Non profit

Femminile, plurale

Cooperazione all'avanguardia nella conciliazione vita-lavoro

di Luca Zanfei

Le politiche family friendly richiedono progetti di riorganizzazione di sistema e non solo interventi spot. Con un aggravio di costi. Che però possono migliorare la produttività aziendale. Come dimostrano alcuni casi di imprese sociali che…
Avere una occupazione femminile di poco inferiore all’80% è a tutti gli effetti una scelta strategica. Perché se è vero che le cooperative sono all’avanguardia in fatto di pari opportunità, è vero anche che tale peculiarità richiede un investimento su una seria politica di conciliazione. Con importanti ricadute sullo stesso assetto organizzativo. E oggi «sono ancora poche le cooperative che lo fanno», spiega Eleonora Vanni, dell’Arcst – Associazione regionale cooperative servizi di Legacoop Toscana e responsabile del coordinamento nazionale per i servizi di conciliazione.
«Nella maggior parte dei casi si promuovono azioni specifiche, ma mai in un’ottica di sistema. Per rendere efficaci e produttivi tali interventi ci vorrebbe un vero progetto di riorganizzazione interna, che però non tutti sono capaci di attuare». Il rischio è allora quello di alzare esponenzialmente i costi di un processo che, secondo alcuni, potrebbe avere invece delle ricadute positive sulla stessa produttività aziendale.
È la tesi che muove «Conciliazione dei tempi di vita e di lavoro», uno studio di comparazione tra aziende private e imprese sociali pubblicato nel 2008 dalla Cisl, che pone l’accento proprio sugli alti costi di una frammentazione degli interventi, al posto di misure organiche di family friendly. In poche parole strumenti come sostituzioni in caso di maternità, part time, orario flessibile e telelavoro, applicati singolarmente avrebbero non solo poca efficacia ma anche un aggravio di costi sul bilancio dell’azienda.
«Il problema è che per riuscire a mettere a sistema tutti gli strumenti di conciliazione ci vogliono delle figure professionali apposite e soprattutto una dimensione organizzativa rilevante», puntualizza la Vanni. «Infatti sono soprattutto le cooperative grandi a potersi permettere una vera politica di conciliazione, sfruttando la possibile flessibilità oraria o la mobilità in caso di ritorno dalla maternità.
Per le imprese più piccole, cioè la maggioranza, ci si limita ad applicare misure uniche come il part time, che garantisce una certa forma di flessibilità ma di certo non soddisfa completamente la domanda». E oggi in Italia le maggior richieste riguardano la disponibilità di un pacchetto di servizi in grado di supportare il periodo di maternità e risolvere il problema del sempre più lungo e difficile rientro al lavoro. Proprio in quest’ottica la cooperazione rappresenta ancora un esempio di eccellenza.
Come nel caso di Kadiai, una cooperativa quasi esclusivamente composta da donne e attiva principalmente nei servizi all’infanzia. «Oltre a garantire la copertura dell’intero stipendio della lavoratrice, facciamo formazione durante la maternità e affiancamento nel periodo del reinserimento», spiega la presidente, Franca Guglielmetti. «In più, grazie al part time e a una giusta dose di mobilità interna, riusciamo a soddisfare la sempre maggiore domanda di flessibilità».
Ma le politiche di conciliazione non si fermano alla sola maternità, anzi «acquisiscono una reale efficacia proprio nell’ottica delle normali prassi lavorative», continua la Guglielmetti. «Per esempio, le riunioni vengono fatte la mattina e ogni gruppo di lavoro ha un coordinatore interno che si occupa di rimodulare i tempi in base alle richieste di flessibilità oraria».
Una filosofia che permea gli stessi servizi offerti. «Gli orari nei nostri asili nido si adattano alle esigenze delle famiglie e spesso rimaniamo aperti in periodi particolari proprio per venire incontro alle richieste dei genitori», spiega la Guglielmetti. «In più, sempre nell’ottica della conciliazione, siamo riusciti ad applicare degli sconti alle rette per i nostri soci».
Ma quanto può costare a un’azienda una politica del genere? «La spesa effettivamente c’è, ma si tratta principalmente di un investimento, perché la possibilità di gestirsi i tempi di lavoro rende più produttiva la persona e abbatte considerevolmente la quota di turn over. Con dei benefici tangibili sul bilancio aziendale».


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