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Tienanmen, 20 anni di silenzi

Il regime di Pechino decide il black out nel giorno dell'anniversario della strage della notte fra il 3 e il 4 giugno 1989

di Redazione

Nella notte fra il 3 e 4 giugno di vent’anni fa la Cina visse in piazza Tienanmen la notte più cruenta della primavera di Pechino.  Nel corso delle sei settimane di scontri fra manifestanti ed esercito si contarono 3mila morti e migliaia di feriti.

Pechino chiude Tienanmen”, titola il CORRIERE DELLA SERA in prima pagina sotto la foto molto spettacolare di un primo piano di un condannato cinese bendato. Marco del Corona firma il pezzo (a pag 17) da Hong Kong. «Vent’anni dopo, la Cina impone il silenzio su Tienanmen. Blindata dalla polizia la piazza di Pechino dove venne organizzata la storica protesta. Vacanze coatte per i dissidenti, oscurata Internet. Ma dagli Stati uniti chiedono: pubblicate i nomi delle vittime». Questa la versione dei giornali locali: «Il prodigioso sviluppo del paese dimostra che la repressione è stata giusta». Questi i numeri della carneficina del giugno 1989: «Oltre un milione di studenti e lavoratori mobilitati, sei settimane di scontri, 3mila morti, migliaia di feriti, centinaia di giovani arrestati». Il CORRIERE in appoggio dedica un pezzo alla foto simbolo di Tienanmen: quella di un giovane in camicia bianca che si para davanti alla colonna dei tank militari. Loro si spostano per scansarlo e lui ogni volta gli si mette davanti, prima di essere portato via dalle forze dell’ordine. Un uomo rimasto senza nome. Dice Ding Zilin, la fondatrice delle madri di Tienanmen, il cui figlio è stato ucciso nella notte fra il 3 e il 4 giugno 89: «Non importa chi fosse, poteva finire schiacciato o bloccare i tank. Un gesto folle e coraggioso, ancora oggi è tutta lì l’essenza della protesta».

LA REPUBBLICA
mette in prima pagina la foto simbolo della repressione di piazza Tienanmen, quella dell’esile giovane che ferma la colonna di carri armati. «Per anni io e miei amici lo abbiamo cercato», spiega il dissidente cinese Xu Youyu a Federico Rampini. «Sono propenso a credere che sia ancora vivo». La storia del giovane-simbolo, sparito nel nulla da vent’anni, è per Rampini l’occasione per fare il punto su come è stato gestito dal potere il “dopo Tienanmen”. Secondo le stime di Amnesty International le vittime sono tra le 700 e le 3mila, ma «pochissimi dentro il cerchio magico della piazza», troppo simbolica. Il regime optò per processi segreti e per un «castigo ordinato», visto che «era stata una protesta di massa, era impensabile punire tutti». Si colpirono i riformisti tra gli iscritti al Partito, gli operai più che gli studenti, nel tentativo di realizzare «una lunga marcia per cooptare intellettuali e studenti al servizio del potere. La vera lezione che i leader comunisti impararono è che non bisogna mai ritrovarsi contro la parte più istruita e moderna della società». Per gli irriducibili, come Xu, cominciò una «storia di vessazioni che dura ancora oggi, tra promozioni negate e niente permessi di viaggio all’estero».
La cronaca di oggi, invece, a pagina 14-15, parte dall’appello lanciato da Hillary Clinton: «La Cina deve dire la verità sui morti, gli scomparsi, per imparare la lezione e sanare le ferite». La Clinton ha chiesto anche di rilasciare i 30 prigionieri che ancora stanno socntando una pena per i fatti del 1989. Quel che però REPUBBLICA sottolinea è la «cappa di silenzio [è] calata su tutta la Cina: blindata la piazza, censurati i giornali e i siti internet, arrestati i dissidenti». Il titolo è «La paura torna a Tienanmen. Alta tensione vent’anni dopo» e dà conto del «giro di vite» sull’informazione, nazionale e internazionale. Insomma, il 4 giugno è stato in Cina un «non evento» nella memoria ufficiale e per evitare testimonianze individuali sono stati arrestati e portati lontano da Pechino i più noti dissidenti.

