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La piazza di Teheran sfida il regime
La manifestazione vietata dalle autorità governative porta in piazza una folla immensa. A protestare contro i risultati elettorali non solo studenti, ma anche commercianti, professionisti, le donne
di Redazione

L’Iran in fermento occupa le prime pagine dei giornali di oggi. Con reportage in presa diretta dalle manifestazioni di protesta. Ma anche con analisi, retroscena, previsioni sugli scenari (incertissimi) di un paese chiave per gli equilibri mediorientali
- Oggi la rassegna stampa si occupa anche di:
- 8 PER MILLE
- TERREMOTO
- AIUTI ALLO SVILUPPO
- GUANTANAMO
- IMMIGRATI
- PRATICHE ANTICRISI
- MAFIA
“Una folla immensa sfida Ahmadinejad”, un milione di iraniani in piazza, spiega il CORRIERE DELLA SERA nel titolo di apertura di oggi. Sempre dalla cover parte anche l’editoriale di Bernard- Henri Lèvy: “L’Occidente ha l’obbligo di aiutarli”. Andrea Nicastro firma invece la corrispondenza da Teheran: «Forse è così che cominciano le rivoluzioni. Quello che è successo ieri a Teheran non ha niente a che fare con le rivolte universitarie di dieci anni fa. È qualcosa di molto più grande. Allora c’erano solo studenti a protestare, ieri c’erano tutti…Da Washington il presidente Usa Barack Obama si è detto profondamente turbato…«il processo democratico, la libertà di espressione – ha detto – devono essere rispettati. È importante portare avanti le indagine che non devono risolversi in bagni di sangue». Infine il messaggio agli iraniani: «Il mondo vi sta guardando». Oltre la cronaca il CORRIERE propone altri due pezzi. Davide Frattini racconta in un articolo di scenario “Il patto di sangue e interessi fra l’Ayatollah e il presidente”, ovvero fra Alì Khamanei e Mahmoud Ahmadinejad contro Rafsanjani, che, secondo i consiglieri del presidente, quattro anni dopo la sconfitta elettorale proprio contro Ahmadinejad sia il vero animatore delle proteste di piazza. Per l’ex ministra Mahnaz Afkhami, intervistata da Alessandra Farkas, questa “È una rivoluzione, la guidano donne e blogger”.
“Teheran in piazza, sfida al regime”: LA REPUBBLICA apre con i disordini post-elettorali in Iran. “Due milioni contro Ahmadinejad al grido di «morte al dittatore» è il titolo della corrispondenza da Teheran di Vanna Vannuccini. Riferisce delle proteste, degli spari contro la folla (un giovane è morto, ma le vittime scrive potrebbero essere molte di più). Il governo ha tentato di impedire la manifestazione che però è diventata comunque oceanica. Ali Khamenei, la massima autorità religiosa, ha esortato alla calma, ha promesso un’inchiesta ma ha anche bollato come provocazioni gli incidenti di Teheran. Alla manifestazione hanno partecipato non solo i giovani, ma anche i professionisti, i commercianti, le donne. Moltissima tensione e determinazione: molti di loro avevano cartelli con scritto «where is my vote?». Moussavi, il vincitore cui è stata negata la vittoria, aveva chiesto l’autorizzazione della manifestazione. Che gli è stata negata. Questo non ha impedito a centinaia di migliaia di persone di scendere in piazza. In appoggio una breve intervista a uno dei leader del movimento studentesco, Alireza Mazaheri Moghadam: “In strada da tre gironi andremo fino in fondo”. «L’avevamo detto prima delle elezioni: non saremmo rimasti indifferenti ai brogli… A Teheran si parla di più di 10 morti e di 170 arresti… Andremo avanti nella protesta. Aspettiamo di vedere se dopo l’inchiesta succederà qualcosa». Del retroscena si occupa un altro pezzo: “Dietro Ahmadinejad, i Grandi Vecchi è lo scontro per il futuro della rivoluzione”. In quanto presidente, Ahmadinejad è sottomesso alla vera autorità del paese, la guida suprema ayatollah Ali Khamenei, che ha l’ultima parola su tutte le questioni di stato e di fede. «Sotto molti aspetti la sua vittoria è forse lo scontro finale nella battaglia per il potere e l’influenza che da decenni vede contrapposti Khamenei e Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, l’ex presidente che pur rimanendo fedele alla forma di governo islamica voleva un approccio più pragmatico all’economia, alle relazioni internazionali». Delle reazioni si occupa Andrea Bonanni: “Ora il mondo condanna il regime”. Obama è turbato, l’Onu ricorda che la volontà popolare deve essere rispettata. Ieri un secco richiamo all’Iran è giunto dai 27 ministri degli esteri dell’Unione europea. Nonostante queste prese di posizione gli europei hanno espresso la volontà di dialogare con l’Iran sulla questione nucleare.
