Non profit

VP, notte prima degli esami

Enzo Manes (Fondazione Dynamo) fa il punto sul nuovo modello filantropico

di Sara De Carli

VP, ovvero Venture Philanthropy. Il banco di prova è la sostenibilità nel lungo periodo. Per questo è ancora prematuro parlare di successo. Anche se Manes è certo che sia
la strada giusta. E un modus operandi che dà risultati migliori Chi controlla il controllore è un dubbio che qui non si pone. Perché la valutazione del modello stesso è considerata una priorità, tanto quanto è prioritaria, dentro il modello operativo, la valutazione dei risultati raggiunti. Per questo, secondo Enzo Manes, è ancora presto per parlare di successo della venture philantropy in Italia: il modello deve ancora dimostrare la sua sostenibilità sul lungo periodo. Due o tre anni ancora, e per la VP italiana arriverà il momento della verità.
Manes lo aspetta con tranquillità, pur essendo coinvolto direttamente con la Fondazione Dynamo, una delle prime (e tuttora poche) in Italia ad applicare le regole e le logiche del venture capital al non profit: un investimento manageriale e finanziario che aiuta la non profit a definire il proprio piano strategico e a realizzarlo tramite il rafforzamento della struttura organizzativa, con l’obiettivo di massimizzarne i risultati di rilevanza sociale. È lui che ha importato in Italia gli Hole in the Wall Camps, i campi estivi fondati da Paul Newman per i bambini e ragazzi con patologie gravi o croniche, in terapia e nel post ospedalizzazione. Il Dynamo Camp vedrà quest’estate la sua terza edizione.
Vita: Da qualche anno si dice che la venture philantropy sia il futuro della filantropia. Perché?
Enzo Manes: Perché è un modello operativo che credo porti, sui tempi lunghi, risultati migliori. La ratio di questa convinzione sta nelle caratteristiche che differenziano il venture philantrophism dalla filantropia tradizionale.
Vita: Quali sono?
Manes: La differenza sostanziale è che è una filantropia attiva: “attiva” in vari modi, dal maggior coinvolgimento delle persone che la fanno, a una gestione quasi aziendale, fino alla misurazione dei risultati. Attiva perché c’è immissione non solo di capitale ma anche di competenze professionali e di capitale umano.
Vita: “Crede” darà risultati migliori o “è provato”?
Manes: Per ora posso dire solo “credo”. La VP è nata da qualche anno, ma le iniziative che ha messo in campo, soprattutto in Italia, sono tutte giovani e invece in questa nuova prospettiva la sosteniblità nel tempo, anche al di là del fondatore, è un obiettivo fondamentale. La prova del nove per questo modello sarà quando le organizzazioni non profit sostenute – nelle diverse forme di imprese sociali, cooperative, onlus – saranno capaci non solo di autosostenersi e di raccogliere fondi, ma anche di crescere nel numero persone che possono essere soddisfatte rispetto al bisogno che ci si è posti come mission.
Vita: Quando l’Italia vedrà questa prova del nove?
Manes: Questo giudizio si può dare dal quinto anno in poi, quindi per l’Italia questo momento di verifica arriverà nei prossimi 2/3 anni. Fino a quando non avremo casi veri che avranno dimostrato la loro effettiva sostenibilità nel tempo, parlare di “casi di successo nella VP” è prematuro. Per ora siamo ancora in una fase di start up.
Vita: Ma l’Italia ci sta provando?
Manes: In realtà quelli che stanno applicando questa nuova filosofia si contano sulle dita di due mani, sempre i soliti: Balbo, Colonna, Basilico, Magnoni, noi. Invece ci sono tante organizzazioni bravissime, fortissime, che hanno iniziato a fare un po’ di bottom-up piuttosto che top-down. Hanno un modello organizzativo e di business completamente diverso, ma ciononostante di successo. Anche rispetto al criterio della sostenibilità, esistono iniziative nate e gestite con criteri meno aziendali di quelli del VP ma che sono in piedi da molti anni. Un modello non esclude affatto l’altro.
Vita: Come le fondazioni tradizionali?
Manes: Hanno un modello diverso di business, sono grant makers, sono diversificati. Il VP agisce su un bisogno specifico focalizzato, ristretto, sia per limitatezza di mezzi sia per una organizzazione puntale e precisa. Le fondazioni invece forniscono finanziamenti a molte organizzazioni anziché a una sola. Non è paragonabile.
Vita: Impossibile quindi che una fondazione tradizionale sposi il modello VP?
Manes: Dovrebbero fornire capitale umano, competenze, soldi, fare misurazione dei risultati? Sicuramente alcune cose si possono fare, però non si può fare tutto questo su molti fronti, quindi per definizione direi che è impossibile applicare il modello VP alle fondazioni di grant making tradizionali.
Vita: In quali nuovi progetti è impegnata Dynamo?
Manes: Stiamo tentando quest’anno di allargare il progetto di Dynamo camp, rendendolo non solo estivo e locale, ma dandogli un respiro annuale e portandolo anche fuori dal camp. A settembre partirà Radio Dynamo, che andrà in gran parte degli ospedali pediatrici italiani. E poi Dynamo art factory, un progetto in collaborazione con artisti di visual art contemporanea che realizzeranno alcune opere insieme ai nostri ragazzi.
Vita: Recentemente, sul Corriere della Sera, il cardinale Tettamanzi ha criticato la responsabilità sociale della borghesia milanese. Lei cosa ha pensato?
Manes: Che ha in gran parte ragione. Anche se io lo vedo, il tessuto di una borgesia impegnata: certo, non è più prettamente milanese, è internazionale. Milano ha tutte le carte in regola per diventare punto di eccellenza in Italia sia per lo sviluppo sostenibile che per la responsabilità sociale, luogo di incontro di tante competenze per favorire lo sviluppo di queste due aree strategiche per il futuro.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA