Non profit
SANITA’. Ricerca: «Manca la continuità delle cure»
E' quanto emerge da una ricerca promossa dalla Federazione italiana delle aziende sanitarie e ospedaliere (Fiaso), condotta in partnership con il Cergas Bocconi
di Redazione
Pazienti e addetti ai lavori, rileva l’indagine presentata oggi a Milano, “promuovono con riserva” Asl e ospedali, mentre i medici di famiglia vengono addirittura “rimandati a settembre” per non essersi impegnati abbastanza sul fronte dell’integrazione con gli altri professionisti sanitari, tuttora scarsa. La ricerca, condotta su un campione 13 Asl rappresentativo della situazione nazionale, ha indagato sulla capacita’ di fare gioco di squadra mostrata da medici di famiglia, ospedalieri, specialisti e infermieri e sull’integrazione delle cure per tre patologie croniche che richiedono soprattutto cure sul territorio: il diabete in pazienti con danno d’organo, l’insufficienza respiratoria grave connessa alla broncopolmonite, i tumori in fase avanzata seguiti da Assistenza domiciliare integrata. Risultato: in una scala di valori da 0 a 5, il ‘voto’ sull’integrazione e’ stato 3,24 per la cura del diabete, 3,06 per le insufficienze respiratorie, 3,17 per i tumori. Con alcune differenze fra i camici bianchi. Il punteggio assegnato ai medici di famiglia e’ infatti sempre piu’ basso rispetto a quello degli specialisti. Per il diabete e’ 2,40 contro il 4,03 degli specialisti, per le insufficienze respiratorie gravi e’ di 2,39 contro 3,65, e per i tumori di 2,69 contro 3,68.
Tallone d’Achille la frequenza degli scambi informativi, mentre e’ buona per entrambe le categorie la condivisione dei percorsi terapeutici. Ma l’indagine evidenzia anche come i medici ospedalieri e gli specialisti territoriali tendano a comunicare tra loro o al massimo con gli infermieri, relegando in un ruolo piu’ marginale i medici di medicina generale. L’esito della ricerca, commenta Giovanni Monchiero, presidente della Fiaso, e’ superiore alle attese, anche se occorre ricordare che “tanto piu’ gravi sono le condizioni del paziente, tanto maggiore e’ il coordinamento dei professionisti coinvolti. Il rischio – avverte – e’ pero’ di vedere destinata la maggior parte delle risorse ai pazienti con patologie oramai conclamate, limitando a interventi residuali l’investimento in prevenzione e monitoraggio. Occorrerebbe impegnare le stesse energie anche su prestazioni meno impegnative”. Camici bianchi e infermieri bocciati, invece, indistintamente sui sistemi informativi: solo il 2% utilizza l’e-mail, mentre la forma di comunicazione piu’ usata resta quella della cartella clinica portata a mano dal paziente al momento della visita.
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