Paola Reggiani sorella minore di Giovanna, la donna aggredita a Roma da un cittadino romeno il 30 ottobre 2007 e morta due giorni dopo: «La cosa che mi ha ferita di più dopo l’aggressione a mia sorella è come il fatto è stato raccontato dai media. L’informazione non capiva la scelta di vivere, come famiglia, il nostro dolore senza parlare pubblicamente, e il bisogno di poterlo fare senza doversi giustificare. Quello che mi piace sottolineare è l’importanza del rispetto delle persone coinvolte in vicende come queste, il rispetto della dignità del dolore. Perché un’altra cosa che contava in quel momento, e che non c’è stata, è proprio il rispetto di mia sorella. I giornalisti insistevano, ma come potevamo andare lì davanti ai microfoni a dire qualcosa? Noi avevamo solo la necessità di curare le nostre ferite».
Benedetta Tobagi aveva poco più di tre anni quando suo padre Walter, giornalista, fu ucciso da un commando di terroristi: «Mio padre è stato ucciso, e io sono cresciuta avendo un pensiero, un fantasma ossessivo: che è possibile che un essere umano, non un mostro, proprio una persona normale, uccida. Ma entrando in questo carcere e incontrando i detenuti redattori di Ristretti Orizzonti, io ho toccato con mano una cosa che avevo solo letto, ma rispetto a cui ero scettica, cioè che la vittima può trarre un giovamento dall’entrare in contatto con i pensieri, le domande, i sentimenti di persone che hanno compiuto atti violenti, simili a quelli che io avevo subito. Ecco, è stata veramente una scoperta, perché quello che ho trovato è stato un ascolto rispettoso che era totalmente diverso sia dalla pietà che dalla curiosità morbosa dei giornalisti».
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