<b>Camera: è possibile utilizzare altri metodi di sperimentazione medica che non prevedano l?uso di animali? Lo chiede il deputato di Forza Italia, Raffaele Costa, al ministro della Sanità, Rosy Bindi, in un?interrogazione (4-19710) presentata il 18 settembre, ricordando che nel triennio 1995-97 più di tre milioni di animali sono stati utilizzati a fini scientifici.</b>
Sono 3.158.078 gli animali utilizzati in Italia, nel triennio 1995-97, per la sperimentazione e la ricerca scientifica. Il bollettino di guerra è a dir poco impressionante: un milione e trecentomila cavie, un milione e seicentomila ratti, quasi centomila porcellini d?India. Vittime di una ricerca che non risparmia nessuna specie: scimmie, uccelli, pesci, rettili, pecore, mucche e cavalli sono stati utilizzati a migliaia. E la stessa sorte è toccata ai migliori amici dell?uomo, con 2.449 cani e 703 gatti coinvolti nella ricerca e lo sviluppo della medicina umana e della veterinaria. Il numero degli animali coinvolti in esperimenti scientifici è salito negli ultimi due anni: gli involontari protagonisti della ricerca umana sono diventati 1.130.000 nel ?97, contro i 956.000 del ?95. Numeri che lasciano spazio a legittimi dubbi sulla corretta applicazione del decreto legislativo n. 116 del ?92, che attua la direttiva n. 86/609/Cee dell?Unione europea in materia di protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali. È vero che gli esperimenti, chiede Raffaele Costa, di Forza Italia, al ministro della Sanità, Rosy Bindi, in un?interrogazione presentata lo scorso 18 settembre, vengono eseguiti solo quando non è possibile utilizzare altri metodi scientificamente validi, come prescrive il decreto legislativo n. 116? E agli animali viene assicurata almeno la libertà di movimento, una corretta alimentazione e l?assistenza veterinaria, come previsto dallo stesso provvedimento fortemente voluto dall?Unione europea? La parola al ministro della Sanità.
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