Taglio basso non firmato a pagina 21 del GIORNALE per Tienanmen. “La Cina blindata oscura internet nell’anniversario di Tienanmen”: «La censura, già invadente in condizioni normali, è intervenuta pesantemente per limitare la circolazione delle informazioni su Internet. Il popolare blog di Ai Wei Wei, l’artista che ha disegnato il nuovo stadio olimpico di Pechino, è stato bloccato, così come il microblogging Twitter, la rete di comunicazione largamente usata degli internauti cinesi (censure che si sommano alle numerose restrizioni a cui già sono soggetti gli utenti cinesi del web, i quali non possono entrare in Youtube, Blogspot e WordPress) (…) Secondo il gruppo umanitario Dui Hua (Dialogo), un’organizzazione che ha base negli Usa e si occupa dei detenuti politici cinesi, una trentina di persone sono ancora in prigione per i fatti del 1989. Chi, dei ragazzi di allora, è “libero”, vive sotto stretto controllo. Uno dei più noti dissidenti, Qi Zhiyong, che perse la gamba sinistra nel 1989 ed è sotto costante sorveglianza della polizia, ha inviato un sms all’agenzia France Press per far sapere di essere stato costretto a salire su un’auto per essere portato via da Pechino. Da quel momento tutte le chiamate al telefonino di Qi, 53 anni, a cui era stato chiesto nei giorni scorsi di lasciare la capitale, sono andate a vuoto».


E inoltre sui giornali di oggi:

BIOTETICA
CORRIERE DELLA SERA – Il tribunale di Vigevano ha respinto la richiesta di una donna che desiderava avere un figlio dal marito in coma irreversibile in seguito a un tumore al cervello. La notizia è in prima pagina del quotidiano milanese. La motivazione dei giudici: «Non è stato possibile ricostruire la volontà dell’uomo di accedere alla procreazione assistita». Il caso era stato accostato alla vicenda di Eluana Englaro. Ma la tutrice della ragazza di Lecco concorda con il tribunale: “«Giusto, il caso Eluana non c’entra»”. «Per Eluana – dice l’avvocato Franca Alessio – come è stato stabilito dai giudici, aveva manifestato con chiarezza la sua volontà…In questa circostanza a mio avviso occorreva da parte del genitore un pronunciamento più esplicito, vale a dire quello di fare ricorso all’inseminazione artificiale nel caso in cui si fosse trovato tenuto in vita da una macchina e dunque non più in grado di esprimersi».

 

INDIA
SOLE24ORE – Meira Kumar, ovvero la nuova presidente della Camera indiana, interessante la storia raccontata dal SOLE: è infatti una dalit, ovvero appartiene alla non-casta degli intoccabili. La notizia infatti non è tanto che sia donna (anche se è la prima in questo incarico, ma se si pensa a Indira Ghandi e alla stessa Sonia Ghandi, è chiaro che in India le donne comandano da un pezzo), quanto che appartenga al gradino più basso della società indiana. L’incarico le è arrivato da Sonia Ghandi e vuole essere un messaggio ai 190 milioni di cittadini dalit, finora disprezzati da tutti, che però iniziano a contare anche perché, ovviamente, votano anche loro.

OBAMA
AVVENIRE – Il quotidiano apre su “Minacce di Benladen per Obama in Arabia”. Alla vigilia del discorso al Cairo, spunta una nuova registrazione attribuita al leader di Al-Qaeda: «Obama segue i passi del suo predecessore Bush nello spirito di disprezzo nei confronti dei musulmani». La casa bianca minimizza. Intervista all’esperto fracese Joseph Yacoub: «Credo che enuncerà dei grandi principi, mentre per i cambiamenti concreti ci vorrà molto più tempo», dice a proposito dell’Obama’s speach al mondo musulmano. E ancora «La sensazione è quella dell’inizio di una nuova epoca… Nell’opinione pubblica delle nazioni islamiche sta cambiando il modo di guardare agli Stati Uniti e più in generale all’Occidente. Leggendo i giornali, guardando le tv e parlando con vari intellettuali del mondo arabo si nota l’emergere di un sentimento di aspettativa che prima non esisteva… (e che) ha preso il posto del rifiuto astioso e della netta condanna del mondo occidentale dominanti negli ultimi anni..». All’obiezione rivolta dall’intervistatore secondo cui l’islam radicale non ha affatto cambiato atteggiamento risponde: «Ma questo è del tutto scontato. Qui non si stratat di far cambiare idea ai fondamentalisti ma d’introdurre una nuova mentalità a livello culturale e sociale».

