Politica

Salviamo i bambini soldato

Aperto stamattina un incontro internazionale a Roma

di Maurizio Regosa

Un esercito di bambini

 Sono 250mila i bambini coinvolti nei diversi conflitti in atto nel mondo. Piccoli manovali degli eserciti, sono usati come combattenti,  messaggeri, spie, facchini. Talvolta, in particolare le ragazze, usati come oggetti sessuali. In ogni caso privati dei loro diritti e della loro infanzia. A loro era dedicato l’incontro internazionale Bambini e giovani colpiti dai conflitti armati: ascoltare, capire, agire, apertosi stamattina in Campidoglio e promosso dal ministero degli Affari Esteri e dal Comune di Roma, in collaborazione con l’Ufficio del Rappresentante Speciale del Segretario Generale Onu per i bambini e i conflitti armati, Unicef, Save the Children, Un Department for Peacekeeping Operations, Network of Young People Affected by War (Nypaw).

Un odioso paradosso

Preceduto dall’inaugurazione di una mostra fotografica sui bambini soldato (da cui è tratta l’immagine in copertina), curata da Leora Kahn, l’incontro è stato l’occasione per fare il punto sulle iniziative di contrasto a questo «odioso paradosso», come l’ha definito il sindaco della capitale Gianni Alemanno («rinunciare al valore dell’infanzia è il simbolo ultimo della rinuncia al futuro»). Iniziative che, come ha sottolineato il ministro Franco Frattini, sono anche italiane. Oltre a quelle della capitale (che contribuisce con circa 460mila euro a 13 progetti in diversi paesi africani), «L’Italia persegue da anni l’opera instancabile di protezione e assistenza in tutto il mondo dei bambini e delle bambine vittime dei conflitti armati», ha spiegato Frattini, «con azioni, nei principali fori internazionali, focalizzate sui tre obiettivi fondamentali della prevenzione, del recupero delle vittime e della loro reintegrazione nel tessuto sociale e attraverso l’opera della cooperazione Italiana che finanzia da diversi anni numerosi progetti in situazioni di conflitto e post-conflitto in moltissimi Paesi in ogni continente. È quindi con particolare piacere che l’Italia ha appoggiato lo scorso novembre all’Onu il lancio del Nypaw e che sosterrà, insieme alle Nazioni Unite, all’Unicef e alle ong impegnate nel settore, l’importante percorso che il network sta affrontando».

Un network speciale

Il riferimento del ministro è al network di recente costituzione, formato dalle vittime e cioè da ex bambini soldato, il Network of Young People Affected by War. All’incontro (cui sono intervenuti fra gli altri Marta Santos Pais dell’Unicef, Petri Gornitzka, segretario generale International Save the Children Alliance, Giuliomaria Terzi di Sant’Agata, Rappresentante Permanente d’Italia presso le Nazioni Unite) hanno partecipato due dei sei fondatori del Nypaw: Grace Akallo, originaria dell’Uganda, e Kon Kelei, originario del Sudan, che hanno raccontato in prima persona la loro esperienza di bambini soldato e parlato della rete. «La mia storia è soltanto una tra le migliaia di storie che ancora non avete sentito», ha detto Grace Akallo, «Ci sono decine e decine di gruppi armati che continuano a distruggere la vita dei bambini in molte zone del mondo. Nypaw è qui oggi per testimoniare e raccontarvi la sofferenza di questi bambini e giovani, rapiti e non, innocenti vittime che meritano di ricevere protezione e amore per poter recuperare la speranza nel futuro. Nessun bambino merita questo tipo di sofferenza». Quanto al network, ha precisato Kon Kelei, non è un modo «per auto-celebrarci, quanto per comunicare al mondo intero che c’è ancora speranza e che i bambini che sono stati un tempo traumatizzati dalla guerra possono recuperare e diventare importanti cittadini del mondo. I governi, le ong e le agenzie dell’Onu potranno rivolgersi al network per avere consigli concreti e una guida nella creazione di programmi di riabilitazione e reintegrazione efficaci e forieri di risultati concreti».

Un impegno comune

Quei risultati che gli intervenuti al dibattito hanno più volte richiamato: «Azioni di advocacy devono essere supportate da azioni concrete, ha detto Radhika Coomaraswamy, rappresentante speciale del Segretario generale Onu per i bambini e i conflitti armati, «I perpetratori di gravi violazioni dei diritti dei bambini devono renderne conto. Bisogna mettere fine all’impunità. Dobbiamo far conoscere al mondo le storie di questi bambini e dobbiamo intraprendere efficaci misure protettive, legali e politiche per assicurare che al più alto numero possibile di bambini vengano risparmiate le brutalità del conflitto. Una azione collettiva da parte nostra fa e farà la differenza, se anche solo ci proviamo». I lavori proseguono nel pomeriggio nella Sala Gonzaga di Via della Consolazione 4. Previsti due dibattiti. Il primo s’intitola Promuovere la partecipazione di bambini e giovani alla costruzione di un ambiente protettivo per i ragazzi vittime di conflitti armati. Il secondo è invece dedicato a Il contesto italiano e gli impegni per la partecipazione dei ragazzi nei paesi colpiti da conflitti.

Sempre a Roma (Piazza di S. Egidio 3, dalle 16.30) si svolgerà domani pomeriggio, presso la Comunità di Sant’Egidio, un incontro sul dramma dei bambini soldato in Uganda del Nord (dove la comunità ha svolto vari tentativi di mediazione, fin dal 1996, e in particolare tra il 2006 e il 2008 e dove si impegna con le sue Scuole della pace). Al dibattito intitolato Tornare dall’inferno, moderato da Vittorio Scelzo, partecipano Grace Akallo, Radhika Coomaraswamy e suor Rosemary Nyerumbe (che dirige il Centro Santa Monica di Gulu, creato per le ex ragazze-soldato, e sostenuto da Sant’Egidio).

 

 

 

 

 

 

 


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