«Due milioni in piazza contro Ahmadinejad. I brogli del regime scatenano la rivolta»: così IL GIORNALE lancia il tema Iran in prima pagina. «Ora c’è tutto. La rabbia dilagante. Il coraggio di scendere in piazza. Il sangue del primo martire», scrive Gian Micalessin. C’è tutto per una protesta di massa da un milione di persone, forse due, la prima in 30 anni, pronta a trasformarsi in una «nuova, auspicata rivoluzione». La mossa di Khamenei, che ha incaricato il Consiglio dei guardiani di indagare sulle accuse di brogli è «sintomo della preoccupazione del regime». Una decisione che però, sottolinea Livio Caputo, non è così pesante: «I riformisti scesi ieri in piazza hanno tutte le ragioni per non fidarsi», scrive. «Il Consiglio dei guardiani fa certamente parte del grande complotto che ha portato alla rielezione di Ahmadinejad». Secondo la ricostruzione di Caputo le schede non sono state né truccate né contate: il risultato 63 a 34 sarebbe stato predeterminato in partenza, per garantire a Ahmadinejad un risultato bulgaro. Prova ne è che i risultati parziali presentati durante lo scrutinio non hanno presentato nessuna variazione, sia che venissero dalla città o dalla campagna, da province fedeli a Ahmadinejad o simpatizzanti per Moussavi.
“Mousavi scende in strada: Riprendiamoci i voti”. LA STAMPA pubblica il reportage del suo inviato in Iran Claudio Gallo che racconta dall’interno la «massa pulsante» che ha dato vita alla manifestazione di ieri a Teheran. In primo piano gli studenti. Alla cronaca è affiancata un’intervista a Pardis Mahdavi, autrice del saggio “Pasionate uprising” che racconta come si è sviluppato e continuato in modo sotterraneo il dissenso al regime, a partire dai comportamenti privati. «A Teheran i giovani sono una forza determinante» dice «i due terzi della popolazione hanno meno di trent’anni. I comportamenti che sfidano la moralità islamica sono continui. Per esempio: ballare è vietato eppure nella capitale c’è un party al giorno» «partecipare a un party non è solo divertimento ma un atto politico, come i ragazzi iraniani scrivono nei loro blog».
“Iran, spari in piazza al corteo per Mussavi” è l’apertura di AVVENIRE che dedica due pagine (4 e 5) al dopo voto, con l’America che prende tempo e prova a rilanciare il dialogo. Sebbene l’amministrazione statunitense si muova con cautela, e qualche dubbio sulla correttezza delle elezioni, un sondaggio americano effettuato il mese scorso sulle intenzioni di voto dava Mahmud Ahmadinejad ampaimente in testa sul suo avversario. Realizzato da alcune organizzazioni no profit finanziate dal Rockefeller Brothers Fund, il sondaggio era stato reso noto dal Washington Post secondo cui i voti per il presidente uscente sarebbero stati addirittura il doppio di quelli per Mussavi, quindi, uno scenario persino più radicale di quello ufficiale. «mentre i media occidentali da Teheran, nei giorni precedenti lo scrutinio, parlavano di folle iraniane entusiaste per il principale avversario di Ahmadinejad», scrivono i sondaggisti Usa, «la nostra campionatura scientifica nelle 30 province del Paese davano Ahmadinejad in ampio vantaggio». Un dato che, se non smentisce l’accusa di brogli, ridiona però le aspettatve che molte fonti occidentali riponevano nel voto. In Iran, però, la protesta incalza e corre anche sul filo della rete, soprattutto fra i giovani delle università: «Morte al dittatore», «Gli iraniani preferiscono la morte all’umiliazione», gridano tra piazza Azadi e piazza Imam Hossein. Il regime cerca di fermare “l’onda verde” e Mussavi di contenere i danni riconducendo, come promesso alla guida suprema Khamanei, la protesta ai canali legali. Ma la contestazione è tutt’altro che domata. «Che fine hanno fatto i leader riformisti in Iran?», si domanda Camille Eid, che ricorda le figure simbolo e i partiti pronti a sfidare la repressione ai tempi di Khatami (Mosharekat, Mjma e Ruhaniun Mobarez, Kargosaran). «Oggi, tranne qualche eccezione, non si sente più parlare né di capi né di partiti e formazioni politiche, solo di iniziative popolari spontanee che non sembrano in grado di portare a termine le proprie rivendicazioni».