SOLE24ORE – Il SOLE parla oggi di Obama in Oriente e gli dedica mezza pagina in cui prova a immaginare cosa dirà in Egitto e, anzi, lo chiede a 5 esperti tra cui Camille Eid e Fouad Allam. I commenti sono divisi tra «deve mostrare rispetto gli ospiti e ricordare le proprie origini islamiche» e «deve condannare il mancao rispetto dei diritti umani in tanti paesi islamici alleati e le tendenze islamofobiche dell’Occidente». Vedremo.

IL GIORNALE – A pag. 18 l’articolo di Marcello Foa sul viaggio in Medio Oriente del presidente. “E ora l’America si interroga sul presidente pro-islam. Polemiche sul voltafaccia di Obama: in campagna elettorale fedelissimo di Israele e devoto cristiano, ora fierissimo delle origini musulmane”. Secondo Foa: «Agli arabi riserva lusinghe e attenzioni, anche a regimi che calpestano i diritti umani, come l’Arabia Saudita, o formalmente nemici, come l’Iran. Agli israeliani avvertimenti e critiche indispettite. Due pesi e due misure. A che cosa mira davvero Obama?».

LA REPUBBLICA – Sulla visita di Barak Obama nel mondo arabo, Alberto Stabile intervista Ammar Mussawi, responsabile internazionale di Hezbollah, che dice: «Non basta un discorso a costruire ponti. Va bene, Obama manifesta una volontà nuova. Il punto è in che misura avrà la capacità di adempiere queste promesse. Francamente ho dei dubbi». A suo parere il conflitto israeliano-palestinese «non sta molto in alto» nelle priorità di Obama e sull’Iran crede che «il dialogo avrà successo se riflette i desideri di uno e gli interessi dell’altro».

LA STAMPA – “Osama sfida Obama: sei uguale a Bush” – L’apertura dell’edizione di oggi del quotidiano torinese è sul viaggio del presidente Usa in Medioriente, con la cronaca della tappa a Riad, in Arabia Saudita. Per oggi è atteso il suo discorso al mondo islamico a Il Cairo. In un messaggio audio attribuito al leader di Al Qaeda l’affondo contro la nuova amministrazione Usa, messa in linea con la vecchia di George Bush: «Ha seguito i passi del suo predecessore mettendosi contro i musulmani e ponendo le basi per una lunga guerra». Al centro del messaggio il Pakistan: «l’esercito pachistano combatte l’Islam invece di proteggere la nazione» con l’accusa: «è un complotto diretto da Usa, Israele e India Zardari è sul libro paga della Casa Bianca che non gli dà solo il dieci per cento ma molto, molto di più». A Riad l’inviato de LA STAMPA raccoglie le anticipazioni del consulente trentunenne Ben Rhodes che scrive i discorsi a Obama su contenuti e metodo di quello che il presidente Usa terrà oggi a Il Cairo: «Il primo punto sarà l’impegno diretto con il mondo dell’Islam, nel mutuo rispetto e con mutui interessi». Poi Obama «affronterà a viso aperto» il tema dell’estremismo e di quello che gli Usa stanno facendo in Afghanistan, Iraq e Pakistan.  Il discorso sarà accompagnato da una poderosa operazione mediatica con cui Washignton si appresta a diffonderlo dal Marocco all’Indonesia. Il discorso verrà diffuso attraverso Facebook che nel mondo musulmano conta 20 milioni di utenti e siti analoghi molto popolari tra i giovani mediorientali.

LIBANO
AVVENIRE –  La vetrina è un affondo sulle elezioni di domenica 7 giugno nel Paese dei cedri. Il partito di Dio, la formazione guidata dallo sceicco Hassan Nasrallah, dovrebbe aggiudicarsi la vittoria, ma non è detto che all’ultimo momento ci sia una rimonta della coalizione del governo filo-occidentale sostenuta dalle nazioni arabe moderate, «che a sua volta la ricederebbe volentieri all’opposizione sciita di Amal e Hezbollah, alleata con i cristiani del movimento patriottico del generale Aoun». Ed ecco uno dei più bizzarri paradossi mediorientali: nessuno gioca per vincere. Secondo Giorgio Ferrari che firma il pezzo, il motivo è il seguente: se vincesse Nasrallah il Libano perderebbe molti degli aiuti internazionali ed Hezbollah rischierebbe di diventare una seconda Hamas. Il Partito di Dio «ha il sacro terrore di trovarsi a dover governare. Meglio dunque un governo di unità nazionale anche in caso di vittoria del Partito di Dio. Ma non è detto che il disegno sia attuabile». Ad incendiare il clima, le indiscrezioni pubblicate dal settimanale tedesco Der Spiegel, secondo cui dietro all’omicidio del premier Rafik Hariri non ci sarebbe la Siria ma Hezbollah stesso.

