Umberto Eco annota divertito il commento di suoi amici francesi entusiasti della tivù italiana perché, a differenza di quanto accade nel loro Paese, in ogni programma, fiction, talk show, perfino i notiziari, c’è una sfilata di belle ragazze assai poco vestite. Confermo dal mio bunker provvisorio di ospedale.
Avendo a disposizione solo i canali tradizionali, ancora analogici, noto la qualità scadente, ai limiti dell’inguardabile, di molti programmi, ormai già estivi, e dunque zeppi di repliche e di banalità. E penso: la rivoluzione digitale che cosa ci porterà, se il modello generale del mercato è quello che stupisce e ingolosisce gli amici francesi di Eco?
Esiste una larga fascia della popolazione che vive di televisione a tutte le ore. Sarà sbagliato ma è così. Anziani, persone ricoverate negli ospedali o nelle case di riposo, casalinghe, e, perché no?, carcerati. Perché non si può pensare seriamente a un’attenzione socialmente utile dei produttori di contenitori e di programmi televisivi nei confronti di questi cittadini, il cui unico orizzonte informativo è rappresentato dai sei o sette canali generalisti, ormai quasi omologati, come è ben noto? Se l’attenzione è rivolta solo al mezzo tecnologico e non ai contenuti, vedremo semplicemente moltiplicare un’offerta di programmi poveri qualitativamente, perché privi di mezzi, dal momento che ciò che conta è la pubblicità.
Una barriera alla democrazia consapevole è sicuramente rappresentata dal vuoto informativo, e dalla scarsa possibilità di scegliere. In questi giorni, oltretutto, oltre quattro milioni di italiani vengono coinvolti dal digitale terrestre, ma da quel che si può capire, si tratta ancora una volta di un terreno di conquista commerciale. La guerra è fra Sky e il duo Rai-Mediaset, sempre più vicine, chissà perché.
Ecco perché, in attesa di programmi migliori, mi tuffo nella lettura di un buon libro.
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