Non profit
Un piano Marshall per il Congo
Si tiene oggi a Roma l'African Partnership Forum (APF). Per il WWF «l'ultima occasione per creare un progetto comune per l’Africa da presentare al G8 di Luglio». E lancia la sfida Congo
di Redazione

Si riunisce oggi a Roma il 12° African Partnership Forum (APF). Nato nel 2003, in occasione del Vertice di Evian, con lo scopo di allargare il dialogo tra G8 e i Paesi in Via di Sviluppo, in particolare l’Africa, composto dai Rappresentanti Personali dei Capi di Stato e di Governo G8 per l’Africa (APR), dei principali donatori OCSE, di alcune Agenzie ONU e dai rappresentanti dell’Unione Africana e dei Paesi facenti parte dello Steering Committee della Nepad (New Partnership for Africa’s Development). Obiettivo dell’incontro: discutere dell’agenda di impegni comuni in vista del G8 de L’Aquila.
«Si tratta», spiega Michele Candotti, direttore generale del WWF Italia, «forse dell’ultima occasione ufficiale per creare un progetto comune per l’Africa da presentare come sfida concreta (economica, politica e strategica) all’imminente summit del G8 di Luglio. È l’Italia la prima a non dover lasciarsi sfuggire questa occasione per riprendersi finalmente un ruolo da protagonista nella costruzione del destino dell’Africa e nell’impegno, per troppo tempo disatteso, alla lotta contro la povertà».
Il WWF lancia la sua idea, in proposito: puntare sul Congo. «Il Bacino del Congo racchiude e sintetizza in sé le vere sfide planetarie del ventunesimo secolo. Da un lato l’impellente sfida di conservare una regione di oltre 180 milioni di ettari di foresta che costituisce non solo il “cuore verde dell’Africa”, ma anche una delle ultime ed irriproducibili riserve strategiche di biodiversità, acqua, ossigeno esistenti al mondo; dall’altro, la lotta alla povertà, con l’urgenza di fornire risposte praticabili ed immediate alle aspettative di sviluppo e benessere di una popolazione in continua crescita».
«Affrontare queste urgenze planetarie a partire da un luogo fisico tangibile e da situazioni concrete facilmente identificabili come il bacino del Congo», continua Candotti, «è un punto di partenza determinante sia per i paesi maggiormente industrializzati, che guardano a questa regione per la ricchezza dei giacimenti minerari e forestali e l’enorme redditività potenziale degli accordi commerciali, sia per i Paesi africani, che in una risoluzione positiva e sostenibile dei problemi legati allo sviluppo della Regione possono recuperare la dovuta attenzione e ritrovare un modello per l’insieme dei Paesi africani».
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IL BACINO DEL CONGO: CUORE VERDE DI BIODIVERSITA’
Il Bacino del Congo conserva il 15% delle foreste tropicali rimaste al mondo e rappresenta il secondo blocco contiguo di foreste più grande del pianeta. La parte più densa della foresta copre più di 180 milioni di ettari in 6 stati dell’Africa centrale: Cameroun, Gabon, Repubblica Centrafricana, Guinea equatoriale, Congo e Repubblica Democratica del Congo.
L’eccezionale ricchezza di biodiversità della regione include più di 10.000 specie di piante, oltre 1000 specie di uccelli e più di 400 specie di mammiferi, tra cui il più grande gruppo di vertebrati di foresta tropicale, come le rare specie di elefanti e i gorilla, per i quali rappresenta la migliore opportunità di conservazione rimasta al mondo. Il Bacino del Congo è anche il secondo al mondo per ricchezza di specie di pesci di acqua dolce.
Le foreste del Congo provvedono a cibo, acqua e materie prime per più di 75 milioni di persone e aiutano a rallentare il cambiamento climatico globale. Le ricchezze naturali del Bacino del Congo sono la risorsa principale della crescita economica locale e nazionale generata dalla sfruttamento forestale, minerario, dalla caccia, dalla pesca e da altri usi delle risorse. Come esempio, il contributo del settore forestale al PIL è: Cameroun 6%, Repubblica del Congo 2%, Gabon 3-4%, Guinea equatoriale 6%, Repubblica Centrafricana 10-13%, RDC 0,7%. Le foreste sono un valore spirituale e culturale per le popolazioni indigene che le abitano.
