Dopo oltre due anni di gestazione, il 29 giugno il Papa metterà
la firma all’enciclica più attesa. Condanna la finanza speculativa, laurea il non profit. Ma boccia la decrescita È un’enciclica tanto laboriosa quanto attesa quella che Benedetto XVI s’appresta a licenziare il 29 giugno. Dopo anni di gestazione, come racconta Lucio Brunelli, ora il Papa arriva a formulare in modo sistematico il suo giudizio sulla grande crisi che ha colpito il mondo ricco e che sta lasciando pesanti conseguenze anche sui Paesi in via di sviluppo. Un giudizio che Benedetto XVI aveva anticipato in modo chiaro parlando il 26 febbraio scorso al clero romano: rispondendo a una domanda di un parroco, il Papa era entrato nel dettaglio del cantiere dell’enciclica.
Il dovere di denunciare
«Come sapete, da molto tempo prepariamo un’enciclica su questi punti», aveva risposto il Papa. «Vedo com’è difficile parlare con competenza, perché se non è affrontata con competenza una certa realtà economica non può essere credibile. Bisogna denunciare questi errori fondamentali che sono adesso mostrati nel crollo delle grandi banche americane, gli errori nel fondo. Alla fine, è l’avarizia umana come peccato o, come dice la Lettera ai Colossesi, avarizia come idolatria». Ma per denunciare questi errori non bisogna cadere nella trappola di quelli che il Papa ha definito i «grandi moralismi», che non sono mai sostanziati di conoscenza della realtà. «Occorre perciò la denuncia ragionevole e ragionata degli errori con ragioni concrete che si fanno comprensibili nel mondo dell’economia di oggi».
All’insegna del realismo
Il compito della Chiesa, aveva avvertito il Papa, è quello di esser vigilante e di aiutare a correggere il sistema esposto alle avidità di troppi. «E questo non è un lavoro facile, perché tanti interessi personali e di gruppi nazionali si oppongono a una correzione radicale. Forse è pessimismo, ma a me sembra realismo». Realismo vuol dire non pensare che nuovi modelli “buoni” possano rovesciare vecchi modelli “cattivi”. I modelli buoni sono necessari, ma restano lettera morta se non c’è l’esperienza di chi li pratica anche nella “microeconomia”. «La giustizia si realizza solo se ci sono i giusti. E i giusti non ci sono se non c’è il lavoro umile, quotidiano, di convertire i cuori. Se, da una parte, non annunciamo la macrogiustizia quella micro non cresce. Ma se non facciamo il lavoro molto umile della microgiustizia anche quella macro non cresce».
La finanza fuori strada
In un’altra recente occasione, il Papa ha dato un’ampia anticipazione delle propettive che caratterizzano l’enciclica. È accaduto in occasione del Messaggio per la Giornata della Pace, a inizio 2009. In quella circostanza la sua era stata un’accusa circostanziata al sistema della finanza: «La recente crisi dimostra come l’attività finanziaria sia a volte guidata da logiche puramente autoreferenziali e prive della considerazione, a lungo termine, del bene comune. L’appiattimento degli obiettivi degli operatori finanziari globali sul brevissimo termine riduce la capacità della finanza di svolgere la sua funzione di ponte tra il presente e il futuro, a sostegno della creazione di nuove opportunità di produzione e di lavoro nel lungo periodo. Una finanza appiattita sul breve termine diviene pericolosa per tutti, anche per chi ne beneficia durante le fasi di euforia finanziaria».
Non profit sì, decrescita no
Tra le ricette suggerite dal Papa nell’enciclica entrano in gioco anche la sussidiarietà, e il modello del non profit (che fa così il suo ingresso “ufficiale” nella dottrina sociale della Chiesa). Invece ci sarebbe una presa di distanza da una prospettiva che sta facendo molti proseliti anche nel cattolicesimo di base, quello della decrescita teorizzata da Serge Latouche.
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