Politica
Iran, sarà vera svolta?
Urne aperte a Teheran. Parla Farian Sabahi, docente e girnalista esperta di Iran
Rispetto al passato, in questa campagna elettorale i candidati hanno proposto linguaggi e tematiche nuove. Ma alla fine rischia di essere un’elezione gattopardiana: si cambia tutto per non cambiare niente. Per l’esperta di Iran Farian Sabahi, il nuovo presidente sarebbe comunque in grado di concedere quelle piccole libertà personali che vogliono gli iraniani. Oggi 46 milioni di elettori su 68 milioni di abitanti sono chiamati a scegliere il nuovo presidente
Com’è stata la performance dell’esecutivo di Ahmadinejad in questi anni ? Quali sono stati i suoi successi e i suoi insuccessi?
La politica estera e quella nucleare sono prerogativa del leader supremo e non del presidente, per cui i risultati su cui concentrarsi sono quelli economici e in questo campo la performance è stata pessima: gli introiti petroliferi sono stati doppi rispetto alle presidenze dei suoi due predecessori Rafsanjani e Khatami ma, nonostante questo, disoccupazione e inflazione sono a due cifre a causa di politiche economiche sbagliate come l’elargizione di contanti alla popolazione (utilizzando fondi speciali come quello per le oscillazioni del prezzo del greggio). Detto questo, sono in molti in Iran a essere invece soddisfatti delle politiche economiche del governo Ahmadinejad perché hanno ottenuto mutui a condizioni particolari, prestiti a fondo perduto e aumenti di stipendio (del 30% nel caso degli insegnanti).
Per quanto riguarda i temi e i linguaggi dei candidati, che cosa c’è di nuovo in generale rispetto alla campagna elettorale precedente?
Le novità sono molte e diverse. I candidati hanno discusso di diritti delle donne e delle minoranze etniche, di Olocausto e di corruzione all’interno del sistema. Proprio toccando quest’ultimo tema l’attuale presidente Ahmadinejad ha quasi scardinato il sistema perché in diretta televisiva ha accusato esponenti importanti della leadership di essere corrotti e di essersi arricchiti durante questi anni al potere. Rompendo così la tradizionale coesione all’interno del clero dominante.
C’è stata partecipazione e mobilitazione da parte dell’elettorato?
Sembra di sì e i comizi sono stati paragonati alle partite di calcio proprio per l’entusiasmo delle folle. Ahmadinejad ha organizzato vari comizi, di cui tanti nelle aree rurali e uno in particolare nella solita moschea di Teheran in cui si sono radunate 100mila persone, è stato un assembramento tale che il presidente non è riuscito a salire sul podio per il discorso. I sostenitori di Mousavi si sono invece visti negare lo stadio Azadi della capitale e per questo motivo si sono ritrovati – prendendo appuntamento con sms e face book – su Vali Asr, la grande arteria che taglia in due, da nord a sud, la capitale Teheran.
Tenendo conto che il potere assoluto è detenuto da Ali Khamenei, che cosa può cambiare se vince il fronte riformista? Non si verrebbe a delineare una situazione gattopardiana del tipo: si cambia tutto per non cambiare niente?
E’ possibile che vinca Mousavi e non cambi granché, c’è il precedente della presidenza di Muhammad Khatami (1997-2005). Proprio durante la cosiddetta “primavera di Teheran” tanti intellettuali si erano sbilanciati ed erano finiti in carcere. Ma, ora come allora, il presidente riuscirebbe a concedere quelle piccole libertà personali che vogliono gli iraniani. E non soltanto i più giovani.
Come è stato accolto il discorso di Obama che ha tenuto al Cairo dall’establishment conservatore ? Ci sarà un’apertura dell’Iran nei confronti della disponibilità di dialogo con la nuova amministrazione americana?
Obama non ha proferito minacce, non ha messo l’opzione militare sul solito tavolo. E non ha parlato di ulteriori sanzioni. Ma ha ammesso il diritto dell’Iran al nucleare civile, nel rispetto del Trattato di non proliferazione. Il suo messaggio è sicuramente positivo, anche se ci vorrà tempo per dissipare la diffidenza della leadership iraniana. L’elezione del nuovo presidente della repubblica islamica, o la riconferma di Ahmadinejad, non cambierà granché l’atteggiamento iraniano perché la politica estera è prerogativa del leader supremo e non del presidente della repubblica. Sarà invece importante che Barack Obama faccia seguire alle parole i fatti: non solo messaggi video, non solo bei discorsi ma qualcosa di concreto come la consegna a Teheran dei capitali congelati nelle banche americane all’indomani della Rivoluzione. Basterebbe un piccolo gesto come questo a dimostrare la buona volontà della nuova amministrazione statunitense.
Farian Sabahi è docente e giornalista specializzata sull’Iran. Insegna all’Università di Torino, Roma e Siena. Scrive regolarmente per alcuni quotidiani e per le riviste Io Donna, Vanity Fair, East e Ventiquattro. Collabora con Radio Popolare, Radio24 e Radio Svizzera. Interviene spesso a varie trasmissioni televisive e ha realizzato un reportage e un documentario sul difficile rapporto tra Iran e Israele. E’ autrice dei saggi “Storia dell’Iran 1890-2008” per Bruno Mondadori (2009) e di “Un’estate a Teheran” (2007). Venerdì 12 giugno SkyTg24 manderà in onda, nello spazio TG Pomeriggio (1430-1630) il suo cortometraggio “Out of place” in cui racconta la storia di una donna ebrea iraniana emigrata in Israele.
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