Non profit

stop al valzer del sostegno, sì alla continuità educativa

Sentenza del Consiglio di Stato boccia il turnover di insegnanti

di Francesco Dente

I genitori di un ragazzo autistico erano stanchi di vedere il figlio soffrire a causa del continuo cambio
di educatori. E hanno vinto: scuola ed enti locali devono impedire che un alunno
con disabilità sia penalizzato. Costa? Non importa
Iminori con disabilità hanno diritto alla continuità educativo-didattica. Hanno diritto, cioè, a essere seguiti nel percorso scolastico dalla stessa persona. Il continuo cambiamento dell’educatore compromette, infatti, l’omogeneità dell’intervento di sostegno.
È questo, in sintesi, il principio stabilito dal Consiglio di Stato con la sentenza n. 3104 del 2009. La storica decisione, emessa dalla sesta sezione di Palazzo Spada, premia la tenacia dei genitori di un bambino di Trieste affetto da una grave forma di autismo. Stanchi di dover ricominciare ogni anno da capo per via dell’avvicendarsi degli educatori, vedendo annullati i progressi del ragazzo nell’attività relazionale, avevano bussato alle porte del Tar del Friuli Venezia Giulia chiedendo l’accertamento e la dichiarazione del diritto del minore alla continuità didattica (ai sensi degli articoli 12 e 14 della legge n. 104/1992) oppure, in subordine, all’integrazione in classe mediante l’ausilio di un assistente alla comunicazione che lo aiutasse a partecipare alle lezioni (articolo 13 comma 3 della stessa 104).
Il Tar, però, aveva bocciato il ricorso. Le garanzie del diritto allo studio e all’assistenza del minore disabile – questo il motivo – non possono condizionare le modalità concrete di svolgimento del servizio di sostegno socioeducativo. Sono in contrasto, insomma, col potere organizzativo della pubblica amministrazione. La tesi tuttavia non aveva convinto i genitori e i loro avvocati, che avevano presentato appello al Consiglio di Stato. Risultato: il ricorso è fondato e il Comune di Trieste condannato al pagamento delle spese processuali. Secondo il collegio giudicante la richiesta dei genitori è «comprovata dall’esigenza di contenere le reiterate regressioni comportamentali del figlio, causate dal continuo cambiamento delle figure professionali incaricate del sostegno didattico». L’organizzazione del sostegno da parte degli enti locali, ma anche dell’attività delle scuole, non può, infatti, «comprimere o vulnerare quel diritto all’educazione, all’integrazione sociale e alla partecipazione alla vita della comunità riconosciuto alla persona da fonti sovranazionali, dalla Costituzione e dalla legislazione ordinaria». Le attività integrative di valenza socioeducativa, come il supporto individualizzato, devono essere prestate, anzi, con modalità «idonee a realizzare lo sviluppo della personalità dell’alunno e a garantire la presenza stabile di un educatore che segua costantemente l’alunno disabile nel processo di integrazione». Il piccolo alunno triestino, insomma, può riavere la sua educatrice: Valentina.

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