Politica

Quando il Comune fa il suo ingresso in cooperativa

Le parentele tra enti locali e non profit

di Francesco Dente

Dal presidente sindaco
a un posto nel cda. Sono una ventina i casi in Italia di partecipazioni di municipalità in imprese sociali. Un connubio consentito dalla legge, che però forse delinea un piccolo conflitto di interessi che sarebbe meglio evitareLa fascia tricolore non potrà indossarla più. Dopo dieci anni e due mandati dovrà cederla, come vuole la legge sui sindaci, al successore eletto pochi giorni fa. Quella di presidente della cooperativa sociale Terra e Vita, invece, non gliela toglierà nessuno. La porta, del resto, ormai dall’87. Sindaco uscente di Recanati e presidente di una cooperativa sorta col sostegno del Comune. Un caso raro, se non unico, nel panorama delle organizzazioni del privato sociale.
Sono meno di una ventina, infatti, gli enti non profit che contano fra i soci anche l’ente locale.
Dati che Vita ha ricavato spulciando fra gli elenchi delle società partecipate dalle municipalità, pubblicati sul sito del ministro Brunetta. La legge 381 del 91 prevede, infatti, che anche le persone giuridiche possano diventare socie delle imprese sociali. «Le cooperative, questa la logica ispiratrice, perseguono un obiettivo analogo a quello della pubblica amministrazione: l’interesse generale della comunità», spiega Sergio D’Angelo, vicepresidente di Legacoopsociali.
Una possibilità che, di fatto, si è concretizzata però solo in pochi casi. «L’esperienza di Terra e Vita», racconta il presidente Fabio Corvatta, «è nata, in realtà, a metà degli anni 70 quando alcune famiglie hanno dato vita a una delle prime iniziative marchigiane di inserimento scolastico di ragazzi disabili, destinati altrimenti a finire in istituto». La cooperativa è stata la risposta del territorio al problema dell’inserimento lavorativo dei ragazzi. Su un terreno messo a disposizione dal Comune e dall’Ipab cittadino, soci della cooperativa, sono stati piantati kiwi e altri frutti (ora solo biologici) che oggi arrivano anche sulle mense scolastiche di Recanati. Grazie al contributo della Fondazione Carima, inoltre, recentemente sono sorti un centro residenziale e un agriturismo attrezzati per persone disabili.
Storia ultratrentennale anche quella della cooperativa sociale Cils di Cesena (370 dipendenti e un fatturato di 9 milioni di euro) specializzata nei servizi ambientali. Il Comune nel 74 acquistò cinque quote di 5mila lire l’una e da allora esprime un componente del consiglio di amministrazione. «Non si tratta di un posto riservato. Il Comune indica semplicemente una persona che poi è votata dai soci come gli altri candidati», precisa il presidente Giuliano Galassi. Nessun membro, invece, nel consiglio della cooperativa L’Olmo di Montecchio Emilia in provincia di Reggio Emilia per l’unione dei Comuni: solo un socio in assemblea. L’Olmo, nata nell’84 per promuovere l’ingresso nel mondo del lavoro di persone disabili, ha una tipografia e punta a diventare un centro diurno col sostegno delle municipalità della zona. «È un modo per essere informati sulle attività della cooperativa e per testimoniare la presenza dell’amministrazione», afferma Gabriele Mezzetti, assessore alle Politiche sociali di Montecchio. Sulla stessa linea d’onda il presidente della Cils, Galassi: «Il rappresentante del Comune, in realtà, è il rappresentante della cooperativa nell’amministrazione».
Un connubio felice, allora, quello fra cooperative ed enti locali? Secondo il vicepresidente di Legacoopsociali è bene tenere separate municipalità e terzo settore. «C’è il rischio che il pubblico possa esercitare un controllo sulla governance della cooperativa anziché sull’attività commissionata», osserva D’Angelo. Meglio, insomma, libera coop in libero Comune?

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