LE PRINCIPALI MINACCE
Il commercio illegale di “carne di foresta”, ovvero caccia e pesca a fini commerciali, sono tra le cause più immediate di declino della biodiversità nel Bacino del Congo e minaccia praticamente tutte le specie di mammiferi medio-grandi e di uccelli destinati ai mercati delle città.
Lo sfruttamento insostenibile del legname: le industrie del legno dominano il patrimonio forestale, detenendo l’80% delle foreste del Cameroun, il 50% di quelle del Gabon, quasi il 90% nella Repubblica del Congo e il 15% nella Repubblica Democratica del Congo. Per soddisfare il mercato internazionale del legname, ma anche quelli locali, ancora meno regolamentati, vengono tuttora in gran parte utilizzati metodi insostenibili che comportano la frammentazione delle foreste e grave perdita di biodiverisità.
Strade e infrastrutture e dighe: stanno crescendo in maniera esponenziale. La Cina ha progettato di costruire 2.400 km di ferrovie e 30.000 km di strade ed è previsto un collegamento ferroviario dall’Oceano Indiano. Le numerose dighe che progettate per rispondere soprattutto alla crescente richiesta di energia, possono comportare l’allagamento di importanti habitat terrestri e acquatici, con importanti ripercussioni anche sulle comunità locali. Strade e infrastrutture sono essenziali per lo sviluppo, ma se non sono pianificate nella maniera adeguata possono frammentare le foreste, favorire l’agricoltura intensiva e facilitare caccia e commercio illegale di carni e legname.
Deforestazione per scopi agricoli e agricoltura intensiva: se la crescita demografica si mantiene su questi ritmi e non cambiano i metodi agricoli, le aree deforestate per scopi agricoli nel bacino del Congo rischiano di raddoppiare entro il 2025, e quadruplicare entro il 2050. Il Governo della Repubblica Democratica del Congo sta inoltre trattando per convertire tre milioni di ettari di foreste in piantagioni di palma da olio.
Attività estrattive: le economie della Guinea Equatoriale, del Gabon e della Repubblica del Congo sono fortemente dipendenti dall’estrazione del petrolio, che comporta minacce ambientali come l’inquinamento o le conseguenze di indagini sismiche. Al contrario dell’industria petrolifera, l’attività estrattiva di oro e diamanti è dominata da artigiani a scala locale, ma queste attività possono comunque danneggiare i fragili ecosistemi dei piccoli corsi d’acqua, aumentare la caccia illegale e comportare problemi di sedimentazione e inquinamento a valle.
Il cambiamento climatico: i modelli correnti di previsione prevedono per il bacino del Congo un aumento delle precipitazioni di un mm al giorno entro il 2050, e un aumento delle temperature medie mensili di 2-4°C. Oggi la trasformazione dell’utilizzo del suolo nel Bacino del Congo comporta dai 20 ai 60 milioni di tonnellate di emissioni di CO2 ogni anno. Inoltre, la deforestazione nel Bacino del Congo avrebbe conseguenze devastanti sull’agricoltura, le risorse idriche e le attività correlate in molte parti del mondo.
L’azione del WWF , attivo da 40 anni nella regione e che ha dato vita alla Green Heart of Africa Initiative, iniziativa globale in collaborazione soprattutto con partner locali, prevede 9 MOSSE STRATEGICHE da implementare tra il 2008 e il 2012:
1) Gestione sostenibile delle foreste
2) Pianificazione nell’utilizzo del territorio
3) Controllo sul commercio illegale di specie protette (legname, carne di foresta, etc.)
4) Una governance efficace
5) Finanziamento di progetti ‘Forest carbon’
6) Avvio di migliori pratiche nelle attività estrattive e nelle infrastrutture
7) Finanziamento per attività sostenibili
8) Mezzi di sussistenza sostenibili
9) Gestione delle risorse idriche
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