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Parla la leader degli uiguri

Rebiya Kadeer, 61 anni e residente negli Usa, è la donna a cui Pechino attribuisce la responsabilità dei moti di protesta di questi giorni. Il mensile dei Gesuiti, Popoli, l'ha intervistata

di Daniele Biella

Ben 156 morti e 1434 persone arrestati. Sono gli ultimi bilanci, ancora provvisori, della strage in atto da domenica 5 luglio a a Urümqi, capoluogo della provincia cinese dello Xinjiang, zona in cui la minoranza uigura, musulmana e di lingua turca, è soggetta alla repressione politica e religiosa di Pechino. Le persone che hanno perso la vita sono in prevalenza proprio uiguri, e almeno 800 sono stati i feriti. I numeri arrivano da fonti ufficiali cinesi, e riguardano gli scontri tra manifestanti e forze di polizia, esplosi durante le manifestazioni di alcune migliaia di persone che protestavano per la morte di due operai uiguri avvenuta nel sud della Cina.

Il governo di Pechino ha attribuito la responsabilità dei moti di protesta a Rebiya Kadeer, leader della dissidenza, oggi in esilio negli Usa, sulla falsariga di quello che avenne nel marzo 2008 in Tibet, quando le autorità cinesi indicarono il Dalai lama come il sobillatore delle ribellioni dei monaci tibetani. Kadeer, 61 anni, è stata raggiunta per un’intervista da “Popoli”, mensile internazionale dei Gesuiti. Intervista, a cura di Federico Bastiani, che verrà pubblicata sul numero doppio di agosto-settembre della rivista. Eccone alcuni estratti.

Come mai la vostra battaglia non è conosciuta a livello mondiale come è invece la questione tibetana?
Le motivazioni sono due. Per prima cosa, il Dalai lama ha avuto la possibilità di lasciare il Tibet e rifugiarsi in India nel 1959, e da quel momento ha avuto il diritto di parola; invece nel Turkestan orientale non abbiamo mai avuto un leader, prima di me, che all’estero abbia avuto la possibilità di raccontare la situazione del mio popolo. Negli anni Cinquanta, in occasione della firma di un trattato di amicizia tra la Cina di Mao e l’Urss di Stalin, alcuni rappresentanti uiguri furono invitati a parlare del Turkestan orientale, ma durante il viaggio verso Pechino l’aereo che li trasportava fu fatto esplodere. Ci sono stati altri leader, ma ogni volta che tentavano di parlare venivano condannati a morte, torturati o imprigionati, quindi nessuno prima di me ha realmente avuto il diritto di parola. Secondo motivo, la religione. I tibetani sono buddhisti, quindi la comunità internazionale li associa a un popolo pacifico, invece noi uiguri siamo musulmani e purtroppo la comunità internazionale vede i musulmani in modo negativo. In realtà nella mia regione noi non abbiamo la libertà di culto. La Costituzione riconosce la libertà di credere, ma non di praticare. Inoltre non abbiamo la libertà di parlare la nostra lingua né di tramandare la nostra cultura o studiare la nostra storia. Le donne uigure sono deportate all’interno della Cina, non possono avere più di due figli. I malati sieropositivi cinesi sono deportati nella nostra regione. È un regime di oppressione totale.

L’attacco alle Torri gemelle del 2001 ha complicato la vostra battaglia, si dice che anche fra gli uiguri si nascondano dei terroristi.
La Cina ha utilizzato quell’attacco per intensificare la repressione contro il mio popolo. Poi le ultime Olimpiadi sono state occasione per ribadire al mondo che siamo pericolosi, che fra noi si nascondono terroristi. L’ha dichiarato perfino l’Interpol. Non sappiamo quanti soldi abbia sganciato la Cina all’Interpol per strappare queste dichiarazioni. In realtà nessun altro Paese al mondo, in nessun incontro bilaterale ci ha mai definito un popolo legato al terrorismo, lo dicono solo i cinesi. Io non so se ci siano delle piccole cellule terroristiche, ma sono sicura che la maggior parte del mio popolo è pacifica, crediamo nel dialogo, di questo sono certa.

In questa profonda crisi economica mondiale, il mondo ha bisogno della Cina. C’è il rischio che veniate dimenticati?
La crisi economica verrà usata per portare i Paesi democratici dalla parte dei cinesi, anche quei Paesi che prima si schieravano dalla nostra parte. Però non voglio essere pessimista perché più la Cina continuerà a creare questo regime di oppressione e prima i Paesi democratici si renderanno conto di quello che è realmente la Cina; prima o poi apriranno gli occhi e si renderanno conto di questo regime dittatoriale che subiamo.

Lei si è iscritta al Partito radicale transnazionale di cui fanno parte anche i radicali italiani. Quale contributo può dare l’Italia per il suo popolo?
Quello che chiedo all’Italia attraverso il Partito radicale è di aiutarci a chiedere di instaurare un dialogo con la Cina a livello politico ed economico perché la mia lotta intende migliorare i diritti umani nel Turkestan orientale, avere più libertà e democrazia.

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