SINDACATI
ITALIA OGGI– Il quotidiano dei professionisti dedica una pagina intera alla riforma dei bilanci sindacali. Scrive ITALIA OGGI:«Sono anni che nelle aule del parlamento si prova ad eliminare il veto sulla riservatezza che li avvolge per rendere pubblici i conti e i patrimoni. Ora sembra arrivato il momento.  A decidere che i tesoretti dei sindacati devono essere chiari e trasparenti, non solo per gli iscritti ma per tutti i cittadini, sono tre disegni di legge di riforma incardinati presso la commissione lavoro del senato presieduta da Pasquale Giuliano( Pdl)». Secondo le stime di ITALIA OGGI, tra gli apparati poderosi, l’esenzione dell’Ici per le sedi principali, i fondi pensione, le risorse europee, i patrimoni immobiliari, sembra che Cgil, Cisl e Uil abbiano al loro attivo oltre 2 miliardi di contributi e 20 mila addetti.

 
CARCERE
LA REPUBBLICA – «Sentenza shock in Sicilia»: Giacomo Maurizio Ieni, capo della cosca mafiosa palermintana dei Pillera, in regine di 41-bis, ha ottenuto i domiciliari perché affetto da depressione malinconica. Alle proteste della politica (Gasparri, Fava e Vallardi in primis) gli avvocati di Ieni hanno risposto invitando a «non realizzare una Guantanamo in Italia».

RIFIUTI
LA STAMPA – “Rifiuti, finti collaudi in Campania”. Ieri sono finiti agli arresti domiciliari quindici «collaudatori» che dovevano produrre ecoballe da bruciare nel termovalorizzatore di Acerra. Si tratta di politici, docenti universitari, funzionari e tecnici. Secondo l’accusa le commissioni di collaudo non hanno svolto il lavoro come avrebbero dovuto.

BERLUSCONI
IL MANIFESTO – L’apertura del quotidiano è incentrata sulla puntata di ieri sera di Porta a Porta che ha visto ospite il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Eloquente il titolo «Porta a casa».
Le pagine dedicate sono due  e ripercorrono i temi più delicati della puntata. La prima è interamente dedicata alla ricostruzione aquilana. L’articolo di Eleonora Martini ripercorre, usando gli slogan, la manifestazione che ieri ha attraversato il centro storico della capoluogo abruzzese. Gli aquilani vogliono una »ricostruzione dal basso», chiedono una tassa di scopo che dia soldi subito, rifiutano l’idea di una nuova città, ma rivogliono la loro città «dov’era e com’era». Insomma al grido di «L’Aquila è ferita ma non morta» si annuncia una mobilitazione permanente per fare pressing sul governo e spingerlo ad avallare le richieste della cittadinanza.
La seconda pagina è dedicata al Velingate. Berlusconi è accusato di abuso d’ufficio dalla Procura di Roma. Il motivo è che tra le tante foto fatte alle, ormai celebri, fese del Premier si evince che siano stati largamente utilizzati i voli di stato.

 
EUROPEE
LA STAMPA – “Labour contro Brown: Vattene”. La Gran Bretagna va alle urne – oltre alle eruopee ci sono le amministrative – e mai come oggi il futuro del suo primo ministro appare incerto. Cinque esponenti del governo si sono dimessi in quattro giorni, gli scandali hanno travolto due ministri e ieri il Guardian, quotidiano progressista “quinta colonna” del New Labour ha intimato al partito di «abbandonare il premier al suo destino».

IL MANIFESTO – Spazio in seconda e terza pagina alle elezioni europee che oggi vedono alle urne i cittadini britannici. Dopo lo scandalo sui rimborsi spese gonfiati e le innumerevoli dimissioni piovute sul tavolo di Gordon Brown si profila una batosta elettorale per i laburisti. L e previsioni danno addirittura nelle preferenze il labour al quarto posto dopo conservatori, liberaldemocratici  e anche Ukip (anti europeisti).

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