Volontariato

Quei giorni in piazza

Parla Wuer Kaixi, uno dei leader della protesta studentesca: «Il Governo in quei giorni ha perpretato un massacro. E come ogni buon criminale prova a tenere nascosto il suo delitto. Ma la censura non potrà durare all'infinito»

di Redazione

di Ilaria Maria Sala

Wuer Kaixi oggi ha 41 anni: vent’anni fa, insieme agli studenti Wang Dan e Chai Ling, era uno dei tre leader più importanti delle proteste che coinvolsero dapprima Pechino e poi il Paese intero e vennero schiacciate nel sangue dall’esercito cinese nel giugno 1989.
Wuer è di etnia uigura (un popolo di otto milioni di persone originario del vasto Xinjiang, la parte di Asia Centrale sotto dominio cinese), considerato come una “minoranza etnica” nella propria terra. Gli uiguri seguono una forma sufi dell’islam, hanno un aspetto occidentale e parlano una lingua strettamente collegata al turco. In uiguro, Wuer Kaixi si chiama infatti Urkesh Devlet. Nelle settimane successive al massacro, scappò dapprima in Francia, dove ha co-fondato la Federazione per una Cina democratica, e poi negli Stati Uniti, dove ha proseguito gli studi. Lo abbiamo intervistato a Taiwan, dove vive oggi in esilio con la moglie e i due figli, e dove lavora nei media.


Pensando oggi a quello che è successo vent’anni fa, proteste di piazza che coinvolsero milioni di persone in tutta la Cina ma che finirono in modo così tragico, che tipo di pensieri ti vengono?
Credo che sia stato un momento cruciale nella storia della Cina: un momento molto toccante, un risveglio. Ha avuto un enorme impatto su quello che è successo da allora in poi in Cina. Non dobbiamo dimenticare che fra le richieste degli studenti c’erano la libertà di espressione e la libertà di assemblea, nonché il riconoscimento del diritto alla proprietà privata. Se guardiamo alla Cina oggi, le nostre richieste politiche non siano state accolte, mentre quelle di natura economica sì. Un’altra richiesta importante che veniva da noi, studenti di Tian’anmen, era quella che il Partito si ritirasse dalla vita privata delle persone. Oggi questo è finito: le persone possono scegliere il lavoro che vogliono fare, dove vogliono abitare, con chi vogliono sposarsi…

Non si può, però, dire che abbiate ottenuto tutto quanto chiedevate…
No, ma i passi avanti registrati sono importanti e hanno le loro radici nel nostro movimento. Subito dopo il massacro, dal 1989 al 1992, il governo cinese aveva trasformato il Paese in uno Stato di polizia. Ha deciso di fare un pessimo accordo con la popolazione: in cambio della libertà politica, che non concediamo, siamo disposti a darvi libertà economica. Lo chiamo un pessimo accordo, perché la verità è che entrambi i tipi di libertà appartengono di diritto al popolo cinese. Ugualmente, il popolo cinese lo ha accettato; da allora non ci sono stati altre proteste politiche significative.


Cosa pensi oggi di quello che avvenne quella notte e nei giorni seguenti? Che ricordi ne hai?
È stato un atto inumano, portato avanti dal governo cinese contro il popolo cinese. Non ci sono altre parole per descriverlo. È stato un massacro: come tutti i criminali nascondono il loro crimine, così il governo cinese vuole nascondere l’evidenza di quello che ha perpetrato. Come ogni governo totalitario, le autorità fanno il possibile per controllare la libertà di espressione delle persone. Ogni accenno alla verità è per loro una minaccia diretta allo Stato e alla loro legittimità. Per questo la censura è così forte. Ma di questi tempi le cose sono meno facili per loro: c’è Internet, e i media dall’esterno sono molto più accessibili di prima. Noi dissidenti, ma anche moltissimi cinesi non particolarmente politicizzati, cerchiamo di spezzare questa censura. Arriverà il momento in cui i cinesi sapranno davvero la verità su quello che è successo. Perché nessuno può bloccare la verità in eterno.
I proiettili erano dappertutto… Il sangue, era molto reale, anche la paura e la rabbia delle persone. I carri armati…enormi. Era terribile, atroce.

Come sei uscito dalla Cina?
Non posso rivelare tutti i dettagli, dato che potrei ancora mettere nei guai alcune delle persone che mi hanno aiutato. Sono stato uno degli studenti tirati fuori dal Paese tramite quella che è stata definita l’operazione “Uccello Giallo”, che ha beneficiato di una rete fra nostri sostenitori all’interno, uomini d’affari di Hong Kong e pure alcuni contrabbandieri abituati a far entrare ed uscire dalla Cina prodotti illegali. Non saprò mai se era vero, o solo una voce, ma in tanti mi hanno detto che l’ordine era di arrestare Chai Ling e Wang Dan, ma di “uccidere lo uiguro”. Arrivato a Hong Kong, sono partito per l’Europa.

