Famiglia

Miracoli fatti in Casa

«Il disagio, l’handicap, l’abbandono non sono malattie inguaribili. Possono essere curate e sconfitte.Io ho una medicina: si chiama famiglia».Il prete riminese racconta la sua opera.

di Giampaolo Cerri

La famiglia come cura, terapia, riabilitazione. Della malattia, dell?handicap, del disagio ma soprattutto dell?umano. Venticinque anni fa, a Rimini don Oreste Benzi, il fondatore dell?associazione Papa Giovanni XXIII, aprì la prima casa-famiglia. Fu a Coriano, alle porte della città, un vecchio cascinale sull?Adriatica che diventò Casa Betania. Il ?68, con le sue speranze e le sue suggestioni, era passato da poco ma per i giovani, affascinati da quel prete semplice dalla tonaca lisa, «le parole non bastavano per sentirsi diversi , bisognava fare qualcosa di più». In quella casa ci andarono a vivere, fecero famiglia, figli, e aprirono le porte al dolore del mondo. Tirarono fuori dagli istituti bambini orfani o allontanati dalle famiglie, disabili, accolsero malati mentali, ex-detenuti, ragazze strappate alla prostituzione. Mirella e Flavio furono la prima famiglia di Coriano, altre ne vennero poi, lì e in tutto il mondo, dove l?instancabile ?don?, come lo chiamano i suoi, è andato a seminare l?accoglienza. «Siamo arrivati a quota 164 di cui 30 all?estero», precisa felice, «crescono come per trapianto vitale». Il segreto? «A chi è in difficoltà non diamo qualcosa, diamo noi stessi», chiarisce don Oreste. Una dinamica completamente diversa da quella tipica della nostra società che «quando incontra qualcuno con dei bisogni, si attarda sul problema senza guardare a ?chi? lo pone». Ci si attesta cioè sulle risposte, prescindendo dalle persone. E per esemplificare usa un argomento a lui molto caro, quello dei minori in difficoltà. «Al bambino orfano», spiega, «non si danno dei genitori ma viene rinchiuso in istituto. Così non si risolve il bisogno del bambino, anzi lo si castiga». Lui lo ha capito molti anni fa, quando un giorno, in un grande istituto di riabilitazione, un giovane spastico lo prese per la tonaca: «Portami via di qui», gli disse e don Benzi non si stanca mai di ricordarlo, «voglio vivere anch?io». Un incontro bruciante. Il metodo delle case, sia che ci si trovi con i meninos de rua di Nuestra Senora del La Paz in Bolivia o sulle colline di Cuneo è quello della condivisione diretta. Una svolta importante nel modo di intendere la solidarietà: quelli della ?Papa Giovanni? non servono i poveri, ma ci si buttano in mezzo, con tutta la loro vita. Condivisione che «contiene, in se stessa e per se stessa, la giustizia», aggiunge. «Dando noi stessi, diventiamo una cosa sola con l?altro». Dunque, non erogazione di servizi, ma mettere la vita con la vita. Un quarto di secolo insieme agli ultimi, alle sofferenze più dure: «Il dramma non è mai l?handicap o la malattia, ma quando questi diventano causa di un rifiuto, di una separazione». Persone che non hanno bisogno di essere assistite ma, dice ancora il ?don?, «di essere riconosciute come tali, di diventare protagoniste di vita». E garantisce che «quando c?è il riconoscimento delle persona scompaiono tutti i mali». Non teorie, ma un?esperienza che ha scandito, uno per uno, venticinque lunghi anni: «Chi soffre porta oggi lo stesso bisogno di allora», conclude, «e, come allora, i nostri ragazzi si trasformano, diventano persone nuove, cambiano sul piano comportamentale. Il loro è un canto di vita». Da Rimini al Bangladesh La sfida pedagogica delle case-famiglia dell?associazione ?Papa Giovanni XXIII? di don Oreste Benzi ha raggiunto i confini del mondo, essendo ormai presente in quattro continenti. Ricchissima la diffusione in Sud america, con le 6 case in Cile e le altrettante in Bolivia e Brasile. Nell?America del Nord è imminente la costituzione di una casa famiglia negli Stati Uniti. Si trova in India l?unica esperienza asiatica, anche se sono imminenti le aperture di case a Hong Kong e nel Bangladesh. In Africa i volontari di don Benzi sono massicciamente presenti in Zambia (con cinque case), Tanzania (due case) e Sierra Leone (una casa). Le presenze europee riguardano invece i Paesi dell?Est, la Croazia (a Spalato) e la Russia (Volgograd, la ex Stalingrado). La maggioranza delle case-famiglia volute dall?associazione di don Benzi si trova però in Italia, dove si trovano 135 delle 164 case complessivamente aperte negli ultimi venticinque anni nel mondo. Fortissima la presenza in tutta l?Emilia Romagna, dove il lavoro di don Benzi è cominciato e dove si trova oggi circa il 30% delle case. Negli ultimi anni si sono moltiplicate le aperture nel Sud. Ultima nata, quella di Assisi. In tutto, escludendo le comunità terapeutiche di recupero per i tossicodipendenti e le altre realtà che fanno riferimento all?associazione, le case accolgono circa 800 persone con oltre 500 minori. Condividono la loro vita con gli ospiti 478 membri della comunità, 118 persone in ?verifica vocazione?, 112 obiettori e 84 volontari. Per informazioni: Associazione Papa Giovanni XXIII, tel. 0541/55025.


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