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Il G8 ci lascia indifferenti

Un giornalista sudafricano, direttore editoriale di Ips Africa, racconta come il continente vive il G8

di Emanuela Citterio

La terza giornata del G8 dell’Aquila sarà dedicata al continente africano. Eppure non sembra che ci sia molto interesse dall’altra parte del Mediterraneo per le discussioni dei grandi Paesi industrializzati. A occupare le principali colonne della stampa di tutto il continente africano è semmai il primo viaggio africano di Barack Obama, che avverrà subito dopo il G8: il presidente Usa partirà per il Ghana, Paese scelto per la sua prima visita, direttamente dall’Italia, il 10 luglio.

Ips Africa, portale di news sull’Africa che ha sede a Johannesburg in Sudafrica, è uno dei nove partner africani di AFRONLINE, il nuovo portale in inglese creato da Vita che rilancia in Europa la voce dell’Africa. A seguire il G8 è il direttore regionale del network, Terna Gyuse (nella foto qui a sinistra).

Come viene vissuto il G8 in Africa? C’è interesse per questo tipo di summit?
Penso che i governi e la popolazione africani debbano continuare a interessarsi al G8. Le decisioni prese da queste enormi potenze mondiali hanno un grosso effetto sul nostro continente. Penso tuttavia che attualmente il G8 non sia molto interessato all’Africa, o almeno, non in un senso nuovo: l’Africa rimane una risorsa importante per le materie prime e meno importante ma sempre significativa destinazione per l’export. C’è una certa ansia, credo, per quello che sa facendo la Cina, per la sua “infiltrazione” come partner privilegiato per il petrolio e l’estrazione mineraria. Comunque, non penso al G8 come un summit particolarmente importante per prendere decisioni.

Eppure la terza giornata sarà dedicata all’Africa…
I temi che verranno affrontati al G8 riguardano l’economia dei paesi partecipanti, personalmente non mi aspetto molto da questo summit per quanto riguarda l’Africa. Penso che i membri di quello che è ancora un club ristretto siano ancora concentrati sui problemi economici scatenati dalla crisi mondiale e sugli effetti all’interno dei loro paesi. Nel passato c’è stato l’impengo per la cancellazione del debito e le promesse sull’aumento degli aiuti fatte nel 2005. Alcuni paesi africani sono riusciti a trarne dei vantaggi, e hanno mostrato una crescita macro-economica piuttosto buona in un contesto di crescita globale. Anche se è più difficile dire se questo si sia tradotto in condizioni migliori di vita per i più poveri. Ora che c’è la crisi sarà tutto più difficile.

Perché?
Non penso che le promesse di aiuto per supportare la ricostruzione, considerata cruciale, del settore sanitario, dell’istruzione e dell’agricoltura, devastati dagli aggiustamenti strutturali – che il G8, o il G7, ha largamente avvallato – saranno rispettate. Il G8 non sta raggiungendo gli scopi prefissati e non è credibile che possa mantenere le promesse fatte.
L’Italia, paese ospitante del summit di quest’anno, si presenta avendo realizzato qualcosa come il 3% degli impegni presi a Gleneagles in termini di aiuti. E dubito che questo meeting possa ribaltare la situazione.

Ci sono temi che riguardano l’Africa che non verranno trattati al vertice e che invece sono importanti per il continente africano?
Non mi aspetto che l’Africa venga posta al centro delle discussioni all’Aquila. Se c’è una cosa sulla quale mi piacerebbe che si discutesse al G8, è come strutturare una risposta comune al cambiamento climatico. L’Africa è messa in pericolo da un problema ampio che non avviene a causa sua.
Il continente probabilmente non riceverà il supporto necessario ad affrontare l’impatto del cambiamento climatico e invece ne ha e ne avrà bisogno.

La cacelliera Angela Merkel ha detto qualche giorno fa che bisognerebbe dare preminenza al G20, rendendo il G8 una discussione preliminare…
C’è molto da dire sul possibile G20, che diventerà più importante del G8. Un maggior numero di membri significa più capacità di rappresentanza, e quindi una discussione più ampia e rilevante. Almeno, questa è una possibilità. Ma la mia impressione è che come avviene ora con un gruppo ristretto di potenti, sarebbe più uno spazio per incontrarsi e discutere che un momento in cui decidere o cambiare gli indirizzi politici. E non certo il momento in cui prendere impegni vincolanti.

L’assemblea generale delle Nazioni Unite ha detto che i problemi che riguardano tutti dovrebbero essere decisi a livello Onu e non da un numero ristretto di Paesi. È d’accordo?
Sì, certamente. Ma le grandi potenze avranno sempre i loro incontri in cui discutere degli interessi comuni. Che, in tutta onestà, non sono gli stessi del resto del mondo: le nazioni del G8 puntano a mantenere e consolidare la loro influenza, ma il Sud del mondo sta lottando per rompere delle relazioni commerciali ingiuste e migliorare le condizioni di vita e l’accesso ai mezzi di sostentamento della maggioranza della popolazione mondiale.

L’Africa si presenta a questo vertice con una capacità di “contrattazione” diversa rispetto al passato, anche grazie all’interesse di grandi potenze come Cina e India. Credete ci sia un nuovo tipo di relazione possibile anche con i Paesi europei e occidentali in genere?
Penso che sia un’illusione credere che l’Africa si presenti al G8 con una nuova capacità di contrattazione. Forse è vero che ci saranno più leader africani presenti, ma le nazioni africane non avranno maggiore influenza e potere di prima. L’Africa deve far sentire la propria voce con le proprie forze.

In che modo?
Coordinandosi. Il che può significare trovare delle strategie comuni per resistere al commercio diseguale, rifiutando per esempio gli EPA proposti dall’Europa. I Paesi del continente dovrebbero consultarsi gli uni con gli altri su temi come le royalties sulle miniere e l’esenzione dalle tasse, invece di farsi concorrenza per attrarre investimenti stranieri. C’è una discussione crescente in Africa sul fatto che bisogna dare impulso all’agricoltura e creare aree di commercio regionali all’interno del contienente: bisognerebbe tradurre in azione queste idee, in modo realistico e sostenibile. Molti governi africani dicono che c’è bisogno di agricoltura intesiva e di nuovi accordi commerciali, ma non sono sicuro che i passi che dovrebbero portarci a questo obiettivo siano già stati escogitati pienamente.

(ha collaborato Chiara Caprio)

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