Riesci, dall’esterno, a mantenere il contatto con la Cina, con la tua famiglia?
Oggi è più facile: esistono mezzi quali Skype o l’e-mail; posso telefonare, cerco di fare del mio meglio per comunicare con l’interno. Ma è difficile: avevo aperto un blog, che però è stato censurato, ne ho aperto un altro, e anche quello è bloccato in Cina. Sono vent’anni che non posso vedere i miei genitori. Abitano a Urumuqi (capoluogo dell’enorme regione del Xinjiang – ndr), ma la mia famiglia è l’unica a cui non è stato dato il permesso di viaggiare fuori dalla Cina, mentre le famiglie di altri dissidenti sono riuscite ad andare a trovare i loro cari scappati. Forse per il fatto di essere uiguri…


Vorresti tornare in Cina?
Certo che sì! Con altri dissidenti in esilio del movimento del 1989, abbiamo lanciato un appello al governo, chiedendo che ci faccia tornare a casa, e contiamo di rilanciarlo di nuovo quest’anno, con forza. In passato ci sono state persone che mi hanno avvicinato proponendomi di scendere a patti per poter tornare in Cina, ma a condizioni inaccettabili: vogliono che io denunci pubblicamente il movimento del 1989, e che dia informazioni su alcune persone legate a quei tempi. Questo non posso farlo. Non posso tradire la fiducia altrui. Certo che voglio tornare in Cina. Ma posso farlo solo con mantenendo intatta la mia dignità e la mia libertà.
Pensandoci oggi, rifaresti quello che hai fatto venti anni fa?
Non mi pento di quello che ho fatto. Sono fiero di essere stato parte di un evento storico così importante. Però… se avessi saputo il risultato, se avessi potuto immaginare prima della repressione che il governo avrebbe sparso così tanto sangue, allora no, avrei fatto tutto il possibile per evitarlo. E se non fossi stato sicuro di poter evitare lo spargimento di sangue, allora, no, non avrei fatto nulla di quello che ho fatto.


Cosa pensi dei giovani cinesi di oggi, così nazionalisti, pronti a manifestare per attaccare l’Occidente ma non per criticare il governo?
I leader attuali, il presidente Hu Jintao e il primo ministro Wen Jiabao, i più noiosi leader che la Cina abbia mai avuto, hanno solo ereditato il loro potere, da Jiang Zemin: non sono né combattenti rivoluzionari, né sono stati eletti. Nemmeno possono attribuirsi il successo economico nazionale. L’unica cosa che rimane loro per ammantarsi di legittimità è quella di sventolare la bandiera del nazionalismo. È davvero un peccato che questo abbia così tanto successo fra alcuni giovani, i quali sembrano credere davvero che ci sia un nemico esterno al Paese e se la prendono con negozi francesi come Carrefour o fast food americani come KFC. È disdicevole, ma è incoraggiato dall’alto. Credo che l’irrazionalità sia spesso una malattia della società, anche nelle democrazie: la differenza è che una democrazia ha in sé i meccanismi per correggersi, una volta che gli elettori subiscono le conseguenze di scelte sbagliate. Un governo totalitario non ha modo di correggersi. Ma ho l’impressione che un po’ il nazionalismo sia contrastato oggi da voci più razionali; quando leggo quello che viene messo sulle chat room cinesi, ho l’impressione che ci siano più persone che criticano questo nazionalismo virulento, e mi sembra un segnale positivo.


Molte persone, sia in Cina che fuori, oggi criticano il vostro movimento, dicendo che eravate irresponsabili e ingenui, che avete portato il caos per le strade di Pechino, e che la democrazia sarebbe un errore per la Cina.
Ascolto con umiltà chi ci dice che abbiamo fatto errori e ci incoraggia a riflettere. Ma molti critici non sono in buona fede, vogliono gettarci fango addosso, incolpano noi anziché coloro che ci hanno sparato addosso. Che alcuni in Cina siano spaventati della democrazia è comprensibile perché hanno conosciuto la devastazione della Rivoluzione Culturale e temono il caos. Lo sbaglio che fanno è quello di credere che la democrazia sfoci fatalmente nel caos… Le democrazie possono essere rumorose, ma non caotiche. Guardate Taiwan! L’opposizione fa il suo mestiere (criticare e proporre alternative), chi è al potere difende le sue scelte, i media criticano o approvano in modo rumoroso, a seconda del loro orientamento. Ciò dimostra che non c’è niente nella cultura cinese che rende impossibile un regime democratico cinese.

Intervista gentilmente concessa dalla rivista Mondo e Missione: per info clicca QUI

APPUNTAMENTO

Questa sera alle ore 18.30 presso il Centro missionario Pime di Milano, «Mondo e Missione» promuove «Tiananmen, vent’anni dopo: una ferita aperta», incontro con padre Giancarlo Politi, all’epoca corrispondente di AsiaNews da Hong Kong. A vent’anni dalle proteste dei giovani nel cuore di Pechino una serata sulle ombre del passato e le domande di oggi. Nel corso dell’incontro verrà proiettato un filmato originale girato in piazza Tiananmen nella tragica notte tra il 3 e il 4 giugno 1989.


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