Welfare
La clandestina arrivata in taxi oggi porta i tacchi a spillo
Elizabeth Valverde, 26 anni, dal Perù a una famiglia italiana
di Redazione

«Sono in Italia da 16 anni, ho solo un permesso di soggiorno valido per due anni. Tenendo conto che ci mettono un anno e mezzo per consegnarmelo, mi dura solo sei mesi, se va bene. Altrimenti lo prendo già scaduto»di Rassmea Salah
Non ne avevamo mai parlato prima, eppure eravamo state compagne di banco e migliori amiche per ben cinque anni della nostra vita, al liceo. Lei si chiama Elizabeth Valverde, ha 26 anni, si occupa di mediazione creditizia, vive da sola, ha un figlio di 6 anni, e ha origini peruviane: i suoi tratti somatici sono inconfondibili. Dopo la maturità ci eravamo perse di vista, ed ora, di fronte a un buon aperitivo, si apre a me raccontandomi la sua esperienza migratoria.
«Sono in Italia dal 93. Sono 16 anni che sono qui e non ho ancora la cittadinanza italiana ma solo un permesso di soggiorno valido per due anni? tenendo conto che ci mettono un anno e mezzo per consegnarmelo, mi dura solo sei mesi, se va bene. Altrimenti lo prendo già scaduto». Le chiedo perché i suoi scelsero l’emigrazione. «Come tanti miei connazionali che hanno lasciato il Perù tra il 90 e il 95, siamo emigrati per una crisi economica e politica del Paese causata dalla salita al potere di Fujimori, un presidente autoritario che governò dal 90 al 2000 e che aveva cancellato tutte le libertà democratiche e violato tutti i diritti umani. Era stato il mandante di omicidi, rapimenti, violenze e torture. Era di origine giapponese». Giapponese!? «Sì, il Perù è un Paese multietnico e multiculturale, non ci si stupisce nel vedere dei peruviani neri, o di origine asiatica, o biondi con gli occhi azzurri. Il popolo peruviano è il risultato di una mescolanza d’immigrazioni, non ha solo origini inca, come il modello stereotipato vuole far credere. Una volta ero in metrò con mio padre che a un certo punto guardando un ragazzo di colore mi dice “mira ese cocodrilo” e quello gli risponde “soy peruano igual que tù! Soy de Chincha”: che figura mi ha fatto fare…».
Come siete arrivati in Italia? «Mia madre era già qui, in quel periodo i flussi migratori erano composti da sole donne perché riuscivano a trovare lavoro più facilmente. Dopo nove mesi di lontananza, mio padre ha deciso di raggiungerla insieme a me e al mio fratellino, avevamo 10 e 8 anni. Abbiamo preso l’aereo da Lima a Budapest perché l’Ungheria all’epoca era uno dei pochi Stati che ancora rilasciava facilmente visti. Lì ci aspettava come d’accordo un tassista pagato profumatamente perché ci portasse fino a Milano. Siamo arrivati alla frontiera italiana alle 3 di mattino. Era buio, e c’era un po’ di confusione. Il tassista ha mostrato i due passaporti, il suo austriaco bordeaux e, dietro, quello di mio padre, peruviano ma dello stesso colore e forma. Così, dando per scontato che fossero entrambi austriaci, ci hanno fatto passare senza controllare bene. Siamo entrati da clandestini, e il nostro primo permesso di soggiorno l’abbiamo avuto nel 96. In quei tre anni di clandestinità i miei hanno lavorato sodo e io e mio fratello siamo andati a scuola, anche se inizialmente non volevano accettarci per la mancanza di documenti».
Quali sono le tradizioni che hai perso o mantenuto? «A parte parlare sempre in spagnolo, sono rimaste quelle culinarie: papa a la huancaina e ceviche non mancano mai a casa. Quelle che ho perso? beh, sono una donna autonoma, indipendente, senza marito, e con un figlio: sono fuori da ogni schema tradizionale. Per i miei genitori sono la pecora nera della famiglia…». Sulla sua perfetta integrazione dice: «Non ci siamo integrati perché gli italiani ci hanno accolto, ma perché ci siamo ritagliati il nostro spazio sociale».
Concludiamo con un cheer alla nostra salute e con un augurio di buona estate. Lei è in partenza per il Venezuela con il suo cucciolo. Elizabeth è una donna forte, determinata, sicura di sé sui suoi tacchi 12 e il vestitino estivo. Ma a parlare di suo figlio si commuove, soprattutto ricordando la prima volta che l’ha sentito parlare in italiano dalla pediatra, quando aveva 5 anni e uno stetoscopio sulla schiena: «Che cos’è questo olologio? È freddo!».
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