Non profit

Il mea culpa della Shell

Il capolavoro Suzaboy, di Ken Saro-Wiwa, attivista nigeriano che perse la vita per difendere il suo popolo dai soprusi della multinazionale petrolifera, è edito per la prima volta in Italia

di Lorenzo Alvaro

Il caso
Quattordici anni dopo la morte dello scrittore Ken Saro-Wiwa, il colosso petrolifero anglo-olandese Shell paga 15 milioni e mezzo di dollari per evitare di comparire nell’imbarazzante processo. La compagnia petrolifera infatti era perseguita dal 1995 per complicità con l’ex regime militare nigeriano per quel che riguarda l’esecuzione di sei civili, che si opponevano ai suoi metodi di estrazione del petrolio. Tra le vittime appunto lo scrittore.

Il personaggio
Ken Saro-Wiwa, nato nel 1941 a Bori, nella regione del delta del Niger, intellettuale e scrittore brillante, versatile, di straordinario talento, fu anche uomo di teatro, nonché notissimo e popolare regista televisivo. Politico di rango, Saro-Wiwa apparteneva alla popolazione ogoni, un gruppo di circa 500 mila abitanti insediati nel delta, un tempo dediti alla pesca e all’agricoltura, costretti all’emigrazione, alla miseria, e addirittura alla morte a causa dell’inquinamento del territorio a opera delle multinazionali del petrolio, complice la classe dirigente politica e militare del Paese.
Fu proprio per difendere i diritti degli ogoni che Saro-Wiwa intraprese la battaglia civile e politica che gli costò la vita: arrestato dal regime militare fu impiccato dopo un processo farsa, il 10 novembre 1995, insieme ad altri militanti del Mosop. Sozaboy è riconosciuto come il suo capolavoro ed è edito per la prima volta in Italia.

Il libro: Sozaboy
«Immaginate un villaggio ai confini del mondo, Dukana: una chiesa, i soliti vecchi che snocciolano storie, le donne che fanno i lavori pesanti. A Dukana vive il giovane Mene con la madre, vive dignitosamente e fa l’aspirante autista di pulmini. A Dukana nessuno sa niente di niente: tutti sentono alla radio di un governo che è cambiato e di cui conoscono solo funzionari e poliziotti, uomini corrotti che si pappano mazzette per ogni cosa. Tutto scorre lento e lieto. Mene conosce la giovane Agnes, con più tette che anima, e la vuole sposare, e tutto sembra andar bene finché non si comincia a parlare di nemico, di casini nella nazione, finché non arrivano sozasoldati a requisire cibo e reclutare gente. Per un giovane fare la guerra è una gran cosa, bisogna cacciare il nemico perché nel Paese manca il sale, e lui deve proteggere la giovane moglie. E così Mene diventa Sozaboy, veste l’uniforme, sinist-dest, prende ordini senza capire perché fa quello che fa, e va al fronte, in fossi e acquitrini. Ma la guerra è un brutto affare, ci sono sozacapitani che ti fanno bere la piscia, aerei che cagano bombe che uccidono. E così Mene scappa, conosce la prigionia, passa nelle file del nemico, lascia tutto per cercare la mamma e la sposa, per tornare a Dukana, perché ha capito che la guerra è una gran brutta cosa senza senso».

Questo è un assaggio del mondo fantastico che Saro-Wiwa tratteggia in questo suo capolavoro del 1985, ispirato alla guerra del Biafra che devastò la Nigeria dal 1967 al 1970. Al di là del contesto storico, però, la forza della scrittura e della narrazione trasforma ogni personaggio in archetipo (della corruzione e dei mali endemici che ancora oggi affliggono la Nigeria), e riveste i luoghi e le gesta dell’alone del mito. E se l’opera ha un fascino e una solennità che lasciano piacevolmente spaesati, non dipende certo da un esotismo dei suoi topoi letterari. L’idea geniale è raccontare la perdita di innocenza di un mondo e lo scardinamento di gerarchie e ordini naturali attraverso gli occhi e le parole di un ragazzo che crede che la follia che lo investe abbia un senso, fino a scoprire dolorosamente il contrario: la lingua perciò ricalca la logica elementare e lo stupore primigenio di Mene, ha formule di antica oralità piena di rispetto per il mondo e le cose. Non stupisca perciò se il nostro Sozaboy, che impara scappando, ci sembra vicino come una comica e lontano come una favola, se il sorriso per il suo ingenuo romanticismo diventa amaro di tragedia, perché questo antieroe ha molto da dire sui nostri tempi di barbarie, a ogni latitudine.


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