“Il vento di libertà soffia con forza sul pianeta Islam” è il fondo di Moises Naìm sul SOLE 24 ORE, direttore di Foreign Policy, che in sostanza dice che prima delle elezioni in Iran c’erano stati molti segnali di speranza: il discorso di Obama, il dibattito tv tra Ahmadinejad e Mousavi in cui c’era stato vero contraddittorio, le libere elezioni in Libano, la rivolta popolare in Pakistan contro il dominio dei talebani, Ma «questa insolita serie di buone notizie», scrive Naìm, è stata interrotta da Khamenei che ha detto che il vantaggio di Ahmadinejad «è un segnale divino». «Ha parlato l’ayatollah», continua l’articolo, «e milioni di iraniani – e il resto del mondo – dovranno sopportarne le conseguenze». Ma non solo: ora è chiaro a tutti, secondo l’editorialista, che «da ora in avanti è lui (Khamenei, ndr) e non il presidente dell’Iran che dovrà essere indicato come responsabile di quello che succede in questo paese».
«Iran Contro» è l’aperture de IL MANIFESTO che si concentra sui disordini post elettorali iraniani. La situazione è molto tesa perchè in piazza Azadi a Theran «un milione di persone ha chiesto l’annullamento del voto». Nell’articolo «Folla e spari, a Theran esplode l’ira dei moderati» di Marina Forti spiega come il principale concorrente di Ahmadinejad, Mir Hossein Musavi abbia definito il voto «una pericolosa farsa» e abbia chiesto l’annullamento all’ayatollah Ali Khamenei. La situazione può essere analizzata secondo due piani distinti. Il primo è quello che riguarda un popolo, vittima di un regime che pacificamente scende in piazza e manifesta nelle più importanti città del paese e le cui rivendicazioni vengono messe a tacere con la violenza e la censura. Il secondo è il fattore scatenante. Se è vero che c’è un regime intollerante al potere è anche vero che si nutrono dei dubbi sulla veridicità dell’accusa di brogli. I sondaggi Usa infatti, paese che «tifa» contro l’attuale premier Ahmadinejad e non può dunque essere tacciato di mistificazioni, parlano di una vittoria, da campione scientifico, ancora più pesante per l’attuale governance. La conclusione americana è che «forse la rielezione è semplicemente quello che gli iraniani vogliono».
“Khamenei apre l’inchiesta sul voto”. E’ il titolo dell’approfondimento di ITALIA OGGI sul post elezioni in Iran. Un’inchiesta particolare perché, scrive Italia Oggi, «egli è stato il primo, ancora prima del ministro degli interni, a proclamare vincitore Ahmedinajad, definendo la vittoria una decisione divina». L’analisi di ITALIA OGGI, che si avvale delle informazioni pubblicate dal sito Asia News, mette in evidenza il conflitto di interessi tutto iraniano. Scrive ITALIA OGGI:«Responsabili dell’inchiesta dovrebbero essere i 12 membri del Consiglio dei Guardiani, un organismo che è responsabile delle elezioni e della costituzione iraniana, lontano dalle posizioni riforniste e legato all’interpretazione integralista dell’Islam». Ma l’indagine è niente paragonato a quello che è stato detto dal regista Moshen Makhmalbaf. «Al ministero degli interni», ha detto Makhmalbaf, che il giorno delle elezioni era in contatto con il comitato elettorale di Moussavi, «avevano comunicato che il vincitore era Moussavi e che egli avrebbe dovuto preparare un discorso non trionfalistico. Il ministero assicurava pure di aver informato Khamenei».
E inoltre sui giornali di oggi:
8 PER MILLE
SOLE24ORE – Vistoso calo nel 2008 dell’8 per mille alla Chiesa Cattolica: meno 4 punti. Ne dà notizia il SOLE, riferendo dell’«allarme» dei vescovi che hanno dato vita a un piano di risparmi che dovrebbe tagliare del 20% le spese correnti. Monsignor Crociata all’assemblea Cei ha parlato chiaro: «Il 2009 rappresenta il punto minimo di entrate dell’ultimo triennio» e quindi non si sa se si chiuderà in attivo. E per il futuro? Chiede il SOLE. Difficile essere ottimisti, anche perché le firme per lo Stato stanno aumentando di anno in anno.
TERREMOTO
LA REPUBBLICA – “In piazza, la rabbia degli sfollati”. Sit in bipartisan a Montecitorio. Obiettivo della protesta il decreto del governo in discussione oggi alla Camera per la seconda approvazione. Non piace agli sfollati e agli amministratori che da oltre un mese sollecitano emendamenti. In particolare chiedono l’introduzione di alcuni punti (rimborso totale per la ricostruzione di tutte le abitazioni, comprese le seconde case; maggiore copertura finanziaria della zona franca urbana; più fondi; compenso per i mancati introiti fiscali degli enti locali).
