia. Sopratutto alla luce della Convenzione di Ginevra sui rifugiati e del principio assoluto di divieto di rifiuto di persone che sono a rischio di vita e libertà in altri territori. Senza contare la violazione delle leggi nazionali italiane. Nessuno dei respinti infatti è mai stato identificato e tra loro ci sono appartenenti a categorie protette contro espulsioni e respingimento, stabilite dall’art 19 del testo unico sull’Immigrazione, come donne in stato di gravidanza, bambini non accompagnati, persone con urgente bisogno di cure mediche. Questo è quello che succede in concreto in quella fetta di mare, zona propro perchè in alto mare impossibile da controllare. Dunque io credo che, tanto più che non c’è modo di riuscire a effettuare controlli, l’unica cosa che debba essere fatta è il rispetto scrupoloso delle norme.
L’ultimo grande timore è che queste pratiche di trasbordo da una nave all’altra portino prima o poi ad un incidente, come successe più di dieci anni fa nel canale di Otranto dove 82 albanesi persero la vita. Si spera che non succeda ma chi conosce il mare sa che il rischio esiste.

Vita: Che fine fanno i respinti? Una volta passati alle autorità libiche cosa succede?
Christopher Hein: Una volta sulle navi libiche vengono portati in libia nei centri di detenzione, perlo più nella parte nord ovest del paese. Sono simili ai nostri Cie ma non hanno un giudice che valuta le espulsione e non c’è alcun limite di tempo. Non ci sono norme giuridiche che prevedono per quanto tempo uno debba essere trattenuto. Questo porta ad un tremendo sovraffollamento che aumenta ad ogni operazione come quella del 1 luglio. Noi del Cir insieme a Unchr cerchiamo disperatamente di migliorare le condizioni elementari in questa situazione decisamente molto pesante. Purtroppo senza una normativa di protezione del governo Libico è difficile.

Vita: Una volta entrato in un centro di detenzione come fa il migrante a tornare libero?
Christopher Hein: Le modalità sono varie ma tutte incerte. Qualcuno opta per il rimpatrio volontario, fa cioè richiesta di rimpatrio, oppure viene rimpatriato non volontariamente. In entrambi i casi però ci deve essere la collaborazione del paese d’origine perchè nessuno spostamento può essere fatto senza un documento rilasciato da un consolato. Non sempre è possibile perchè noi sappiamo, ad esempio, che la Nigeria non collabora in nessun modo, dunque i nigeriani, che hanno espresso anche con noi il desiderio di tornare a casa, rimangono nei centri. Alcuni sono lì da addirittura due anni.
Un secondo modo è il riuscire a mattersi in contatto con L’Unhcr e essere riconosciuti rifugiati sotto il mandato delle Nazione Unite. A quel punto, senza accordi chiari e basi normative, con vie dipomatiche l’Unhcr cerca di farli rilasciare. Ma parliamo di pochi casi, una manciata di persone.
L’ultima possibilità è il programma di reinsediamento di rifugiati in Italia e in altri paesi europei attraverso un trasferimento legale sulla base di quote stabilite dagli stati. In Italia è stato fatto nel caso di 70 eritrei, in maggior parte donne, e siamo in attesa di un’altra quota.
Naturalmente il programma di reinsediamento è indipendente dai respingimenti italiani, certo è che è possibile che lo stesso rifiutato si trovi soggetto di reintegro nel paese che non lo voleva.

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