CORRIERE DELLA SERA – Per l’Abruzzo l’Europa ha stanziato 493 milioni di euro. Intanto Bertolaso in attesa dell’approvazione definitiva alla camera del decreto già passato in Senato e che però scade il 26 giugno assicura che anche le seconde case saranno ricostruite a spese delle stato.
AIUTI ALLO SVILUPPO
IL GIORNALE – In prima pagina IL GIORNALE rilancia un’inchiesta della tv britannica Channel 4, anticipato dal Times, che ha documentato come gli aiuti alimentari del Pam in Somalia finiscano per essere rivenduti al mercato. Il business della (finta) solidarietà, lo definiscono. «Compriamo gli aiuti alimentari direttamente dal personale Pam», ha detto un commerciante alle telecamere. A commentare la notizia, già circolata ieri, c’è un’intervista a Linda Polman, giornalista olandese, autrice di “L’industria della solidarietà” (Bruno Mondadori): «Le attività delle ong nascono veramente da motivazioni umanitarie, ma per poter stare dentro quel business (messi insieme i soldi delle organizzazioni umanitarie rappresenterebbero il Pil della quinta potenza mondiale), devi adeguarti alle regole del gioco. Ed è un gioco molto competitivo. Quindi la domanda non è più «dove posso andare per aiutare la maggior parte di persone possibile?», ma «dove devo andare per ottenere più fondi possibili?». L’affondo più pesante della Polman è sugli scandali, tipo questo della sottrazione di parte degli aiuti: quando accade, i finanziatori si rivolgono ad altre ong, ritenute più oneste: «o, in realtà, che nascondono meglio i loro insuccessi e problemi con i signori della guerra locali o i ribelli. Questo significa che l’onestà porta ad essere svantaggiati, mentre mentire rende di più in termini economici».
GUANTANAMO
IL MANIFESTO – Dopo l’apertura dell’Ue a quei dtenuti non pericolosi ancher nell’incontro Obama-Berlusconi si è parlato dei «guantanameros». Alberto D’Argenzio spiega come il presidente americano ha chiesto all’Italia di accoglierne due o tre prigionieri tunisini. Berlusconi si è dimostrato positivo mentre il ministro degli interni Maroni si è messo di traverso, profondamente contrario al trasferimento.
LA STAMPA – “Il premier dice sì a tre ex detenuti di Guantanamo”. Ampio spazio sul quotidiano di Torino per l’accordo con gli Usa: l’Italia è pronta ad accettare tre prigionieri del carcere speciale che Obama vuole smantellare. “Maroni resiste: no ai prigionieri” titola un articolo sul dibattito interno alla maggioranza. Il ministro leghista continua a mantenere un atteggiamento cauto: «Non siamo tanto d’accordo… Putroppo anche qui l’Europa ha dimostrato di non esserci: ogni Paese va per conto suo. Se anche l’Italia non li prende, ma li prende la Francia, ad esempio, proprio perché siamo nell’area di Shengen arrivano senza che possiamo far nulla.
IMMIGRATI
CORRIERE DELLA SERA – Fini dopo lo strappo con Gheddafi scrive alla Libia: «Aprite i campi profughi ai controlli». L’obiettivo è di verificare il rispetto dei diritti umani e delle norme d’asilo. Nella missiva, che non è ancora stata inviate, ma è ormai pronta, si fa una richiesta chiara: «consentire a una delegazione di parlamentari italiani l’accesso ai campi libici dove sono portati gli immigrati respinti mentre cercano di raggiungere il nostro Paese».
PRATICHE ANTICRISI
AVVENIRE – “In busta più welfare anziché l’aumento” (pag. 6). Sussidiarietà è la parola chiave per capire la via battuta da Luxottica e da altri imprenditori: accanto alla retribuzione, si prevedono benefici sociali collegati ad aumenti produttivi per evitare il cuneo fiscale e sostenere il reddito dei nuclei dei dipendenti. Con questo servizio AVVENIRE comincia un viaggio nell’Italia che sta sperimentando forme innovative di aiuto alle famiglie. L’esperimento di welfare territoriale e integrativo (il datore paga buoni spesa, vaucher per visite mediche e libri di testo scolastici) è partito nel Nordest e altre grosse imprese sono interessate a replicare l’esperienza.
MAFIA
AVVENIRE – Gli scout del Vittoria 1 rispondono alle intimidazioni fatte dal pregiudicato Gaetano d’Agosta il 16 maggio scorso nel giorno della consegna al loro gruppo del terreno di Contrada Carnazza confiscato alla famiglia mafiosa. Su ogni terreno che sarà confiscato ai clan siamo disposti ad organizzare ogni volta una festa, perché «la mafia va estirpata in ogni sua componente , e noi giovani, a testa alta, non ne abbiamo paura». Queste le parole di Gianluca Melillo, consigliere vicario del Forum nazionale dei giovani.
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